Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21796 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21796 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 27688/2024 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti –
nonché
COGNOME DOMENICO;
-intimato –
avverso la sentenza n. 70/2019 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 14/06/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), NOME, NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME, con atto del 2014, citarono in giudizio NOME COGNOME, perché quest’ultimo fosse condannato ad adempiere gli obblighi assunti con l’accordo di famiglia intervenuto fra le parti il 5/8/2008, siccome successivamente modificato da due transazioni, di cui una giudiziale, nonché a risarcire il danno procurato dall’inadempimento.
Il convenuto eccepì che il negozio del 5/8/2008 era nullo per difetto della forma solenne (atto pubblico) prescritta dall’art. 768 ter cod. civ., trattandosi di patto di famiglia.
In via riconvenzionale chiese condannarsi gli attori al risarcimento del danno per averlo estromesso senza giusta causa dalla società di famiglia RAGIONE_SOCIALE
L’adito Tribunale, accolta l’eccezione, dichiarò nulli per vizio di forma l’anzidetto accordo e le successive transazioni, che lo integravano e modificavano.
Rigettò, inoltre, la domanda riconvenzionale sul rilievo che l’attore in riconvenzionale aveva prestato acquiescenza alla delibera del 2/11/2013 con la quale era stato estromesso dalla società.
La Corte d’appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, investita dall’appello principale degli attori e da quello incidentale del convenuto, accolse il primo e rigettò il secondo, statuendo che NOME COGNOME era debitore nei confronti della RAGIONE_SOCIALE della
complessiva somma di € 1.948.220,79 e nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME della rendita vitalizia mensile di € 500,00, con decorrenza dal mese di febbraio del 2012, oltre accessori; dichiarò inoltre che NOME COGNOME non aveva diritto alla liquidazione della quota di sua pertinenza nella RAGIONE_SOCIALE.
La discrasia d’epilogo giudiziale consiglia di richiamare, sia pure in sintesi, gli argomenti motivazionali salienti della sentenza di secondo grado, per quel che ancora residua d’utile in questa sede.
4.1. Alla famiglia RAGIONE_SOCIALE facevano capo due società: RAGIONE_SOCIALE, che produceva mobili e RAGIONE_SOCIALE, proprietaria d’immobili e impianti, fra i quali quelli utilizzati in affitto dalla prima società.
Dall’accordo dell’agosto del 2008 si poteva apprendere che i genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME, insieme ai figli NOME, NOME, NOME e NOME, possedevano il 76,50% delle quote di RAGIONE_SOCIALE e la quota restante del 23,50% era posseduto da NOME COGNOME, fratello di NOME. Per quanto riguardava, invece, la RAGIONE_SOCIALE, l’accomandatario e gli accomandanti NOME e NOME possedevano l’intero patrimonio sociale.
Con la richiamata convenzione si stabilì di assegnare a NOME la RAGIONE_SOCIALE e ai suoi fratelli la RAGIONE_SOCIALE, con la previsione di conguagli donativi da parte dei genitori, al fine di pareggiare le quote. A quest’ultimi era stato riservato il diritto d’abitazione in un immobile della RAGIONE_SOCIALE e una rendita vitalizia.
Per compensare NOME dalla dismissione della quota in RAGIONE_SOCIALE si era previsto il trasferimento di taluni beni (con esclusione degli immobili aziendali) da attuarsi attraverso un’operazione di scissione societaria cd. asimmetrica, di talché, a conclusione dell’operazione, i predetti beni sarebbero confluiti in una terza e nuova società facente capo esclusivamente a NOME.
I beni di RAGIONE_SOCIALE che fino a quel momento erano condotti in affitto d’azienda da RAGIONE_SOCIALE, avrebbero continuato a essere da quest’ultima detenuti in forza di un contratto di locazione.
4.2. Dopo avere delineato le caratteristiche essenziali del patto di famiglia, la Corte di merito esclude che il superiore accordo possa inscriversi nel perimetro dell’istituto regolato dagli artt. 768 bis e seg. cod. civ., mancando lo scopo del trasferimento societario ai discendenti, in via stabile e anticipata, in quanto i figli di NOME COGNOME e NOME COGNOME erano già tutti soci di RAGIONE_SOCIALE e i figli NOME e NOME lo erano anche di RAGIONE_SOCIALE Conclude la sentenza, <>. Inoltre, gli assegnatari non si erano obbligati al pagamento di somme compensative delle quote di riserva spettanti agli eredi legittimari e neppure nei confronti della madre, erede necessaria, che era socia di RAGIONE_SOCIALE, chiamata, con il marito ad atti di liberalità al fine di conguaglio.
Secondo la Corte di Trento, Sezione di Bolzano, <>.
4.3. La domanda di condanna di NOME COGNOME all’adempimento delle obbligazioni assunte con il negozio dell’agosto del 2008, a parte la sua genericità, risultava priva di rilievo in quanto: il rilascio degli immobili appartenenti a RAGIONE_SOCIALE era, seppur tardivamente, già avvenuto; NOME era stato estromesso da RAGIONE_SOCIALE il 23/11/2013; la scissione societaria asimmetrica non poteva disporsi giudizialmente, non essendo in giudizio la società che avrebbe dovuto essere beneficiaria. Inoltre, la domanda concernente quest’ultimo adempimento era stata già avanzata in giudizio e disattesa dal Tribunale di Bolzano con sentenza dell’11/2/2013.
4.4. Quanto alla domanda di risarcimento del danno risultava decisivo l’accordo transattivo giudiziale del 20/7/2010, con il quale ciascuna delle parti si era resa garante del completo, esatto e tempestivo adempimento.
Trattavasi di una ‘fideiussio indemnitatis’, che, nel caso di prestazione infungibile non eseguita dal debitore principale, trasforma la garanzia fideiussoria in obbligazione pecuniaria. Quindi, il convenuto appellato era responsabile del ritardato rilascio degli immobili che erano appartenuti a RAGIONE_SOCIALE, condotti in locazione da RAGIONE_SOCIALE, medio tempore fallita, società di cui egli era socio unico e amministratore.
Con la transazione del luglio del 2010 il debito della morosa RAGIONE_SOCIALE era stato determinato, anche per il futuro, in € 1.500,00 giornaliere.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) era stata ammessa al passivo del fallimento della RAGIONE_SOCIALE per l’ammontare di € 1.036.901,87, con una riduzione di € 930.000,00.
La circostanza che la decurtazione non fosse stata contestata in sede fallimentare, precisa la decisione, non poteva condurre alla conclusione che la creditrice vi abbia rinunziato e, pertanto, il
garante NOME COGNOME era tenuto al pagamento della complessiva somma di € 1.948.220, 79.
4.5. L’appellato si era obbligato a corrispondere il 20% della rendita vitalizia mensile di € 2.500,00 in favore dei genitori e nonostante che quest’ultimi avevano adempiuto gli impegni assunti, trasferendo le proprie partecipazioni ai figli, NOME era venuto meno al proprio e, quindi, doveva essere condannato a corrispondere la quota di sua debenza dal mese di febbraio 2012.
4.6. Nessuna delle parti aveva chiesto la risoluzione degli accordi intercorsi, anzi, ognuna aveva instato per la sua esecuzione; neppure NOME, il quale, pur avendo eccepito la nullità, in via di subordine non aveva chiesto la risoluzione.
Di conseguenza, l ‘ estromissione di quest’ultimo dalla RAGIONE_SOCIALE (delibera del 2/11/2013) doveva reputarsi rientrare nel piano esecutivo del programma negoziale e, pertanto, al medesimo non spettava liquidazione di quota alcuna.
Inoltre NOME COGNOME non aveva mai impugnato la delibera di esclusione.
