Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2148 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2148 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 21747 – 2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa per delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2500/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 17/4/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/6/2023 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria della ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 3 giugno 2011, RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, RAGIONE_SOCIALE (quale società incorporante RAGIONE_SOCIALE) esponendo che, in forza di contratto di cessione del 29 maggio 2007, era subentrata alla convenuta nel contratto di leasing e nel contratto di locazione relativi al complesso immobiliare sito in Roma, INDIRIZZO, edifici 8 e 9, condotto dalla terza RAGIONE_SOCIALE e, altresì, nei «contratti ulteriori» (così indicati convenzionalmente) di appalto a corpo, stipulati in data 30 gennaio e 2 maggio 2007 tra RAGIONE_SOCIALE e l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, per l’esecuzione di lavori presso entrambi i suddetti edifici 8 e 9; al punto 2.3.2, lettera a) del contratto di cessione era stato espressamente previsto che la cedente RAGIONE_SOCIALE avrebbe gestito per conto della cessionaria questi contratti di appalto, «dandovi puntuale esecuzione» e avrebbe tenuto RAGIONE_SOCIALE manlevata e indenne da eventuali pretese, nonché da ogni perdita, danno, costo o spesa che avesse sofferto per la non corretta esecuzione dai contratti in parola; alla successiva lettera b), RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si era impegnata, ex art. 1381 cod. civ., alla corretta esecuzione di tali contratti in essere, senza pretendere alcuna modifica dei termini o dei corrispettivi pattuiti o comunque un maggior prezzo anche per eventuali varianti; in corso d’opera, l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE aveva iscritto riserve per un valore complessivo pari ad Euro 450.273,27, chiedendone il pagamento e attivando la procedura arbitrale; con lodo arbitrale del
15 ottobre 2010 era stata quindi condannata al pagamento di quanto preteso da RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto, in forza dell’obbligo di manleva previsto in contratto, RAGIONE_SOCIALE chiese la condanna della cedente RAGIONE_SOCIALE al rimborso della somma di Euro 627.111,38 corrisposta all’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Con sentenza n. 20294/2014, il Tribunale accolse la domanda, riconoscendo in capo a RAGIONE_SOCIALE l’obbligo di rimborso del prezzo corrisposto all’appaltatrice in forza del lodo, dando, altresì, atto che nello stesso corpo della lett. b del punto 2.3.2. del regolamento di cessione, era stata pattuita la promessa, espressamente qualificata come promessa del fatto del terzo, che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe rivendicato corrispettivi in dipendenza di eventuali varianti, «sicché il maggior prezzo dell’appalto per il quale era intervenuta condanna arbitrale restava a carico del promittente tenuto a indennizzare l’altro contraente già sulla base dell’art. 1381 cod. civ.».
Con sentenza n. 2500/2018, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello di RAGIONE_SOCIALE, rigettò la domanda di RAGIONE_SOCIALE perché ritenne che la cedente avesse assunto unicamente l’obbligo di responsabilità per le «eventuali varianti» intese come necessità esecutive dell’opera progettata , mentre nel giudizio arbitrale intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era stato acclarato che le opere per le quali erano state iscritte le riserve non erano previste nei progetti approvati ed erano state ordinate dalla stazione appaltante quali lavori aggiuntivi, per esigenze della conduttrice.
Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi, a cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve dichiararsi l’inammissibilità del controricorso di RAGIONE_SOCIALE per difetto di procura: manca, in calce al testo a margine contenente la procura alle liti, la sottoscrizione del conferente intimato di cui è soltanto riportato, dallo stesso procuratore, il nome, seguito dalla dicitura «è autentica» che, pertanto, non è invece riferibile ad alcuna firma.
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE ha prospettato la violazione degli art. 1367 e 1661 cod. civ . nell’interpretazione del patto di manleva: la Corte d’Appello, ritenendo inoperante il patto di manleva e l’obbligo di indennizzo oltre i limiti dell’alea fisiologica del contratto, avrebbe privato di senso lo stesso patto, stipulato invece proprio per coprire i costi connessi alle varianti esorbitanti dall’alea contrattuale; in quanto tali, queste varianti avrebbero potuto legittimare l’appaltatore a richiedere una maggiorazione del corrispettivo, in deroga rispetto alla regola ordinariamente applicabile al «patto di forfait» ; ai sensi dell’art. 1661 cod. civ., peraltro, all’appaltatore sono dovuti, in via eccezionale e in deroga al principio di immodificabilità del prezzo nei contratti a corpo, compensi aggiuntivi proprio nelle ipotesi -opposte a quelle individuate dalla Corte d’Appello di effettivo superamento del rischio assunto con l’offerta a corpo, oltre l’alea normale.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Risulta dal ricorso che al punto 2.3.2, lettera a) del contratto di cessione del 29 maggio 2007, le parti avevano espressamente concordato che la società cedente avrebbe gestito «per conto della cessionaria, i contratti ulteriori ceduti dandovi puntuale esecuzione»; alla successiva lettera b), RAGIONE_SOCIALE aveva promesso altresì alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE che i contraenti ceduti avrebbero
dato «corretta esecuzione a tali contratti in essere, senza che sia avanzata alcuna richiesta di modifica dei termini o dei corrispettivi pattuiti, o comunque qualsiasi maggiore onere anche per eventuali varianti»; la stessa cedente si era quindi impegnata altresì a tenere indenne la cessionaria RAGIONE_SOCIALE da eventuali pretese, nonché da ogni perdita, danno, costo o spesa che avesse subito o sofferto per la non corretta esecuzione dai contratti in parola (incluse le eventuali penali).
La Corte d’appello ha escluso che operasse la manleva per le somme pretese; ha rilevato, infatti, che nel giudizio arbitrale intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era stato acclarato che i lavori per i quali erano state iscritte le riserve non erano previsti nei progetti approvati ed erano stati ordinati dalla stazione appaltante quali lavori aggiuntivi per esigenze della conduttrice; ha ritenuto non rilevante il fatto che il contratto fosse gestito dalla RAGIONE_SOCIALE cedente perché la cessionaria aveva direttamente impartito l’ordine di esecuzione di questi lavori; ha rimarcato che in contratto era stato assunto unicamente l’obbligo di responsabilità per le «eventuali varianti» intese come necessità esecutive dell’opera progettata; ha ritenuto, perciò, che le nuove opere non potessero essere comprese nell’alea del contratto «a corpo»; la manleva, infatti, doveva restare confinata nei limiti dell’aleatorietà fisiologica del contratto a corpo per scongiurare che l’impegno economico della garante risultasse indeterminato nell’oggetto e, perciò , nullo.
Questa interpretazione è stata resa in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che ha già affermato (v. Cass. Sez. 2, n. 9767 del 12/05/2016, citata in senso opposto dalla ricorrente) che nel più ampio genus delle opere «extracontrattuali», tali proprio perché introducono nella prestazione dell’appaltatore elementi non previsti in contratto, le «varianti» si identificano sì come opere nuove,
ma necessarie per la completa e migliore esecuzione dell’opera ovvero per la realizzazione della stessa a regola d’arte o che in ogni caso, pur importando modifica all’opera, rientrino sempre nel piano dell’opera stessa; al contrario, non costituiscono «varianti» ma lavori extracontrattuali le opere nuove che, «pur avendo una qualche relazione o connessione con l’opera, non sono necessarie alla completa o migliore esecuzione di questa né rientrano nel piano della medesima, ma costituiscono opere aventi una propria individualità, distinta da quella dell’opera originaria o che integrano un’opera a sé stante».
Seppure con motivazione stringata, la Corte d’appello ha proprio applicato questo principio laddove ha distinto tra le opere conseguenti alle «necessità esecutive» dell’appalto e le opere aggiuntive non previste in progetto e ordinate per esigenze della conduttrice.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ha sostenuto che la Corte territoriale non avrebbe considerato che la gestione dell’appalto era stata riservata ad RAGIONE_SOCIALE, nonché in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., avrebbe travisato le prove in ordine al suo ruolo nella gestione dell’appalto.
2.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Per principio ormai consolidato, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile soltanto ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia
soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile soltanto nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U., n. 20867 del 30/09/2020).
Nella specie, dunque, la Corte d’appello non ha affatto omesso di considerare che RAGIONE_SOCIALE aveva la gestione del contratto di appalto; ha considerato, invece, la circostanza non rilevante: non in sé, tuttavia, come prospettato in ricorso, ma in quanto superata dal fatto che lo specifico ordine di questi lavori aggiuntivi è stato «impartito direttamente da RAGIONE_SOCIALE» e, come tale, risulta esorbitante da questa «gestione».
Ancora una volta, con la sua motivazione succinta, la Corte territoriale ha comunque spiegato perché ritenesse il prezzo delle opere aggiuntive di cui alle riserve estranee all’alea del contratto come delineata nell’accordo di cessione intervenuto tra le parti.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE ha lamentato la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 cod. civ. e degli art. 1938 e 1381 cod. civ., per non avere la Corte d’appello considerato che la determinabilità dell’oggetto dell’accordo di manleva dei maggiori oneri conseguiva dal fatto che la cedente obbligata in ogni caso manteneva la gestione diretta dell’appalto sicché ben avrebbe potuto «attivarsi nei confronti dell’appaltatore » (così in ricorso) in modo da evitarne l’iscrizione a riserva .
3.1. Le considerazioni svolte ai punti 1.1. e 2.1. già escludono la fondatezza di questo motivo che, peraltro, al fine di supportare una diversa interpretazione della volontà delle parti, si risolve in una
richiesta di rivalutazione di alcune circostanze di fatto – la natura delle opere commissionate, l’ambito del potere di gestione della cedente, i rapporti intercorsi tra la stessa ricorrente cessionaria e l’appaltatrice -evidentemente preclusa in questa sede di legittimità.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ha infine lamentato che la Corte abbia omesso di considerare che RAGIONE_SOCIALE si era obbligata con una promessa del fatto del terzo.
4.1. Anche questo motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi : la Corte d’appello ( ultimo periodo della prima pagina della sentenza) ha proprio rimarcato che, pur considerato come promessa del fatto del terzo , l’accordo di manleva poteva coprire soltanto la richiesta di maggiori oneri per le «varianti», cioè per le sole nuove opere attinenti alle «necessità esecutive», come identificate nel prosieguo della motivazione e come qui già esposto al punto 1.1.
Il ricorso è perciò respinto.
Non vi è luogo alla statuizione sulle spese in conseguenza dell’inammissibilità del controricorso.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda