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Patto di non concorrenza: la forma scritta è derogabile

Una società ha contestato il pagamento di un’indennità per patto di non concorrenza al suo ex agente, sostenendo che un accordo tacito di risoluzione anticipata del contratto fosse invalido perché il contratto stesso richiedeva modifiche scritte. La Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, affermando che la forma scritta convenzionale per le modifiche può essere derogata tacitamente dalle parti. Di conseguenza, il patto di non concorrenza rimane efficace. Il caso è stato rinviato per ricalcolare l’importo dell’indennità, poiché era stato erroneamente trascurato il fatto che l’agente avesse fornito prove del suo status di monomandatario.

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Patto di non concorrenza: La risoluzione tacita è valida anche con forma scritta convenzionale

L’accordo tra le parti può superare le clausole formali scritte in un contratto? La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 22138/2024, offre una risposta chiara, soprattutto in relazione al patto di non concorrenza nel contratto di agenzia. La Corte ha stabilito che la volontà comune delle parti, manifestata attraverso comportamenti concludenti, può portare alla risoluzione anticipata di un rapporto anche quando il contratto originale prevedeva la forma scritta per ogni modifica. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati.

I fatti del caso: Dalla risoluzione anticipata alla controversia sull’indennità

La controversia nasce tra una società preponente e il suo ex agente. Quest’ultimo, dopo aver rassegnato le dimissioni, otteneva un decreto ingiuntivo per il pagamento di circa 38.000 euro, di cui la quasi totalità a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza biennale previsto dal contratto.

La società si opponeva, ma la Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, le dava torto. I giudici di secondo grado avevano ritenuto che il rapporto di agenzia si fosse risolto anticipatamente non alla scadenza del preavviso, ma in una data precedente, per mutuo consenso tacito delle parti. Poiché la società non aveva esercitato la facoltà di liberare l’agente dall’obbligo di non concorrenza entro 30 giorni da tale data, era tenuta a pagarne il corrispettivo. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ridotto l’importo, qualificando l’agente come plurimandatario e non monomandatario, con conseguente diminuzione dell’indennità.

La questione della forma e dell’indennità in Cassazione

La vicenda è approdata in Cassazione con due ricorsi contrapposti.

L’appello principale dell’azienda

La società preponente ha basato il suo ricorso su due motivi principali:
1. Violazione procedurale: Sosteneva che l’anticipazione della data di risoluzione fosse un’eccezione sollevata tardivamente dall’agente, e quindi inammissibile.
2. Violazione della forma convenzionale: Affermava che, poiché il contratto di agenzia prevedeva la forma scritta per ogni modifica, la risoluzione anticipata, avvenuta per fatti concludenti e non per iscritto, dovesse considerarsi invalida.

L’appello incidentale dell’agente

L’agente, a sua volta, ha contestato la sentenza d’appello su un punto cruciale: l’ammontare dell’indennità. Sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente omesso di esaminare le prove da lui fornite (documentazione, perizia e comunicazioni PEC) che attestavano il suo status di agente monomandatario, il quale gli avrebbe dato diritto a un’indennità di non concorrenza di importo superiore.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sul patto di non concorrenza

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso principale della società e accolto quello incidentale dell’agente, delineando importanti principi di diritto.

Innanzitutto, la Corte ha chiarito che l’argomentazione sulla data di risoluzione anticipata non costituiva un’eccezione in senso stretto (soggetta a termini di decadenza), ma una mera difesa basata su fatti già presenti nel processo. Pertanto, era pienamente ammissibile.

Sul punto più controverso, quello della forma, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la libertà delle forme contrattuali. Una clausola che impone la forma scritta per le modifiche di un contratto non impedisce alle parti di accordarsi per lo scioglimento del contratto stesso tramite comportamenti concludenti. Le parti, nella loro autonomia, possono anche rinunciare tacitamente alla forma scritta che avevano precedentemente pattuito, attraverso comportamenti incompatibili con il suo mantenimento. La valutazione di tali comportamenti è un apprezzamento di fatto che, se ben motivato come nel caso di specie, non è sindacabile in sede di legittimità.

Infine, la Corte ha accolto il ricorso dell’agente, riconoscendo che la Corte d’Appello aveva effettivamente commesso un errore di “omesso esame di un fatto decisivo”. I giudici di secondo grado avevano affermato che l’agente non si era mai avvalso della facoltà di dimostrare il suo status di monomandatario, ignorando la documentazione specifica che era stata prodotta in giudizio. Questo errore ha reso necessaria la cassazione della sentenza con rinvio.

Le conclusioni: Principi consolidati e implicazioni pratiche

Questa ordinanza consolida due importanti principi. Primo, la volontà delle parti, se chiaramente desumibile dai loro comportamenti, prevale sulle clausole formali da esse stesse pattuite, specialmente quando si tratta di sciogliere un vincolo contrattuale. Il principio di libertà delle forme consente alle parti di rinunciare, anche tacitamente, a un requisito di forma precedentemente concordato. Secondo, evidenzia l’importanza cruciale di provare e documentare ogni aspetto delle proprie pretese in giudizio. L’omesso esame da parte del giudice di un fatto storico rilevante e provato costituisce un vizio che può portare all’annullamento della sentenza. Per l’agente, ciò significa che la corretta quantificazione del suo patto di non concorrenza dovrà essere nuovamente valutata dal giudice del rinvio, questa volta tenendo conto di tutte le prove fornite.

Una clausola che impone la forma scritta per le modifiche di un contratto impedisce di scioglierlo con un accordo tacito?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la clausola che impone la forma scritta per le modifiche non preclude la risoluzione del contratto per mutuo consenso tacito. Le parti possono rinunciare alla forma convenzionale attraverso comportamenti concludenti incompatibili con il suo mantenimento, in virtù del principio generale della libertà delle forme.

Cos’è un’eccezione in senso stretto e perché è importante distinguerla da una semplice difesa?
Un’eccezione in senso stretto è una difesa che, per legge, può essere sollevata solo dalla parte interessata entro termini perentori (es. prescrizione). Una semplice difesa, invece, si basa su fatti già acquisiti al processo e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. La distinzione è cruciale perché un’eccezione sollevata tardivamente è inammissibile, mentre una difesa non lo è.

Cosa succede se un giudice d’appello non esamina un documento decisivo presentato da una delle parti?
Se un giudice d’appello omette di esaminare un fatto storico decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti e la cui esistenza risulta da prove specifiche (come documenti o perizie), la sentenza può essere annullata dalla Corte di Cassazione. Il caso viene quindi rinviato a un altro giudice per una nuova valutazione che tenga conto di quel fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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