Negata, infine, l’eccepita nullità dell’accordo, il rigetto di una tale pretesa e, quindi, l’accoglimento dell’accertamento negativo chiesto dagli appellanti, giustificavano pienamente la non spettanza di liquidazione della quota.
NOME COGNOME ricorre sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), NOME, NOME; NOME, NOME e NOME resistono con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1372, 768 bis, 782, 1351 e 458 cod. civ.
Con il motivo si deduce che la Corte d’appello aveva errato a non qualificare la convenzione dell’agosto del 2008 come patto di
famiglia, contratto tipico del quale l’accordo aveva tutti gli elementi: parteciparono l’imprenditore (il padre), la moglie di costui, in qualità di legittimaria, e tutti i figli di entrambi; NOME COGNOME trasferì ai propri discendenti tutte le sue partecipazioni nelle società da lui fondate; i figli ricevettero le partecipazioni; alla madre, NOME COGNOME, unica legittimaria, al solo ipotizzabile titolo di soddisfazione della quota di riserva, venne riconosciuto il diritto d’abitazione, l’uso d’una autovettura e la rendita vitalizia.
Conferma della conformità al tipo si ricavava dal raggiungimento dello scopo legislativo di evitare la frammentazione societaria alla morte dell’imprenditore, favorendo il passaggio dell’impresa alla successiva generazione.
Trattavasi, in definitiva, di un patto di famiglia, la cui esecuzione era affidata a un programma negoziale già previsto, avente natura onerosa (l’assegnazione delle quote risulta compensata dal diritto d’abitazione, d’uso dell’autovettura e dalla rendita vitalizia).
Patto di famiglia nullo per mancanza della forma solenne prevista dalla legge.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., anche in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Con sentenza n. 11/2013 del Tribunale di Bologna, passata in giudicato, era stata implicitamente accertata, spiega il ricorrente, la nullità del patto di scissione contenuto nella convenzione dell’agosto del 2008 e sue successive modifiche.
Ciò, anche a non volere reputare che si fosse in presenza di un patto di famiglia privo di forma ‘ad substantiam’, lo stesso non poteva sfuggire alla sanzione della nullità, perché nullo, per sentenza irrevocabile, il contemplato accordo di scissione societaria, senza essa le parti non avrebbero concluso il contratto.
La Corte d’appello aveva omesso di tener conto del fatto decisivo costituito dal passaggio in giudicato anzidetto, che era rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1372, 1936, 1937, 1938 cod. civ., nonché <>.
Il ricorrente contesta essersi data vita con il verbale di conciliazione citato a una ‘fideiussio indemnitatis’, mancando i presupposti di legge e, in particolare l’espressa volontà di garantire un debito altrui, non essendo stato individuato il debitore, nonché l’indicazione dell’importo massimo garantito.
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Il ricorrente spiega che la Corte d’appello aveva fondato la responsabilità dell’esponente sul presupposto che costui si fosse <>, nonostante non fosse stato rilevato inadempimento alcuno da parte del medesimo.
Tuttavia, le domande degli attori non erano dirette a <>.
La Corte d’appello, sbagliando, non aveva pronunciato condanna <>.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2287, 2289 e 2043 cod. civ., si duole del mancato accoglimento dell’appello incidentale, nonostante il Tribunale avesse affermato che egli, elasso il termine decadenziale,
non poteva più dolersi dell’esclusione dalla RAGIONE_SOCIALE, il che sarebbe stato vero solo ove egli avesse richiesto la reintegrazione, mentre aveva solo domandato di essere risarcito del danno patito.
Reputa il Collegio, impregiudicato il vaglio della specificità dei motivi del ricorso sotto il profilo dell’autosufficienza documentale (in particolare avuto riguardo agli atti negoziali e alla sentenza di cui viene asserito passaggio in giudicato e rilevanza), che per le questioni in diritto poste, con particolare riferimento al patto di famiglia e alla fideiussione indemnitatis, sia opportuno rimettere la trattazione alla pubblica udienza.
P.Q.M.
rimette la trattazione della causa alla pubblica udienza.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024