Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28263 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28263 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
C.C. 15/10/2025
Appalto –RAGIONE_SOCIALE di servizi -Concorrenza sleale –
ORDINANZA
Responsabilità
sul ricorso (iscritto al N.NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona dei suoi legali rappresentanti pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2380/2020, pubblicata il 25 settembre 2020, notificata a mezzo PEC il 14 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 ottobre 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -La RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la RAGIONE_SOCIALE, al fine di sentire pronunciare la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 49.095,96 (oltre interessi di mora ai sensi del d. lgs. n. 231/2022, dalla domanda al saldo), a titolo di corrispettivo spettante per le prestazioni svolte in esecuzione dell’accordo concluso tra le parti il 14 febbraio 2012 -di affidamento dell’incarico di consulenza in materia di ambiente e sicurezza sul lavoro presso i clienti di RAGIONE_SOCIALE.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale concludeva per il rigetto della domanda avversaria, chiedendo, in via preliminare, l’autorizzazione a chiamare in causa COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali ex dipendenti della RAGIONE_SOCIALE nonché soci e amministratori della RAGIONE_SOCIALE.
In via riconvenzionale, chiedeva che fossero accertati l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE al patto di non concorrenza in tesi previsto dall’art. 3 dell’accordo del 14 febbraio 2012 e la consumazione di atti di concorrenza sleale a suo danno per sviamento di clientela, con la conseguente condanna della società
attrice al risarcimento del danno patito nella misura di euro 375.961,24.
Autorizzata la chiamata in causa dei citati terzi, si costituivano in giudizio anche COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali respingevano ogni addebito e pretesa avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE nei loro confronti.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse ed era disposta consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 8610/2018, depositata il 7 agosto 2018, accertata la violazione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, dell’accordo concluso inter partes il 14 febbraio 2012 nonché la commissione di atti di concorrenza sleale ex art. 2598, terzo comma, c.c., condannava la RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento danni, al pagamento, in favore di NOME, della somma di euro 124.556,67; accertato, altresì, l’inadempimento di NOME alle obbligazioni contrattuali assunte in ordine al pagamento delle fatture oggetto di causa, la condannava al pagamento, in favore di NOME, della somma di euro 64.688,78 e, per l’effetto, compensati in via giudiziale i due crediti, condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di COGNOME, della somma di euro 59.867,89, oltre interessi di mora dalla pronuncia al saldo.
2. -Proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure la RAGIONE_SOCIALE, denunciando: 1) l’inesistenza di un patto di non concorrenza nell’accordo concluso tra le società RAGIONE_SOCIALE ed essa RAGIONE_SOCIALE il 14 febbraio 2012, nonché la nullità -alla stregua della natura aleatoria del corrispettivo stabilito e della sua incongruenza -dei patti di non concorrenza ex art. 2125 c.c. stipulati dagli ex dipendenti COGNOME NOME il 30 luglio 2009 e COGNOME NOME
il 2 febbraio 2010, atteso che l’accordo tra le società non avrebbe avuto valenza integrativa ma meramente ricognitiva dei patti di non concorrenza sottoscritti da detti ex dipendenti; 2) l’insussistenza di un contegno scorretto della stessa RAGIONE_SOCIALE nello svolgimento delle prestazioni di consulenza in favore di RAGIONE_SOCIALE, atto a sviare la clientela, in ragione del legittimo diritto esercitato di sospensione delle proprie prestazioni a causa dell’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE nel pagamento dell’attività svolta; 3) la non ricorrenza di qualsivoglia approfittamento della medesima RAGIONE_SOCIALE in ordine alle relazioni con i clienti storici di RAGIONE_SOCIALE, alla stregua del principio di libera concorrenza tra imprese e dell’insussistenza di alcun rapporto di para-subordinazione tra le società; 4) la non integrazione di alcuna condotta di concorrenza sleale per sviamento di clientela, in mancanza di alcuna illecita sottrazione di clientela; 5) l’insussistenza del danno emergente per difetto di alcun contributo causale conseguente alla legittima sospensione dell’erogazione della propria prestazione; 6) l’insussistenza del lucro cessante, anche alla luce degli esiti della svolta consulenza tecnica d’ufficio, che ne aveva ridimensionato la portata; 7) l’erronea regolamentazione dell’addebito delle spese di consulenza tecnica d’ufficio.
Si costituiva nel giudizio di appello la RAGIONE_SOCIALE, la quale instava per il rigetto del gravame e, in via incidentale, contestava l’affermato obbligo di pagamento del saldo delle fatture emesse per la prestazione professionale resa da RAGIONE_SOCIALE e la conseguente compensazione parziale delle reciproche poste creditorie, in correlazione con l’accertata attività concorrenziale illecita e reiterata posta in essere da RAGIONE_SOCIALE a proprio danno, con la
conseguente legittimità della sospensione dei pagamenti effettuata dalla committente. In subordine, contestava la decorrenza dei previsti interessi di mora.
Rimanevano contumaci COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione dello spiegato appello principale e in parziale riforma della pronuncia appellata, accoglieva la domanda avanzata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, la condannava al pagamento della complessiva somma di euro 46.173,78, oltre interessi ex d.lgs. n. 231/2002 dalle singole scadenze al saldo, rigettando le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e ponendo le spese di lite -ivi compresi gli esborsi relativi alla svolta consulenza tecnica d’ufficio a totale carico di COGNOME.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che nessun motivo di gravame era stato interposto dall’appellante incidentale RAGIONE_SOCIALE sulla statuizione del Tribunale con cui erano state respinte le domande direttamente formulate contro gli ex dipendenti, in ragione del fatto che del danno accertato avrebbe risposto solo la RAGIONE_SOCIALE e non ne avrebbero risposto i suoi amministratori, poiché della condotta dedotta in giudizio di violazione del patto di non concorrenza -e comunque del contegno di concorrenza sleale per sviamento di clientela -avrebbe potuto rispondere solo la società concorrente, non essendo individuabile, in capo agli stessi ex dipendenti, una condotta illecita diversa e distinta da quella da essi tenuta, ma imputabile alla società, alla stregua del rapporto organico; b ) che,
conseguentemente, le censure mosse dall’appellante principale, in ordine alla nullità dei patti di non concorrenza sottoscritti in proprio tra gli ex dipendenti e l’ex datrice di lavoro, erano del tutto irrilevanti, stante l’intervenuto passaggio in giudicato del capo di sentenza relativo al rigetto della domanda risarcitoria spiegata verso tali ex dipendenti; c ) che non poteva essere condivisa l’interpretazione resa dal Tribunale in ordine alla clausola n. 3 dell’accordo del 14 febbraio 2012 secondo cui il patto di non concorrenza originariamente stipulato dagli ex dipendenti sarebbe stato esteso anche a RAGIONE_SOCIALE -, poiché, come osservato dalla stessa sentenza di primo grado, tale clausola mirava a consentire e rendere lecita l’attività di RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei clienti RAGIONE_SOCIALE, il che valeva ad escludere la sussistenza, la rilevanza e l’autonomia di un preteso separato patto di non concorrenza, impositivo di specifici e ulteriori obblighi a carico di RAGIONE_SOCIALE, stante che il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell’esecuzione dei singoli incarichi e di non svolgerli secondo modalità finalizzate ad appropriarsi della clientela propria del conferente costituivano oggetto della disposizione di cui all’art. 2598 c.c. e non già il frutto di un’espressa e ulteriore pattuizione; d ) che non sussisteva alcun comportamento scorretto di RAGIONE_SOCIALE nello svolgimento delle prestazioni di consulenza in favore di RAGIONE_SOCIALE o qualsivoglia approfittamento delle relazioni con i clienti storici della committente e, in definitiva, alcun comportamento di concorrenza sleale per sviamento di clientela; e ) che, premesso che il tentativo di sviare la clientela rientrava nel normale gioco della concorrenza, un comportamento di tal fatta avrebbe potuto essere considerato illecito -in assenza di un patto liberamente
assunto e specificamente predittivo di obblighi comportamentali specifici -allorché lo sviamento fosse stato provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale, senza che, nel caso di specie, fosse dato rinvenire un adeguato supporto probatorio idoneo ad affermare l’illecito sviamento, avuto riguardo, in particolar modo, all’esito delle prove testimoniali assunte su iniziativa di parte odierna appellata, non avendo i testi escussi confermato la tesi volta a dimostrare che RAGIONE_SOCIALE avesse divulgato ai clienti di RAGIONE_SOCIALE notizie denigratorie sulle capacità professionali e imprenditoriali di quest’ultima e si fosse offerta di assumere gli stessi incarichi a condizioni economiche maggiormente competitive; f ) che ad una diversa valutazione non poteva pervenirsi neanche sulla scorta delle emergenze documentali richiamate dal Tribunale, dal momento che le ragioni di malcontento comunicate da alcuni dei clienti di RAGIONE_SOCIALE alla società fornitrice non erano riferibili -o, comunque, interamente e colpevolmente riferibili -all’operato di RAGIONE_SOCIALE; mentre le comunicazioni ulteriori citate nell’appellata sentenza erano intervenute nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2013, cioè in un periodo in cui già sussisteva l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE alle obbligazioni di pagamento derivanti dall’accordo di collaborazione del 14 febbraio 2012, inadempimento espressamente contestato da RAGIONE_SOCIALE nella missiva del 7 febbraio 2013, laddove era stata altresì preannunciata l’impossibilità di prose guire la collaborazione in atto a causa del mancato pagamento delle fatture emarginate, aventi ad oggetto i consuntivi delle attività svolte nei mesi da giugno 2012 a novembre 2012; g ) che, poi, in mancanza di un
adeguato piano di rientro dello scaduto, RAGIONE_SOCIALE aveva inviato a RAGIONE_SOCIALE una diffida ad adempiere, con la comunicazione della sospensione delle attività in caso di mancato adempimento, con l’effetto che le ragioni di insoddisfazione dei clienti di RAGIONE_SOCIALE peraltro, in parte imputate ai nuovi collaboratori interni della società -, per la mancanza di un servizio sufficientemente attento e puntuale, non erano tali da integrare né un colpevole inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, né, men che meno, un’illecita attività di concorrenza a danno della mandante; h ) che, di conseguenza, era infondato il proposto appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, a fronte di una prestazione pacificamente richiesta ed espletata da RAGIONE_SOCIALE e di un riscontro documentale che la stessa sentenza impugnata aveva qualificato come inidoneo a provare un’eccezione di inadempimento tesa a giustificare il mancato pagamento delle fatture.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito, con controricorso, l’intimata RAGIONE_SOCIALE
4. -La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 112, 115, 324, 329, secondo comma, e 332 c.p.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa od omessa applicazione degli
artt. 1421 e 2909 c.c., per avere, in primo luogo, la Corte di merito, fraintendendo il contenuto della sentenza di primo grado e dello stesso primo motivo di appello di RAGIONE_SOCIALE, erroneamente ritenuto che il passaggio in giudicato dell’assoluzione degli ex dipendenti COGNOME e COGNOME, quali persone fisiche, togliesse rilevanza alla questione di nullità proposta dall’appellante e che RAGIONE_SOCIALE non fosse vincolata da alcun patto di non concorrenza, inesistente inter partes , con violazione del giudicato interno formatosi sull’esistenza del patto di non concorrenza a carico di RAGIONE_SOCIALE, del quale la stessa avrebbe contestato l’efficacia solo in conseguenza e per derivazione dalla pretesa nullità dei patti assunti dagli ex dipendenti, come richiamati nell’art. 3 dell’accordo di San Valentino, in secondo luogo, lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo la Corte ambrosiana emesso una pronuncia esorbitante rispetto al motivo d’appello dedotto da RAGIONE_SOCIALE con riguardo al patto di non concorrenza, la cui esistenza ed efficacia non avrebbe formato più oggetto di contestazione, e con violazione dell’efficacia soggettiva del giudicato interno formatosi sulle cause scindibili verso i terzi chiamati COGNOME e COGNOME, assolti in primo grado.
Osserva la ricorrente che: A) l’appellante RAGIONE_SOCIALE, nel primo motivo del proprio appello, avrebbe dedotto l’inefficacia del patto di non concorrenza contenuto nell’art. 3 dell’accordo del 14 febbraio 2012 RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE (c.d. accordo di San Valentino) per asserita nullità dei patti di non concorrenza ivi richiamati e che già vincolavano gli ex dipendenti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, divenuti soci e amministratori della stessa RAGIONE_SOCIALE e che, in tale
veste, avevano sottoscritto congiuntamente il suddetto accordo;
B) COGNOME e COGNOME erano stati assolti in prime cure unicamente perché il Tribunale aveva ritenuto che le loro condotte lesive, pur sussistenti, non fossero autonome, né distinguibili da quelle commesse quali amministratori di RAGIONE_SOCIALE e a questa imputabili in forza del rapporto organico; C) la sentenza di primo grado aveva ritenuto valido ex art. 2596 c.c. e pienamente efficace il patto di non concorrenza inserito nell’accordo RAGIONE_SOCIALE/GMB del 14 febbraio 2012, sia pure mediante il rinvio per relationem perfectam ai patti di non concorrenza sottoscritti dagli ex dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, ora soci e amministratori di RAGIONE_SOCIALE; D) RAGIONE_SOCIALE avrebbe proposto appello, sostenendo l’inefficacia del patto verso RAGIONE_SOCIALE per derivazione dalla nullità dei patti ‘a monte’ sottoscritti dagli ex dipendenti COGNOME e COGNOME con l’ex datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE, in quanto contrari all’art. 2125 c.c., non già l’inesistenza o l’inefficacia verso RAGIONE_SOCIALE del patto di non concorrenza inserito nella citata scrittura RAGIONE_SOCIALE/GMB del 14 febbraio 2012.
1.1. -Il mezzo di critica è infondato.
Si osserva, infatti, che, in esito al riscontro compiuto degli atti di causa, non emerge che RAGIONE_SOCIALE avesse proposto appello, sostenendo l’inesistenza/inefficacia del patto di non concorrenza verso RAGIONE_SOCIALE esclusivamente per derivazione dalla nullità dei patti ‘a monte’ sottoscritti dagli ex dipendenti COGNOME e COGNOME con l’ex datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE, in quanto contrari all’art. 2125 c.c.
Non corrisponde, quindi, alle risultanze in atti che RAGIONE_SOCIALE -quale appellante principale -non avesse lamentato, in sede di gravame, l’inesistenza o l’inefficacia nei suoi confronti del patto di
non concorrenza inserito nella scrittura RAGIONE_SOCIALE/GMB del 14 febbraio 2012 per ragioni sue proprie.
Per converso, con il primo motivo di impugnazione (vedi atto di citazione introduttivo dell’appello), RAGIONE_SOCIALE aveva contestato l’inesistenza di un patto di non concorrenza nell’accordo concluso tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE il 14 febbraio 2012, nonché la nullità -alla stregua della natura aleatoria del corrispettivo stabilito e della sua incongruenza -dei patti di non concorrenza ex art. 2125 c.c. stipulati dagli ex dipendenti COGNOME NOME il 30 luglio 2009 e COGNOME NOME il 2 febbraio 2010.
A tal proposito, RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto che l’accordo tra le società non avrebbe avuto valenza integrativa ma meramente ricognitiva dei patti di non concorrenza sottoscritti da detti ex dipendenti, con la conseguente inesistenza di un autonomo e separato patto di non concorrenza concluso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Tale impostazione è stata correttamente accolta dalla Corte d’appello, la quale ha premesso che vi era il difetto di interesse dell’appellante principale a contestare la nullità dei patti di non concorrenza conclusi dagli ex dipendenti, in difetto di alcuna impugnazione, a cura di RAGIONE_SOCIALE, del rigetto della domanda risarcitoria spiegata verso tali ex dipendenti, per avere essi agito nella veste di amministratori della RAGIONE_SOCIALE.
Quindi, la sentenza impugnata ha rilevato che non poteva essere condivisa l’interpretazione resa dal Tribunale in ordine alla clausola n. 3 dell’accordo del 14 febbraio 2012 in forza del quale il patto di non concorrenza originariamente stipulato dagli ex dipendenti sarebbe stato esteso anche a RAGIONE_SOCIALE -, poiché, come osservato dalla stessa sentenza di primo grado, tale clausola
mirava a consentire e rendere lecita l’attività di RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei clienti RAGIONE_SOCIALE, il che valeva ad escludere la sussistenza, la rilevanza e l’autonomia di un preteso separato patto di non concorrenza, impositivo di specifici e ulteriori obblighi a carico di RAGIONE_SOCIALE, stante che il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede nell’esecuzione dei singoli incarichi e di non svolgerli secondo modalità finalizzate ad appropriarsi della clientela propria del conferente costituivano oggetto della disposizione di cui all’art. 2598 c.c. e non già il frutto di un’espressa e ulteriore pattuizione.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2598, n. 3, c.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale completamente ‘obliterato’ i profili di responsabilità contrattuale di RAGIONE_SOCIALE per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, concentrandosi unicamente sulla responsabilità extracontrattuale per atti di concorrenza sleale, avvalendosi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda, dopo aver escluso l’esistenza del patto di non concorrenza nell’accordo RAGIONE_SOCIALE/GMB del 14 febbraio 2012 per le erronee ragioni censurate nel primo motivo.
La parte ricorrente obietta che la sentenza di primo grado avrebbe ritenuto RAGIONE_SOCIALE responsabile non solo per violazione del patto di non concorrenza inserito nell’art. 3 dell’accordo RAGIONE_SOCIALE/GMB del 14 febbraio 2012, ma anche degli obblighi di
correttezza e buona fede, che certamente avrebbero imposto a ciascun contraente di astenersi dal danneggiare l’altra parte del rapporto contrattuale, specialmente nei rapporti continuativi di consulenza e di collaborazione tra imprese.
Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, l’obbligo di astenersi dal danneggiare l’altro contraente rientrerebbe tra i naturalia negotii , sicché non sarebbe stato necessario prevedere un’apposita pattuizione in costanza di rapporto contrattuale, come ben evidenziato dalla stessa sentenza emessa dal Tribunale in primo grado, senza che la Corte d’appello avesse preso in esame tale profilo, né motivato sul punto.
2.1. -Il motivo è infondato.
Ciò perché, una volta escluso che l’art. 3 dell’accordo di collaborazione del 14 febbraio 2012 avesse previsto un patto di non concorrenza a carico di RAGIONE_SOCIALE e in favore di RAGIONE_SOCIALE ex art. 2596 c.c., il contratto concluso tra le parti si configurava esclusivamente come presupposto storico, a fronte del quale la causa petendi della responsabilità invocata aveva titolo extracontrattuale ai sensi dell’art. 2598 c.c. nonché dell’art. 1337 c.c. (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 20673 del 13/10/2016).
Tanto premesso, la sentenza impugnata ha espressamente escluso che il contegno assunto da GMB fosse stato improntato a mala fede e fosse difforme dal parametro di correttezza.
Segnatamente la Corte meneghina ha negato -con adeguata valutazione di merito – che sussistesse alcun comportamento scorretto di NOME nello svolgimento delle prestazioni di consulenza in favore di RAGIONE_SOCIALE o qualsivoglia approfittamento delle relazioni
con i clienti storici della committente e, in definitiva, alcun comportamento di concorrenza sleale per sviamento di clientela.
Sul punto, la pronuncia d’appello ha addotto che il tentativo di sviare la clientela rientrava nella normale dinamica della concorrenza e che un comportamento di tal fatta avrebbe potuto essere considerato illecito -in assenza di un patto liberamente assunto e specificamente predittivo di obblighi comportamentali specifici -allorché lo sviamento fosse stato provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale.
Senonché, tanto premesso, la pronuncia ha escluso che, nel caso di specie, fosse dato rinvenire un adeguato supporto probatorio idoneo ad affermare l’illecito sviamento, avuto riguardo, in particolar modo, all’esito delle prove testimoniali assunte su iniziativa di parte appellata, non avendo i testi escussi confermato la tesi volta a dimostrare che RAGIONE_SOCIALE avesse divulgato ai clienti di RAGIONE_SOCIALE notizie denigratorie sulle capacità professionali e imprenditoriali di quest’ultima e si fosse offerta di assumere gli stessi incarichi a condizioni economiche maggiormente competitive.
Né ad una diversa valutazione avrebbe potuto pervenirsi sulla scorta delle emergenze documentali richiamate dal Tribunale, dal momento che le ragioni di insoddisfazione comunicate da alcuni dei clienti di RAGIONE_SOCIALE alla società fornitrice non erano riferibili -o, comunque, interamente e colpevolmente riferibili -all’operato di RAGIONE_SOCIALE; mentre le comunicazioni ulteriori citate nell’appellata sentenza erano intervenute nel periodo compreso tra febbraio e giugno 2013, cioè in un periodo in cui già sussisteva
l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE alle obbligazioni di pagamento derivanti dall’accordo di collaborazione del 14 febbraio 2012, inadempimento espressamente contestato da RAGIONE_SOCIALE nella missiva del 7 febbraio 2013, laddove era stata altresì preannunciata l’impossibilità di proseguire la collaborazione in atto a causa del mancato pagamento delle fatture emarginate, aventi ad oggetto i consuntivi delle attività svolte nei mesi da giugno 2012 a novembre 2012.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 1460 e 2598 c.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente reputato sussistente un nesso di corrispettività tra il mancato pagamento dei compensi asseritamente dovuti da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni da questa eseguite in base all’accordo del 14 febbraio 2012 e la violazione del patto di non concorrenza e dei doveri di correttezza e buona fede contrattuali ed extracontrattuali posti per legge a carico di RAGIONE_SOCIALE.
La ricorrente assume che, in ogni caso, sarebbe manifestamente contraria a buona fede una siffatta (inammissibile) eccezione di inadempimento e, altresì, illegittima la consequenziale esclusione dalla disamina del contenuto rappresentativo di molti dei documenti prodotti in giudizio, perché erroneamente ritenuti dalla Corte d’appello irrilevanti in quanto formatisi successivamente alla contestazione dell’inadempimento effettuata in via stragiudiziale dalla RAGIONE_SOCIALE nel
febbraio 2013, ancorché il rapporto di collaborazione fosse pacificamente proseguito sino al giugno 2013.
Soggiunge la ricorrente che, peraltro, il contenuto rappresentativo dei documenti si sarebbe riferito a fatti, circostanze e condotte lesive tenute da RAGIONE_SOCIALE anche prima del febbraio 2013, non rilevando la data di formazione delle comunicazioni inviate alla RAGIONE_SOCIALE.
3.1. -Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
3.1.1. -Anzitutto, la doglianza muove da una premessa erronea.
Precisamente detta censura arguisce che la Corte d’appello avrebbe configurato un nesso di corrispettività tra il mancato pagamento dei compensi asseritamente dovuti da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni da questa eseguite in base all’accordo del 14 febbraio 2012 e la violazione del patto di non concorrenza e dei doveri di correttezza e buona fede.
Per contro, la sentenza impugnata ha escluso che alcuna condotta di concorrenza sleale fosse stata integrata a carico di RAGIONE_SOCIALE e, all’esito, ha evidenziato che la mera ‘sospensione’ dell’esecuzione delle prestazioni cui RAGIONE_SOCIALE si era obbligata verso RAGIONE_SOCIALE, in ragione dell’accordo di collaborazione del 14 febbraio 2012, era giustificata dall’inadempimento protratto di RAGIONE_SOCIALE nel pagamento delle prestazioni già eseguite.
Fattispecie, questa, ricadente nella previsione di cui all’art. 1460 c.c., in ragione di un inadempimento concreto e attuale persistito anche dopo la richiesta di adempimento inviata dalla RAGIONE_SOCIALE, preannunciando che, in mancanza, sarebbe stata sospesa
l’esecuzione della propria prestazione e, dunque, secondo buona fede (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36295 del 28/12/2023).
Al riguardo, la motivazione della pronuncia qui impugnata ha precisato che, nella missiva del 7 febbraio 2013, la RAGIONE_SOCIALE aveva preannunciato l’impossibilità di proseguire la collaborazione in atto a causa del mancato pagamento delle fatture emarginate, aventi ad oggetto i consuntivi delle attività svolte nei mesi da giugno 2012 a novembre 2012.
Per l’effetto, ha proseguito la Corte d’appello, in mancanza di un adeguato piano di rientro dello scaduto, RAGIONE_SOCIALE aveva inviato a RAGIONE_SOCIALE una diffida ad adempiere, con la comunicazione della sospensione delle attività in caso di mancato adempimento. Sicché le ragioni di insoddisfazione dei clienti di RAGIONE_SOCIALE -peraltro, in parte imputate ai nuovi collaboratori interni della società -, per la mancanza di un servizio sufficientemente attento e puntuale, non erano tali da integrare, né un colpevole inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, né, men che meno, un’illecita attività di concorrenza a danno della mandante.
Di conseguenza, è stato ritenuto infondato il proposto appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, a fronte di una prestazione pacificamente richiesta ed espletata da GMB e di un riscontro documentale che la stessa sentenza di prime cure aveva qualificato come inidoneo a provare un’eccezione di inadempimento tesa a giustificare il mancato pagamento delle fatture.
In altri termini, in mancanza di alcun patto di non concorrenza concluso tra le società e di alcun atto di concorrenza sleale, è stato escluso che fosse legittima la ‘sospensione’ a
cura di NOME -del pagamento del corrispettivo per le prestazioni svolte da RAGIONE_SOCIALE.
3.1.2. -In secondo luogo, è del tutto generico il richiamo alla mancata disamina del contenuto rappresentativo di ‘molti dei documenti prodotti in giudizio’, perché erroneamente ritenuti dalla Corte d’appello irrilevanti in quanto formatisi successivamente alla contestazione dell’inadempimento effettuata in via stragiudiziale dalla RAGIONE_SOCIALE nel febbraio 2013.
Non è specificato, infatti, di quali documenti si trattasse, né il loro contenuto.
4. -Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa od omessa applicazione degli artt. 2598, 2727 e 2729 c.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 115, 116, 180, 253, 254 e 132 c.p.c., anche in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. e all’art. 6 CEDU, ed ancora, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa fatti decisivi e controversi, per avere la Corte dell’impugnazione mancato di esaminare gran parte delle circostanze controverse e decisive che sarebbero emerse dai documenti prodotti e dalle deposizioni testimoniali acquisite, specialmente se correlate ai documenti e alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio esperita in prime cure.
Secondo la ricorrente, tali risultanze probatorie avrebbero confermato, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2598 c.c., la natura sistematica delle condotte anticoncorrenziali tenute da RAGIONE_SOCIALE attraverso i suoi amministratori ed ex dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e COGNOME, con i clienti, anche storici, di RAGIONE_SOCIALE, nella
vigenza del rapporto contrattuale di collaborazione di cui all’accordo del 14 febbraio 2012, nonostante la sentenza di primo grado, anche alla stregua del requisito di sistematicità, avesse analiticamente esaminato tutte le condotte lesive denunciate da RAGIONE_SOCIALE e provate in giudizio attraverso documenti e testimoni e mediante la ricostruzione contabile svolta dal consulente d’ufficio, esaminando anche i libri contabili di GMB, di cui il Tribunale aveva ordinato l’esibizione in giudizio.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Infatti, la valutazione della prova, anche indiziaria, non può costituire oggetto di sindacato in sede di legittimità, ove miri appunto ad una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10927 del 23/04/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 9507 del 06/04/2023; Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Sez. 3, Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 26/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Né la rinnovata disamina delle deposizioni testimoniali rese, in base al principio di libera valutazione della prova testimoniale, con una lettura di tali deposizioni opposta a quella resa dal Tribunale, in ragione delle argomentazioni analiticamente esposte, esigeva che la Corte di secondo grado risentisse i testi escussi in primo grado, come ritenuto dalla ricorrente.
Ebbene, gli elementi addotti sono stati debitamente valutati dal giudice di merito e, rispetto alla ricostruzione resa, è preclusa in sede di legittimità una nuova ponderazione dei fatti storici in quella sede operata (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del
22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Quanto alla prova indiretta, si rileva che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi (sulla mera eventualità, ma non necessità, del concorso di più elementi presuntivi: Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018; Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; Sez. 5, Sentenza n. 17574 del 29/07/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19088 del 11/09/2007), richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza, ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8115 del 27/03/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 28261 del 09/10/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; Sez. 6-5, Ordinanza n. 34248 del 15/11/2021; Sez. 6-1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020; Sez. 5, Sentenza n. 15454 del 07/06/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 17720 del 06/07/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 9059 del 12/04/2018; Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. L, Sentenza n. 27671 del 15/12/2005; Sez. 2, Sentenza n. 3646 del 24/02/2004; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
In proposito, la sentenza impugnata ha individuato molteplici elementi indiziari convergenti, ampiamente giustificativi del ragionamento inferenziale svolto in ordine all’esclusione di alcuna condotta di concorrenza sleale per sviamento di clientela posta in essere da RAGIONE_SOCIALE, negando che il contegno assunto da quest’ultima avesse natura sistematica e fosse improntato ad accaparrarsi i clienti di RAGIONE_SOCIALE, proponendo condizioni economiche più convenienti nell’espletamento dei servizi di consulenza in materia RAGIONE_SOCIALE e di sicurezza sul lavoro.
Pertanto, rispetto ai dati indiziari utilizzati, la doglianza prospettata dalla ricorrente mira, in realtà, ad un’alternativa ricostruzione probabilistica della prova critica, che non può essere rimessa alla sede di legittimità, bastando che l’inferenza motivata dalla sentenza impugnata abbia una sua dignità e coerenza logica e non certamente che essa sia l’unica ipotesi possibile (cfr., tra le più recenti, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15288 del 31/05/2024).
Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre, infatti, che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola della inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit , in virtù della regola dell’inferenza probabilistica (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21403 del 26/07/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 20342 del 28/09/2020; Sez. L, Sentenza n. 2632 del 05/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 31/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 26081 del 30/11/200).
5. -Con il quinto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa od omessa applicazione dell’art. 1460 c.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto l’appello incidentale interposto da essa RAGIONE_SOCIALE, reputando infondata l’eccezione di inadempimento proposta, a fronte delle violazioni e delle condotte lesive tenute da RAGIONE_SOCIALE, che pure avrebbe preteso e
si sarebbe vista incredibilmente riconoscere il pagamento delle fatture emesse per le prestazioni rese in base all’accordo di San Valentino presso la clientela della medesima RAGIONE_SOCIALE illecitamente sviata da RAGIONE_SOCIALE.
5.1. -La censura è infondata.
Una volta escluso che il contegno assunto da RAGIONE_SOCIALE fosse scorretto e volto a determinare uno sviamento di clientela, il mancato pagamento delle fatture per le prestazioni rese non aveva, infatti, alcuna giustificazione.
Sul punto, infatti, la sentenza impugnata ha precisato che non vi era contestazione alcuna sulle prestazioni richieste ed espletate da RAGIONE_SOCIALE.
-In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 15 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME