Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 233 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
R.G.N. 27486/19
C.C. 21/11/2024
Vendita -Preliminare -Retrovendita -Divieto di patto commissorio
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 27486/2019) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE -già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE -(P.IVA: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentate e difese, giusta procura in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
e
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME
COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZOpresso lo studio RAGIONE_SOCIALE;
-controricorrenti –
nonché
COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO);
-intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 149/2019, pubblicata l’11 aprile 2019, notificata a mezzo PEC il 10 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse del ricorrente e dei controricorrenti RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e NOME, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 26 settembre 2008, la SRAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano, davanti al Tribunale di Campobasso, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, al fine di sentire accertare la nullità, per violazione del divieto di patto commissorio, dei seguenti contratti: A) contratto di compravendita concluso il 9 febbraio 2006, con cui la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE alienava a COGNOME NOME, per il prezzo di euro 1.800.000,00, oltre IVA, il fabbricato sito in Campobasso, alla contrada INDIRIZZO costituente già bene
strumentale della società alienante, con annessa area urbana della superficie di mq. 4.360, per una superficie complessiva di circa mq. 10.000; B) contratto di deposito cauzionale a garanzia e costituzione di pegno del 9 febbraio 2006, con cui l’alienante e l’acquirente rappresentavano che, contrariamente a quanto scritto nell’atto di vendita, l’immobile compravenduto e gli spazi circostanti erano ancora utilizzati dalla società venditrice, con l’impegno di quest’ultima alla completa liberazione da persone e cose entro il 30 dicembre 2006 e con la dazione, a garanzia del rilascio, a cura della venditrice e in favore dell’acquirente, dell’importo di euro 200.000,00, che sarebbe stato restituito all’atto della regolare liberazione dell’immobile da qualsivoglia ingombro; C) contratto preliminare di vendita del 9 febbraio 2006, con cui COGNOME NOME prometteva di vendere a COGNOME NOME i beni già oggetto della primaria vendita entro il 31 dicembre 2006 al complessivo prezzo di euro 2.300.000,00, oltre IVA, con la previsione che, qualora entro la data del 31 dicembre 2006 COGNOME NOME avesse ottenuto -da parte del Comune di Campobasso -l’autorizzazione alla costruzione e all’ampliamento e avesse quindi potuto costruire ampliando la struttura esistente, COGNOME NOME e/o la persona e/o la società da quest’ultimo indicata nell’atto definitivo avrebbero potuto acquistare unicamente il fabbricato di mq. 1.300 al complessivo prezzo di euro 1.300.000,00, oltre IVA, da versare allo COGNOME al momento della stipula dell’atto definitivo; con la condanna alla restituzione dei cespiti e al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione.
Esponevano gli istanti che i contratti esaminati nella loro unitarietà dissimulavano un prestito, con la previsione
dell’immediata cessione del bene a garanzia della restituzione delle somme prestate.
Si costituiva in giudizio COGNOME Domenico, il quale contestava, in fatto e in diritto, la fondatezza delle domande avversarie, concludendo per il loro rigetto.
Si costituivano altresì COGNOME NOME e NOMECOGNOME i quali evidenziavano la loro estraneità rispetto all’oggetto delle domande proposte, in ragione dell’avvenuta cessione onerosa delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE, avvenuta il 9 febbraio 2006 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME con assunzione -a cura dei cessionari -di tutti i residui debiti sociali, e chiedevano pertanto la loro estromissione dal giudizio.
Rimaneva contumace COGNOME NOME.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 232/2014, depositata il 12 marzo 2014, dichiarava la nullità dell’atto di vendita stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME il 9 febbraio 2006, limitatamente al fabbricato sito in Campobasso, INDIRIZZO costituente già bene strumentale della società alienante, con la condanna di COGNOME NOME all’immediata restituzione, in favore della RAGIONE_SOCIALE., di tale fabbricato e al pagamento, sempre in favore della RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di euro 844.924,84, oltre IVA e interessi legali, a titolo di risarcimento danni da occupazione illegittima, mentre respingeva la domanda proposta con riferimento all’area urbana circostante il fabbricato.
2. -Con atto di citazione notificato il 22 aprile 2014, COGNOME Domenico proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado,
lamentando: 1) la mancata estensione del contraddittorio, ai fini della partecipazione al giudizio della RAGIONE_SOCIALE, società nominata terza acquirente da COGNOME Paolo, in forza del preliminare di vendita; 2) l’errata valutazione delle prove, orali e documentali, in atti; 3) la contraddittorietà della sentenza appellata, nella parte in cui era stata dichiarata soltanto la nullità parziale del primo atto di vendita, mentre era stata esclusa la simulazione con riferimento all’alienazione dell’area circostante; 4) l’errata statuizione in ordine alla misura del liquidato risarcimento del danno in favore della RAGIONE_SOCIALE per l’indebita occupazione senza titolo dei fabbricati compravenduti e poi retrocessi.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali instavano per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell’appello, con la conferma della decisione impugnata.
