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Patto commissorio: vendita e leasing tra società collegate

La Cassazione chiarisce i confini del divieto di patto commissorio in un’operazione complessa di vendita e leasing tra società collegate. Sebbene respinga la nullità del contratto, accoglie il ricorso per vizio di motivazione sull’azione revocatoria, cassando con rinvio la sentenza d’appello.

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Patto Commissorio tra Società Collegate: La Cassazione Fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, interviene su un caso complesso che intreccia diritto immobiliare, finanziario e fallimentare. La pronuncia offre importanti spunti di riflessione sul divieto di patto commissorio nell’ambito di operazioni strutturate, come la vendita di un immobile a una società di leasing con contestuale locazione finanziaria a un’altra società appartenente allo stesso gruppo della venditrice. Sebbene la Corte non ravvisi la nullità del contratto, cassa la decisione dei giudici d’appello per un grave difetto di motivazione riguardo all’azione revocatoria.

I fatti del caso: un’operazione immobiliare e finanziaria articolata

Una società in accomandita semplice, in difficoltà economica e con un immobile gravato da ipoteche, vende la proprietà a una società di leasing e a un istituto di credito. Lo stesso giorno, gli acquirenti concedono il medesimo immobile in leasing a un’altra società a responsabilità limitata. Quest’ultima, pur essendo un soggetto giuridico distinto, presenta la stessa compagine sociale della venditrice, operando di fatto all’interno di una logica di gruppo.
Il prezzo della vendita viene utilizzato per compensare crediti preesistenti della banca acquirente, per estinguere altre ipoteche e per fornire alla società utilizzatrice la provvista necessaria a pagare il maxicanone iniziale del leasing.
Il curatore del fallimento della società venditrice agisce in giudizio chiedendo di dichiarare la nullità dell’intera operazione per violazione del divieto di patto commissorio o, in subordine, la revoca del contratto ai sensi dell’art. 2901 c.c.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Divieto di Patto Commissorio

La Corte d’Appello aveva escluso la violazione del divieto di patto commissorio, ritenendo che lo schema contrattuale fosse lecito. La Cassazione, pur correggendo in parte la motivazione dei giudici di secondo grado, giunge alla stessa conclusione su questo punto. La Suprema Corte ribadisce che il divieto di patto commissorio si applica a qualsiasi negozio, anche complesso e indiretto, che persegua il risultato vietato: il trasferimento della proprietà di un bene al creditore come conseguenza del mancato pagamento di un debito. Tuttavia, l’onere di dimostrare la causa di garanzia illecita spetta a chi la allega.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ritenuto non sufficientemente provati gli ‘elementi patologici’ che trasformano un’operazione di per sé lecita (come il ‘sale and lease back’) in un patto commissorio vietato. Tra questi elementi rientrano la preesistenza di un debito, le difficoltà economiche del venditore e la sproporzione tra il valore del bene e il prezzo pagato. La valutazione del giudice di merito su questi aspetti è un’indagine di fatto, non sindacabile in Cassazione se sorretta da una motivazione logica e non meramente apparente.

L’Accoglimento del Ricorso sull’Azione Revocatoria

Se la questione del patto commissorio non supera il vaglio della Cassazione, diverso è l’esito per la domanda subordinata di revoca del contratto. Il fallimento lamentava che la Corte d’Appello avesse liquidato la richiesta con una motivazione superficiale, quasi inesistente.
La Cassazione accoglie pienamente questa doglianza. I giudici di legittimità rilevano come la Corte d’Appello si sia limitata ad affermare che ‘nulla è stato dedotto e non sono state formulate in questa sede istanze istruttorie’, ignorando completamente le argomentazioni e le prove prodotte dal fallimento sin dal primo grado, come la documentazione attestante l’ingente passivo fallimentare.

Le motivazioni

La motivazione della Corte d’Appello sull’azione revocatoria viene definita ‘apodittica’ e ‘meramente apparente’. Tale motivazione non rispetta il ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111 della Costituzione, poiché i giudici di merito hanno omesso qualsiasi esame dei presupposti della tutela richiesta, senza confrontarsi con le allegazioni della parte attrice. Questa grave carenza motivazionale determina la nullità della sentenza sul punto specifico. La Corte chiarisce che il giudice non può semplicemente ignorare le istanze e le prove fornite, ma deve esaminarle e spiegare le ragioni della propria decisione.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione rigetta i motivi relativi alla nullità per violazione del divieto di patto commissorio, ma accoglie il motivo relativo all’azione revocatoria. Di conseguenza, cassa la sentenza impugnata limitatamente a questo punto e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, affinché riesamini nel merito la domanda di revoca, tenendo conto di tutte le argomentazioni e le prove offerte dal fallimento. La sentenza sottolinea la differenza tra la valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità se ben motivata, e l’omissione totale di una motivazione, che costituisce un vizio gravissimo sanzionabile con la cassazione della pronuncia.

Una vendita seguita da un leasing a una società collegata costituisce sempre un patto commissorio vietato?
No, non necessariamente. Secondo la Corte, questo schema non è di per sé illecito. Diventa nullo per violazione del divieto di patto commissorio solo se viene provato che la sua ‘causa concreta’ non è quella di un trasferimento di proprietà e di una locazione finanziaria, ma quella di costituire una garanzia atipica in cui il trasferimento del bene è subordinato all’inadempimento di un debito preesistente.

Quali sono gli elementi che possono indicare la presenza di un patto commissorio mascherato in un’operazione di ‘sale and lease back’ o simili?
La giurisprudenza ha individuato alcuni indizi sintomatici, tra cui: l’esistenza di una situazione di credito e debito tra le parti prima dell’operazione, le difficoltà economiche del venditore-utilizzatore, e una significativa sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione d’appello riguardo all’azione revocatoria?
La Corte ha annullato la decisione perché la motivazione della Corte d’Appello era ‘meramente apparente e quindi assente’. I giudici di secondo grado avevano rigettato la domanda senza esaminare i presupposti dell’azione e senza considerare le argomentazioni e le prove prodotte dal fallimento. Questa omissione costituisce un vizio di nullità della sentenza per violazione del minimo costituzionale di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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