Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24845 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24845 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
9857/2024 r.g., proposto
da
COGNOME NOME , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE) , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 189/2024 pubblicata in data 16/02/2024, n.r.g. 199/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.Dall’anno 2005 NOME COGNOME era stato agente de RAGIONE_SOCIALE (poi spa). Il rapporto di agenzia era terminato con una transazione ‘ratificata’ dinanzi alla direzione territoriale del lavoro di Bari, nella quale era stato previsto il pagamento della somma di euro 32.636,91 in favore del COGNOME, con obbligo di quest’ultimo di non svolgere attività in
OGGETTO: patto di non concorrenza
concorrenza con la società mediante apposito patto inserito nella conciliazione.
La società deduceva che il patto era stato violato nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, contro la quale aveva ottenuto un provvedimento d’urgenza di inibitoria a tenere comportamenti di concorrenza sleale. Nel provvedimento il Tribunale aveva riconosciuto che il Cafagna aveva violato il patto di non concorrenza.
La società adìva pertanto il Tribunale di Bari per ottenere la condanna del COGNOME al pagamento della complessiva somma di euro 75.000,00 quale penale prevista nel patto di non concorrenza, nonché al risarcimento dei danni causati dall’ex agente.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale dichiarava nullo il patto di non concorrenza sia per mancata previsione di un corrispettivo, sia per la mancata approvazione scritta ex art. 1341 c.c. della clausola sulla non concorrenza, sia per la durata (5 anni) superiore a quella massima consentita di due anni; quindi rigettava le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame interposto dalla società, che aveva ridotto la domanda di adempimento della penale alla somma di euro 68.851,38; quindi condannava il Cafagna al pagamento della pred etta somma, ma rigettava l’ulteriore domanda risarcitoria, posto che ai sensi dell’art. 1382 c.c. non era stata concordata la risarcibilità del danno ulteriore, sicché la penale svolgeva appieno la sua funzione di predeterminazione forfettaria di tutto il danno risarcibile.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la disciplina applicabile non è l’art. 2125 c.c., bensì l’art. 1751 bis c.c., che prevede il limite massimo di durata di due anni;
la norma prevede il diritto dell’agente ad un compenso, ma non è presidiata da nullità, sicché non è norma imperativa e quindi è derogabile dalle parti (Cass. n. 12127/2015);
nel caso concreto la mancata previsione di un corrispettivo va comunque intesa nell’ambito della funzione transattiva che ha avuto la conciliazione dinanzi alla DTL;
non occorreva una esplicita rinunzia dell’agente al corrispettivo, visto che tale necessità non è richiesta da alcuna norma imperativa;
non era richiesta la specifica approvazione scritta della clausola ex art. 1341 c.c., sia perché l’accordo è intervenuto in una sede protetta, sia perché manca la predisposizione unilaterale dello schema negoziale per regolare una serie indefinita di future contrattazioni a mezzo moduli o formulari (Cass. n. 20471/2020);
la violazione del limite biennale di durata implica la nullità parziale della clausola per l’eccedenza, ma resta valida nei limiti dei due anni e nel caso di specie vi è la prova della violazione del patto pochi mesi dopo l’estinzione del rapporto di agenz ia fra le parti, come risultato dalle deposizioni testimoniali assunte in primo grado;
la misura della penale è solo parametrata non alle provvigioni maturate, bensì alle somme erogate con la transazione.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE (già srl) ha resistito con controricorso.
6.- La Consigliere delegata dal Presidente ha formulato una proposta di definizione accelerata ex art. 380 bis c.p.c., ritenendo in ricorso improcedibile per mancato deposito della relata di notifica della sentenza impugnata, dichiarata dallo stesso ricorrente come notificato in data 20/02/2024.
7.- Il ricorrente ha presentato tempestiva istanza di decisione e poi ha depositato memoria.
8.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Il ricorso è improcedibile, perché il ricorrente non ha depositato la relata di notifica della sentenza impugnata, che egli stesso ha dichiarato essergli stata notificata in data 02/02/2024.
Al riguardo proprio in funzione nomofilattica questa Corte ha affermato che la dichiarazione contenuta nel ricorso per cassazione di avvenuta notificazione della sentenza impugnata, attesta un “fatto processuale” – la notificazione della sentenza – idoneo a far decorrere il termine “breve” di impugnazione e, quale manifestazione di “autoresponsabilità” della parte, impegna quest’ultima a subire le conseguenze di quanto dichiarato, facendo sorgere in
capo ad essa l’onere di depositare, nel termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., copia della sentenza munita della relata di notifica (ovvero delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e di ricezione, in caso di notificazione a mezzo PEC), senza che sia possibile recuperare alla relativa omissione mediante la successiva, e ormai tardiva, produzione ai sensi dell’art. 372 c.c. (Cass. sez. un. n. 21349/2022; v. altresì Cass. ord. n. 27883/2024).
Come ha già affermato la Consigliera con la P.D.A., non è possibile evitare questa sanzione mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio (Cass. sez. un. n. 10648/2017; Cass. sez. un. n. 21349/2022), poiché tale rimedio è utilizzabile solo nel caso in cui il termine per ricorrere per cassazione sia ricollegato dalla legge alla comunicazione del provvedimento, adempimento che finisce poi nel fascicolo d’ufficio, la cui acquisizione consente, quindi, a questa Corte di poter verificare il rispetto del termine breve di impugnazione e, quindi, la tempestività del ricorso per cassazione.
Diversamente, quello stesso rimedio non è utilizzabile -ovviamente -qualora il predetto termine di impugnazione sia dalla legge ricollegato alla notifica della sentenza impugnata ad iniziativa di parte, che, come tale, non è destinata ad essere acquisita nel fascicolo d’ufficio, sicché l’ acquisizione di tale fascicolo lascerebbe comunque questa Corte nell’impossibilità di verificare la tempestività del ricorso per cassazione.
2.L’esito decisorio della presente ordinanza è conforme alla proposta di definizione accelerata. Pertanto vanno altresì pronunziate le condanne di cui all’art. 96, co. 3 e 4, c.p.c., visto l’espresso richiamo nell’art. 380 bis, ult. co., c.p.c., secondo le misure indicate nel dispositivo. Trattasi invero della codificazione, attraverso una valutazione legale tipica, di un’ipotesi di abuso del processo. E pur volendo darne un’interpretazione costituzionalmente compatibile (Cass. sez. un., ord. n. 36069/2023), nel caso concreto non sussistevano ragioni che potessero giustificare l’istanza di decisione secondo un criterio ragionevole di prudenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, nonché a pagare alla
contro
ricorrente la somma di euro 2.000,00 e alla cassa delle ammende la somma di euro 2.000,00.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data