Si costituivano altresì NOME NOME e NOMECOGNOME i quali ribadivano la loro estraneità al giudizio per mancanza di alcuna censura nei loro confronti.
Rimaneva contumace COGNOME NOME.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Campobasso, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione spiegata e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia appellata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che nel giudizio intrapreso la società nominata per la produzione dell’effetto
traslativo conseguente alla stipula del preliminare era del tutto estranea alle parti in causa, anche in considerazione del fatto che la nomina del terzo non era risultata trascritta nei pubblici registri immobiliari e nessuna indicazione era contenuta nella trascrizione dell’azione ex art. 2932 c.c., effettuata dal promissario acquirente COGNOME NOMECOGNOME sicché correttamente non doveva essere ordinata alcuna integrazione del contraddittorio; b ) che le prove orali e documentali in atti erano state correttamente valutate, traendo da esse i seguenti rilievi: che l’atto principale di compravendita stabiliva il prezzo dell’operazione dell’intero in complessivi euro 1.800.000,00 e la contestuale immissione nel possesso giuridico e materiale dell’acquirente; -che l’atto di deposito cauzionale precisava che, contrariamente a quanto rilevato nella vendita, il rilascio e la totale liberazione degli spazi (che erano ancora ingombri) sarebbero avvenuti entro il successivo 30 dicembre 2006; -che il preliminare di compravendita prevedeva la promessa di vendita dello stesso complesso di cui alla primaria vendita per il prezzo di euro 2.300.000,00 entro il 31 dicembre 2006 (sicché, di fatto, la famiglia COGNOME era lasciata nella continuità del possesso) ovvero della minor consistenza (limitatamente ai soli fabbricati) per il prezzo di euro 1.300.000,00, nell’ipotesi in cui il promittente alienante avesse ottenuto, sempre entro la precisata data, le autorizzazioni alla costruzione e all’ampliamento della struttura esisten te; – che tale atto, singolare ed eccentrico, consentiva il diritto di ricompra, dopo soli 11 mesi, in favore di COGNOME NOME, del complesso industriale al prezzo di euro 2.300.000,00, in caso di mancato ottenimento delle autorizzazioni comunali, complesso che versava
nelle identiche condizioni iniziali di acquisto, con una maggiorazione del prezzo di euro 500.000,00; -che le menzionate operazioni erano evidentemente anomale rispetto alla prassi commerciale, per la previsione di una vendita a terzi e contestualmente di una promessa di vendita o di ricompra del medesimo complesso in favore del figlio del titolare della RAGIONE_SOCIALE entro 11 mesi, con l’evidente ingiustificato spreco di costi per i relativi atti pubblici, che potevano essere evitati con la vendita diretta in favore di COGNOME NOME; – che era ulteriormente singolare la redazione di tutti gli atti innanzi richiamati nella stessa data del 9 febbraio 2006, con le evidenti contraddizioni in ordine allo stato di occupazione del complesso emarginato; c ) che siffatte peculiarità, in uno con la verifica del prezzo pattuito dalle parti, a fronte del valore finale del bene individuato dal collegio peritale in complessivi euro 2.768.400,00 (con una riduzione del prezzo indicato nella vendita nella misura del 35%), tanto da far ritenere che il corrispettivo stabilito nell’atto di vendita non fosse congruo (per l’evidente sproporzione), nonché la puntuale rilettura delle esperite prove per testi (e, in particolare, del teste NOME COGNOME il quale aveva riferito che l’operazione, alla quale era stato presente nelle fasi delle trattative, altro non fosse che un prestito), in modo condivisibile inducevano a ritenere che la vendita in realtà simulasse un prestito a scopo di garanzia; d ) che, in base al previsto diritto di riscatto (ricompra), di cui al preliminare, ove fosse stata integrata la prima ipotesi, sarebbe risultato prevalente -anzi esclusivo -lo scopo di garanzia, mentre, ove fosse stata integrata la seconda ipotesi, sarebbe risultato prevalente lo scopo di vendita, anche alla luce del fatto
che effettivamente le profilate autorizzazioni erano state conseguite entro il termine pattuito del 31 dicembre 2006, con la conseguente legittima esclusione della possibilità di ricompra limitatamente all’area circostante il fabbricato, condizione la cui verificazione non era certamente improbabile; e ) che, ai fini del risarcimento del danno da illegittima occupazione del fabbricato compravenduto e poi retrocesso, erano stati utilizzati i criteri di stima individuati nella consulenza tecnica d’ufficio, sulla scorta dei canoni reali di strutture commerciali di dimensioni similari, sicché, detraendo dalla somma individuata a tale titolo quella corrispondente al valore dell’area urbana, il giudice di prime cura aveva correttamente determinato l’ammontare del canone di affitto annuo in complessivi euro 138.512,27, riferito ai soli fabbricati.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, COGNOME NOMECOGNOME
Hanno resistito, con separati controricorsi, -da una parte -la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) e NOME e -dall’altra COGNOME NOME e NOME.
È rimasto intimato COGNOME NOME.
4. -Il ricorrente nonché i controricorrenti RAGIONE_SOCIALE e NOME hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Anzitutto deve essere esaminata l’eccezione pregiudiziale sollevata dai controricorrenti RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
S.n.c. e NOME, in ordine al mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità, per la mancata completa indicazione degli atti negoziali menzionati e dei luoghi in cui essi avrebbero potuto essere rinvenuti nei fascicoli processuali nonché per la mancata completa ri-trascrizione delle deposizioni testimoniali per la parte rilevante nonché delle udienze nei cui verbali esse sarebbero risultate raccolte.
1.1. -L’eccezione deve essere rigettata.
E ciò perché il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, primo comma, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti, o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12481 del 19/04/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 7186 del 04/03/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 6769 del 01/03/2022).
Nella fattispecie il ricorrente ha indicato il contenuto sostanziale degli atti evocati e della deposizione testimoniale del teste NOME COGNOME precisando che detti atti erano stati
allegati al fascicolo di parte attrice nel giudizio di primo grado, numerandoli e presentandoli in visione nel fascicolo di cortesia allegato al ricorso.
2. -Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2744, 1470, 1500 e ss. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la vendita in realtà simulasse un prestito a scopo di garanzia per il reperimento delle somme necessarie a rilevare le quote dei coniugi COGNOME e per il pagamento di tutti i debiti societari, benché gli elementi giuridicamente rilevanti presi in considerazione dal giudice di merito non autorizzassero a concludere in ordine alla ricorrenza di un patto commissorio, per la cui integrazione sarebbe stato insufficiente il dato dell’acquisto della proprietà connesso all’obbligo di retrocessione, ipotesi, questa, compatibile con assetti di interessi perfettamente leciti.
Osserva l’istante che il patto commissorio sarebbe configurabile solo allorquando il trasferimento del bene non sia conforme all’intenzione manifestata dalle parti, intendendo queste assegnare il bene al creditore solo in caso di inadempimento all’obbligo di restituzione del prestito e perciò non immediatamente oppure condizionatamente al mancato adempimento dell’obbligazione restitutoria del prestito.
Inoltre, aggiunge il ricorrente che, nonostante il patto commissorio possa riconoscerci anche a prescindere dal momento del trasferimento, allorché sia perseguito uno scopo di garanzia, tale ultimo scopo non avrebbe potuto essere desunto in re ipsa , ma sarebbe dovuto discendere da un’autonoma fonte di prova,
non potendosi esso ricavare presuntivamente dalla presenza del patto di retroversione.
E nella specie sarebbe difettata ogni evidenza dello scopo di garanzia, in mancanza dell’individuazione del credito asseritamente ‘sovragarantito’, di cui neppure sarebbe stato dedotto l’importo.
3. -Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2744 e 2729 c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità parziale dell’atto di vendita per violazione del divieto di patto commissorio con riguardo alla sola parte del contratto di compravendita relativa ai fabbricati, e con esclusione dell’area circostante, la cui alienazione è stata reputata valida ed efficace, soluzione che sarebbe incongrua e contra legem , stante la valutazione degli stessi giudici di merito circa l’intrinseca unitarietà dell’operazione, il cui prezzo di vendita sarebbe stato globalmente concordato per l’intero complesso.
Obietta l’istante che la Corte d’appello avrebbe espressamente riconosciuto la presenza di un’effettiva funzione di scambio perseguita dalle parti contraenti rispetto all’area urbana annessa all’immobile, per giungere poi ad una pronuncia di nullità parziale del contratto limitatamente al capannone e agli altri fabbricati, senza che la causa del trasferimento del bene per intero fosse scindibile e in antitesi con la rilevata sproporzione del prezzo, atteso che le somme convenute nel preliminare per l’asseri to ri-trasferimento sarebbero state addirittura inferiori a quelle corrisposte dall’acquirente COGNOME alla S.I.C.A. al momento
dell’acquisto, conclusione, questa, certamente incompatibile con la presenza di un patto commissorio.
4. -Con il terzo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1343, 1344, 2729 e 2744 c.c. nonché dell’art. 116, primo comma, c.p.c., per avere la Corte distrettuale proceduto ad un’erronea valutazione delle prove quanto alla deposizione testimoniale di NOME COGNOME, alla lettura delle clausole negoziali costituenti il complessivo assetto negoziale e alla sproporzione rilevata tra il prezzo d’acquisto e quello stimato di mercato del bene, come accertato mediante perizia tecnica.
Sostiene l’istante che l’esistenza del presunto credito sarebbe stata desunta dalla sola deposizione del teste indicato, in spregio al principio secondo cui, attraverso l’istruttoria orale, il giudice deve acquisire la conoscenza dei fatti storici, non già la qualificazione giuridica degli stessi.
D’altronde, la valutazione delle clausole negoziali sarebbe avvenuta in termini presuntivi, ai fini della ricostruzione della diversa intenzione delle parti contraenti, senza che vi fossero elementi gravi e precisi e pervenendo ad un collegamento illogico e ad una ponderazione irragionevole, non coerente con l’ id quod plerumque accidit , poiché non sarebbe affatto ‘inusuale’ o ‘singolare ed eccentrico’ che l’operazione possa prevedere margini di guadagno dell’imprenditore edile, all’esito della rivendita, anche nei limiti del 20-30%. Per converso, ove si aderisse al ragionamento fatto proprio dal giudice di merito, qualsiasi negozio di cessione, con clausola di call o put , sarebbe illecito.
Deduce, ancora, il ricorrente che la contestualità e la forma pubblica di tali atti, sia della vendita, sia del preliminare regolarmente registrato, avrebbero dovuto condurre ad opposto giudizio, tenuto altresì conto che l’acquisto dell’immobile sarebbe stato convenuto tra le parti ad un prezzo inferiore di euro 1.300.000,00 rispetto a quello pagato dallo Zurlo per l’intero complesso di euro 1.800.000,00, mentre l’ipotesi del riacquisto dell’intera consistenza immobiliare, a fronte del pagamento del prezzo maggiore di euro 2.300.000,00, sarebbe stata evenienza sottoposta al mancato verificarsi di una condizione non certo improbabile ed anzi verificatasi nel giro di pochi mesi.
In ultimo, non sarebbe stato rilevato che il prezzo indicato negli atti negoziali era al netto di IVA mentre quello valutato come di mercato sarebbe stato comprensivo di IVA. Con l’ulteriore rilievo che tale sproporzione avrebbe potuto incidere solo ai fini della rescissione, non già della violazione del divieto di patto commissorio.
5. -Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per non avere la Corte del gravame rilevato il difetto di interesse ad ottenere la declaratoria di nullità di beni nel frattempo trasferiti ad altri (RAGIONE_SOCIALE) per iniziativa e scelta del figlio di uno dei soci, soggetto che proprio i giudici di merito avrebbero riconosciuto fittiziamente interposto nella circolazione del bene, in quanto longa manus degli stessi attori.
Avverte, sul punto, l’istante che la debitrice RAGIONE_SOCIALE avrebbe già conseguito il risultato perseguito nell’odierno giudizio
attraverso la caducazione dell’atto di compravendita originario, posto che proprio con l’adempimento da essa stessa (tramite l’interposto) richiesto in via coattiva dell’obbligo di retrocessione mediante il preliminare di vendita sarebbe stata reimmessa nella proprietà del bene, che con la caducazione dell’atto di vendita si sarebbe inteso riottenere, sicché l’accoglimento della domanda di esecuzione specifica del preliminare proposta dal soggetto interposto avrebbe già consentito il raggiungimento della piena tutela, non solo con un notevole risparmio di oneri, ma anche con un imprescindibile vantaggio economico tecnicamente connesso a questo genere di operazioni commerciali.
Con l’effetto che non avrebbe potuto essere pretesa, sia la retrocessione del bene come effetto della caducazione dell’atto di vendita, sia l’assegnazione dello stesso bene al terzo dalla stessa RAGIONE_SOCIALE designato con l’interposizione di COGNOME NOME, quale adempimento del contratto preliminare.
6. -Il quinto motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., per avere la Corte di secondo grado escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’acquirente del diritto immobiliare nominato avvalendosi della facoltà prevista nel preliminare, ossia della RAGIONE_SOCIALE -soggetto nominato da COGNOME NOME quale destinatario degli effetti del contratto -, non tenendo conto che la nullità sia dell’acquisto del ricorrente sia del preliminare di ri -trasferimento non avrebbe potuto essere dichiarata senza coinvolgere tale soggetto, quale litisconsorte necessario illegittimamente pretermesso.
Diversamente la sentenza sarebbe stata inopponibile alla RAGIONE_SOCIALE e quindi inutiliter data . Infatti, per effetto dell’esercizio del potere di nomina, il terzo sarebbe subentrato nel contratto e avrebbe preso il posto della parte originaria, acquistandone i diritti e assumendone gli obblighi correlativi nei rapporti con l’altro contraente, con effetto retroattivo, con la conseguenza per cui avrebbe dovuto essere considerato fin dall’origine unica parte contraente contrapposta al promittente alienante e legata a questo da un rapporto costituito dallo stipulante, stante che, al momento della notificazione dell’atto introduttivo dell’odierno giudizio, la nomina del terzo sarebbe risultata già perfezionata.
7. -Con il sesto motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2056, 2697, 2729 c.c., degli artt. 40 e 41 c.p. nonché dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello confermato la condanna di COGNOME NOME, in favore della RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento del danno per indebita occupazione dei fabbricati compravenduti e poi retrocessi, nella misura di complessivi euro 844.924,84, oltre IVA e interessi legali decorrenti dal 1° novembre 2010, in ragione del fatto che il ricorrente avesse detenuto l’immobile dal 30 luglio 2007, e ciò in violazione delle regole legali di individuazione e liquidazione del pregiudizio, anche in relazione all’effettività del danno e al nesso di causalità.
Espone l’istante che il giudice di merito avrebbe ricavato dal verbale di rilascio di immobile del 16 aprile 2007 che il rilascio coattivo a mezzo della forza pubblica fosse avvenuto il 30 maggio
2007, mentre il documento indicato non avrebbe potuto fornire alcun elemento di certezza circa la liberazione del bene a quella data, con la conseguente inidoneità logica e giuridica dello stesso a costituire elemento di prova dell’accadimento di un fatto futuro e non ancora verificatosi.
Precisa, altresì, l’istante che la sentenza impugnata avrebbe trascurato che il pregiudizio per il mancato godimento del bene poteva essere riconosciuto soltanto in favore del soggetto che avesse avuto diritto al possesso del bene medesimo e non già quale fatto automatico; esso avrebbe invece presupposto una valutazione operata dal giudice, anche sulla base di elementi presuntivi, in ordine alla ragionevolezza che dal mancato godimento la parte avesse effettivamente patito un pregiudizio, tenuto conto che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto alcun interesse al godimento dell’immobile, dovendo riconsegnarlo alla RAGIONE_SOCIALE
8. -Devono essere scrutinati in via pregiudiziale il quinto e il quarto motivo, che attengono ad aspetti processuali e segnatamente all’integrità del contraddittorio e alla ricorrenza dell’interesse ad agire.
8.1. -Il quinto motivo è infondato.
Non sussistevano, infatti, le condizioni per disporre l’integrazione del contraddittorio verso la RAGIONE_SOCIALE quale soggetto giuridico nominato dal promissario acquirente COGNOME NOME affinché potesse beneficiare dell’effetto traslativo conseguente alla proposizione e all’accoglimento della domanda di esecuzione specifica del preliminare (come da sentenza del Tribunale di Campobasso n. 322/2010 del 31 maggio 2010,
confermata dalla sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 309/2015 del 4 maggio 2015).
E tanto perché l’invocato accertamento della simulazione di un prestito, con trasferimento immediato del diritto dominicale a garanzia della restituzione della somma mutuata ( petitum immediato), ha riguardato un’operazione negoziale complessa, nella quale la RAGIONE_SOCIALE non risultava coinvolta.
Negli atti negoziali del 9 febbraio 2006 (atto di vendita da RAGIONE_SOCIALE a COGNOME NOME, deposito cauzionale a garanzia e costituzione di pegno nonché preliminare di vendita da COGNOME NOME a COGNOME Paolo), infatti, tale soggetto non figurava come parte.
8.2. -Anche il quarto motivo è infondato.
E ciò perché, con riferimento alla domanda (o all’eventuale eccezione) di nullità di un contratto, per le parti contraenti l’interesse ad agire è in re ipsa , in dipendenza dell’attitudine del contratto di cui si invoca la nullità ad incidere nella loro sfera giuridica (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2670 del 05/02/2020; Sez. 3, Sentenza n. 9010 del 27/08/1999; Sez. 2, Sentenza n. 7017 del 27/07/1994).
Peraltro, detta (potenziale) incidenza sulla sfera giuridica della RAGIONE_SOCIALE deve essere valutata in ragione della domanda proposta, con la quale era stata richiesta la declaratoria di nullità non solo dell’atto di vendita dalla SRAGIONE_SOCIALE a COGNOME NOME (nella sua interezza), ma anche del preliminare di vendita stipulato tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, in quanto collegato al primo da un rapporto di dipendenza.
Il mero rilievo che la declaratoria di nullità, sebbene debitamente richiesta, sia stata dichiarata limitatamente all’effetto traslativo concernente i fabbricati e non sia stata estesa dalla pronuncia giudiziale anche al preliminare non è circostanza idonea ad escludere l’interesse ad agire, che deve essere valutato sulla scorta della domanda proposta e non dell’esito del giudizio.
Pertanto, l’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, è stato debitamente compiuto con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36224 del 28/12/2023; Sez. U, Ordinanza n. 34388 del 22/11/2022; Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3060 del 04/03/2002).
Inoltre, non sussiste -sul piano della soggettività giuridica -coincidenza dei centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive con riguardo alle due operazioni traslative programmate: per un verso, l’alienante nella prima vendita era RAGIONE_SOCIALE; per altro verso, il destinatario del trasferimento nell’impegno di retrovendita era COGNOME NOME ovvero la diversa persona o ente da questi designato e, perciò, due soggetti formalmente distinti (sebbene sostanzialmente collegati), senza che assuma rilievo (almeno ai fini della ponderazione dell’interesse ad agire) la circostanza fattuale che NOME NOME fosse il figlio del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
D’altronde la ponderazione del detto interesse non può essere sganciata dal collegamento della domanda di nullità con le domande dipendenti proposte dalla RAGIONE_SOCIALE, di condanna alla restituzione del cespite e di risarcimento dei danni, appunto all’esito dell’accertamento dell’invalidità dell’operazione negoziale, in quanto violativa del divieto di patto commissorio.
9. -A questo punto può essere esaminato il primo motivo. La censura è infondata.
Ora, la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, la quale risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura mezzo per eludere tale norm a imperativa e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4514 del 26/02/2018; Sez. 1, Sentenza n. 8957 del 17/04/2014; Sez. 2, Sentenza n. 16953 del 20/06/2008; Sez. 2, Sentenza n. 2725 del 08/02/2007; Sez. 1, Sentenza n. 17705 del 04/08/2006; Sez. 2, Sentenza n. 9900 del 20/07/2001; Sez. 2, Sentenza n. 3239 del 18/03/2000; Sez. 2, Sentenza n. 1959 del 22/02/2000; Sez. 2, Sentenza n. 7740 del 20/07/1999; Sez. 2, Sentenza n. 1396 del 11/02/1998; Sez. 2, Sentenza n. 1657 del 04/03/1996; Sez. 2, Sentenza n. 10648 del 13/12/1994; Sez. 2, Sentenza n. 7890 del 28/09/1994; Sez. 2, Sentenza n. 7882 del
27/09/1994 ; Sez. 2, Sentenza n. 2126 del 27/02/1991; Sez. U, Sentenza n. 1611 del 03/04/1989).
Senonché la sentenza impugnata ha fornito plurimi elementi di supporto del rilievo secondo cui la vendita con patto di riscatto o di retrovendita (risultante nella specie dal contestuale preliminare) è stata stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio), nell’ambito della quale il versamento del danaro, da parte del compratore, non costituiva pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serviva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempisse o non l’obbligo di restituire le somme ricevute.
Precisamente sono stati valorizzati i seguenti elementi: – la contestualità dei tre contratti, di vendita, deposito cauzionale a garanzia con costituzione di pegno e preliminare di vendita; – il mancato effettivo rilascio dei beni a cura del venditore; – la previsione del rilascio alla data del 30 dicembre 2006, coincidente con la data entro cui avrebbe dovuto essere stipulato il definitivo di retrovendita; – la notevole differenza tra il prezzo contemplato nel primario atto di vendita di euro 1.800.000,00 per l’intero complesso immobiliare (fabbricati e area circostante) e il corrispettivo pattuito nel preliminare, ove la retrovendita avesse riguardato l’intero complesso, per euro 2.300.000,00; -la singolarità della previsione di un diritto di ricompra a distanza di 11 mesi per un prezzo ben più consistente a fronte di uno stato di fatto dei cespiti rimasto invariato; l’ingiustificato incremento di costi collegati all’operazione negoziale, ove fosse prevalsa la funzione di scambio, costi che avrebbero potuto essere evitati
attraverso la vendita diretta da RAGIONE_SOCIALE a COGNOME Paolo; – la notevole diversità tra il prezzo pattuito e il valore di mercato effettivo dei cespiti, determinato in sede di indagini peritali in euro 2.768.400,00, con una riduzione del prezzo pari al 35% del valore; – il richiamo della deposizione testimoniale di NOME COGNOME il quale -avendo assistito alle trattative -aveva riferito che le parti avevano inteso concludere un prestito attraverso l’operazione negoziale posta in essere.
Di talché la sussistenza di una vendita dissimulante un prestito garantito dall’immediata alienazione immobiliare, con la previsione di un pactum de retrovendendo nel caso di restituzione della somma mutuata, è stata adeguatamente desunta da un complesso di elementi debitamente valorizzati, rispetto ai quali emerge che l’importo prestato corrispondeva al prezzo pattuito nella prima vendita (di euro 1.800.000,00, senza tenere conto del deposito cauzionale di euro 200.000,00), con la previsione (condizionata) della restituzione di un importo di euro 2.300.000,00, a distanza di 11 mesi (o di euro 1.300.000,00 a fronte della retrovendita dei soli fabbricati).
10. -Il secondo motivo è inammissibile per carenza di interesse ad impugnare la statuizione sulla nullità parziale, secondo la prospettazione resane dall’istante.
Adduce il ricorrente che il fatto che la nullità (parziale) sia stata dichiarata solo con riferimento alla vendita dei fabbricati e non dell’area circostante integrerebbe una soluzione insanabilmente contraddittoria, alla stregua della prefigurata unitarietà dell’operazione negoziale.
E ciò pur tenendo conto delle argomentazioni esposte sulla realizzazione della condizione prevista nel preliminare di vendita, secondo cui, qualora -entro la data indicata del 31 dicembre 2006 -fossero state conseguite le autorizzazioni per la costruzione e l’ampliamento della struttura esistente, la retrovendita sarebbe stata limitata ai soli fabbricati -e non all’area circostante , per il prezzo di euro 1.300.000,00.
Rispetto a tale dichiarata nullità parziale sarebbe stata, dunque, illogica la ponderazione sulla persistenza della violazione del divieto di patto commissorio conseguente all’operazione posta in essere, stante che, a fronte di un prestito di euro 1.800.000,00, con la vendita in garanzia dei fabbricati e dell’area circostante (aventi un valore di mercato complessivo di euro 2.768.400,00), l’originario mutuatario venditore ( recte il familiare indicato) avrebbe dovuto restituire euro 1.300.000,00 per recuperare la proprietà dei soli fabbricati, in esubero rispetto alla cessione definitiva di un’area edificabile ad uso industriale di mq. 4.360.
Orbene siffatti rilievi muovono dalla considerazione che l’unitarietà dell’operazione negoziale -conseguente alla concatenazione degli atti, all’unicità della manifestazione (apparente) della volontà traslativa contemplata in ordine ai due beni emarginati, nell’ambito di una medesima causale (e non già di due vendite separate riconducibili a contratti distinti contenuti nello stesso atto), nonché al singolo prestito connesso all’effetto traslativo complessivo del fabbricato e dell’area circostante (e all’a ltrettanto unitario obbligo restitutorio) -non avrebbe potuto implicare una dissociazione funzionale dello scopo di garanzia
perseguito, in violazione (indiretta) del divieto di patto commissorio, scopo ontologicamente non compatibile con la coesistenza di un congiunto scopo di scambio, fondato su una forzata separazione dei cespiti considerati all’origine nella loro inscindibile dimensione.
Inscindibilità che avrebbe comportato, contrariamente all’assunto del ricorrente, non già l’esclusione in radice della violazione del divieto di patto commissorio, bensì la necessità di estendere l’accertamento della nullità all’intero programma negoziale, comprensivo dell’effetto traslativo sull’area circostante (componente inestricabilmente legata con i fabbricati), così come espressamente invocato dagli attori.
Sicché, a fronte della limitazione (quantitativa) dello scopo di garanzia alla sola vendita simulata del capannone con annessi fabbricati, l’istante non ha ragione di dolersi, poiché la doglianza sul punto non è certo significativa della negazione, a monte, dell’integrazione di un progetto negoziale elusivo della norma imperativa di cui all’art. 2744 c.c., bensì piuttosto emblematica della necessità ontologica che l’invalidità fosse riferita all’intero autoregolamento, di cui alla vendita comprensiva di entrambi i cespiti, ossia di un effetto deteriore rispetto a quello contestato.
Ora, l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 19327 del 15/07/2024; Sez. L, Sentenza n. 594 del 15/01/2016; Sez. 2, Sentenza n. 1236 del 27/01/2012), utilità nella fattispecie evidentemente preclusa dal fatto che, ove
la censura fosse accolta, la nullità dovrebbe riguardare anche il trasferimento dell’area circostante ai fabbricati.
Né può sostenersi che il patto commissorio sarebbe stato a priori escluso dalla circostanza che il prezzo della retrovendita fosse inferiore rispetto a quello pattuito nella vendita primaria, appunto perché non ricorreva l’identità degli oggetti di tali operazioni negoziali traslative (nella primaria vendita, i fabbricati e l’area circostante, nella retrovendita, i soli fabbricati, con la definitiva acquisizione dell’area in favore di COGNOME Domenico).
11. -Il terzo motivo è infondato.
In primo luogo, la deposizione testimoniale utilizzata a supporto del ragionamento inferenziale svolto atteneva alla descrizione di un fatto storico e non alla qualificazione giuridica di un negozio. La testimonianza è stata infatti riferita al fatto che, durante le trattative, alle quali il teste ha assistito, le parti avevano fatto riferimento alla stipulazione di un prestito.
Orbene, configurando l’operazione realizzata un mezzo per eludere la norma imperativa di cui all’art. 2744 c.c., il negozio esprimeva una causa illecita, il che comportava la piena ammissibilità della prova testimoniale anche inter partes ai sensi dell’art. 1417 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7740 del 20/07/1999; Sez. 2, Sentenza n. 7878 del 27/09/1994; Sez. 2, Sentenza n. 8325 del 16/08/1990; Sez. 2, Sentenza n. 5555 del 14/10/1988).
Quanto alle presunzioni hominis , come innanzi esposto, sono stati evocati plurimi fatti secondari convergenti per sussumere la conclusione di un prestito garantito dall’immediata vendita a
garanzia dei cespiti, con la prevista retrovendita nel caso di restituzione della somma mutuata.
A fronte di siffatto quadro descrittivo, nessuna contestazione può essere mossa in questa sede avverso il ragionamento inferenziale articolato in sede di merito.
In primis , si rileva che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi (sulla mera eventualità, ma non necessità, del concorso di più elementi presuntivi: Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018; Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; Sez. 5, Sentenza n. 17574 del 29/07/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19088 del 11/09/2007), richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28261 del 09/10/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 27266 del 25/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 22903 del 27/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 20898 del 18/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 8829 del 29/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; Sez. 6-5, Ordinanza n. 34248 del 15/11/2021; Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 10253 del 19/04/2021; Sez. 61, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020; Sez. 5, Sentenza n. 15454 del 07/06/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. L, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 17720 del 06/07/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 9059 del 12/04/2018; Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. L, Sentenza n. 27671 del 15/12/2005; Sez. 2, Sentenza n. 3646 del 24/02/2004; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
Ebbene la sentenza impugnata ha offerto molteplici elementi indiziari convergenti, ampiamente giustificativi del ragionamento inferenziale svolto, come evocati scrutinando la prima censura.
Sicché, rispetto ai dati indiziari utilizzati, la doglianza prospettata dal ricorrente mira, in realtà, ad un’alternativa ricostruzione probabilistica della prova critica, che non può essere rimessa alla sede di legittimità, bastando che l’inferenza motivata dalla sentenza impugnata abbia una sua dignità e coerenza logica e non certamente che essa sia l’unica ipotesi possibile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 18958 del 10/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15356 del 31/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15288 del 31/05/2024).
Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre, infatti, che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola della inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit , in virtù della regola dell’inferenza probabilistica (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21403 del 26/07/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 20342 del 28/09/2020; Sez. 3, Sentenza n. 1163 del 21/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 3513 del 06/02/2019; Sez. L, Sentenza n. 2632 del 05/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 31/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 24211 del 14/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 26081 del 30/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 23079 del 16/11/2005).
12. -Il sesto motivo è infondato.
Anzitutto occorre rilevare che in sede di legittimità sono state introdotte per la prima volta circostanze nuove (quanto all’utilizzazione del verbale di rilascio del 16 aprile 2007), in ordine alla contestazione del dies a quo rispetto al quale è stato determinato il periodo di occupazione illegittima (contestazione che non risulta avvenuta nei gradi di merito del giudizio e di cui il ricorrente non ha fatto menzione).
Per l’effetto, tali fatti nuovi non possono costituire oggetto di sindacato in questa sede.
Quanto alla rilevazione del danno da mancato godimento dei fabbricati, si rileva che, in tema di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario, essendo collegato alla indisponibilità di un bene normalmente fruttifero, è oggetto di una presunzione relativa, che onera l’occupante della prova contraria dell’anomala infruttuosità dell’immobile, dovendo lo stesso, in caso di mancato superamento di tale presunzione, essere riconosciuto in favore del legittimo proprietario (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19849 del 18/07/2024; Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 39 del 07/01/2021).
Nella fattispecie, come emerge dalla sentenza impugnata, si trattava di un capannone industriale, quale bene strumentale della società alienante, composto da tre autorimesse, un locale ad uso officina al piano seminterrato della superficie complessiva di mq. 1.340, di un altro locale ad uso officina, di un locale per esposizione e di un locale per la cabina dell’Enel al piano terra della superficie complessiva di mq. 1.230, con corte esclusiva.
Sicché correttamente il danno da mancato godimento è stato ricavato in via presuntiva dalla circostanza che in tali immobili si svolgesse l’attività commerciale della RAGIONE_SOCIALE, in mancanza di alcuna contestazione specifica su tale facoltà di uso.
Il fatto che i fabbricati siano stati trasferiti a terzi, in esito alla sentenza costitutiva di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., con efficacia ex nunc solo dal momento del suo passaggio in giudicato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25890 del 25/09/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 12680 del 09/05/2024; Sez. 2, Sentenza n. 36224 del 28/12/2023; Sez. 2, Sentenza n. 8693 del 03/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 17688 del 28/07/2010; Sez. U, Sentenza n. 4059 del 22/02/2010; Sez. 2, Sentenza n. 8250 del 06/04/2009; Sez. 1, Sentenza n. 10600 del 19/05/2005; Sez. 1, Sentenza n. 10564 del 04/07/2003), non esclude la ricorrenza del danno subito da RAGIONE_SOCIALE conseguente alla privazione del godimento di tali cespiti per effetto del rilascio forzato avvenuto in ragione di un’operazione negoziale di cui è stata successivamente dichiarata la nullità per violazione del divieto di patto commissorio.
13. -In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nondimeno, non sussistono le condizioni per disporre la condanna alla refusione delle spese di lite anche in favore di NOME NOME e NOMECOGNOME contro cui non è stata prospettata alcuna pretesa, essendo state tali parti piuttosto evocate in giudizio al mero scopo di rendere loro opponibile l’esito del giudizio di legittimità.
Al riguardo, occorre discriminare tra vocatio in ius e litis denuntiatio ai fini della ponderazione della soccombenza sottesa alla regolamentazione delle spese di lite (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32350 del 03/11/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 34174 del 15/11/2021; Sez. 1, Sentenza n. 5508 del 21/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 2208 del 16/02/2012).
Tanto premesso, l’evocazione di dette parti in giudizio è stata finalizzata ad assolvere alla sola funzione di litis denuntiatio , sicché queste avrebbero potuto anche non costituirsi, non potendo derivarne a priori alcuna conseguenza deteriore a loro carico, anche nell’ipotesi in cui il ricorso fosse stato accolto, con il precipitato che, all’esito della soccombenza del ricorrente, quest’ultimo non può essere condannato a rimborsare le spese del giudizio ai sopradetti controricorrenti.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, mentre dichiara irripetibili le spese di lite nei
confronti dei controricorrenti COGNOME NOME e NOMECOGNOME
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda