Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22531 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22531 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4865/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrenti –
contro
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 5214/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/12/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
1. NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli NOME COGNOME per sentirlo condannare al rilascio dell’immobile sito in Bacoli alla INDIRIZZO acquistato dall’attore da NOME COGNOME, moglie del COGNOME, con atto del 31/10/2007, al prezzo di € 250.000,00,
di cui € 180.000,00 a mezzo accollo di debito della venditrice nei confronti dei creditori di costei che avevano sottoposto l’immobile a procedimento esecutivo immobiliare, ed € 70.000,00 a mezzo bonifici del 13/05/2008 e del 19/05/2008, effettuati all’esito dell’estinzione del procedimento espropriativo .
1.1. Il convenuto chiese rigettarsi la domanda attorea, eccependo la natura simulata della vendita, spiegando che le parti avevano, in realtà, stipulato un contratto di mutuo, erogato dall’acquirente allo scopo di consentire alla venditrice di estinguere la procedura esecutiva ai suoi danni.
1.2. NOME COGNOME chiamata in causa, si costituì in giudizio associandosi alle difese del marito.
1.3. Il Tribunale accolse la domanda attorea, ritenendo pienamente assolto l’onere probatorio in capo all’attore e, di contro, risultando sfornita di riscontro la prospettazione avversa.
La Corte d’appello di Napoli rigettò l’appello proposto dai coniugi COGNOME/COGNOME.
2.2. I Giudici di secondo grado, avuto riguardo a quel che qui rileva, rigettarono i primi due motivi d’appello, confermando la correttezza dell’operato del Giudice di prime cure, che aveva deciso di non dar corso all’istruttoria orale , revocando l’ordinanza con la quale, in un primo tempo, era stata ammessa.
La sentenza prende le mosse dalle difese della parte appellante, la quale aveva sostenuto che la dimostrazione della reale natura del contratto (mutuo al fine di liberare l’immobile dalle procedure esecutive, in violazione del divieto di patto commissorio) si sarebbe dovuto ricavare <>.
Indi, riassume lo scopo istruttorio perseguito dalla parte appellante attraverso l’escussione testimoniale, l’interrogatorio formale e l’ordine all’appellato di esibire in giudizio il dedotto contratto: provare l’esistenza del preliminare datato 12/6/2008 tra NOME COGNOME e le figlie dei COGNOME–COGNOME, la dazione della somma di € 20.000,00 a NOME COGNOME, svincolata dalla procedura esecutiva, la permanenza del COGNOME da svariati anni nell’immobile di cui si tratta, nonostante lo stesso fosse stato formalmente venduto.
A fronte di un tal quadro processuale la Corte di Napoli reputa corretta l’esclusione della prova testimoniale, in quanto l’asserito contratto preliminare di compravendita stipulato con le figlie degli appellati, che si sarebbe trovato nel possesso degli appellati e non delle figlie stipulanti, sarebbe stato dimostrato dalla presenza di una scrittura, intitolata ‘ risoluzione consensuale di contratto di compravendita ‘, priva di alcuna utilizzabilità perché non sottoscritta.
Si doveva concludere per l’assenza di dimostrazione della reale volontà delle parti di dar vita a un negozio di garanzia, attuato tramite la messa in atto di più negozi astrattamente distinti (neppure dell’asserito versamento di € 20.000,00 vi era prova).
Di conseguenza, l’istruttoria orale avrebbe dovuto provare l’esistenza del preliminare immobiliare, in contrasto con l’art. 1351 cod. civ., in difetto della cui prova anche la pretesa volontà delle parti di costituire una società era sfornita di fondamento.
In definitiva, per la Corte partenopea, <>.
Indi, viene fatta propria la parte della motivazione del Tribunale, il quale, a sua volta richiamando giurisprudenza di legittimità, aveva escluso che le parti potessero dimostrare per testi la presenza del contratto dissimulato.
Non avrebbe potuto ordinarsi l’esibizione dell’asserito contratto in violazione dell’onere probatorio, trattandosi di <>.
In conclusione, dall’unico elemento certo, costituito dal contratto di compravendita, il cui corrispettivo, quanto a € 180.000,00 era stato corrisposto tramite l’accollo di plurimi debiti verso banche della parte venditrice (la parte compratrice, a sua volta, aveva dato prova della provvista utilizzata) e per il residuo di € 70.000,00, tramite bonifici.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso fondato su un unico motivo, ulteriormente illustrato da memoria. NOME COGNOME non ha svolto difese.
I ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1417, 2724 e 2729 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 , co. 1 nn. 3 e 5, cod. proc. civ.
Si dolgono del mancato accoglimento dei motivi di appello con i quali era stata contestata l’esclusione della prova testimoniale, prima ammessa e poi revocata.
La Corte di merito non avrebbe considerato che la parte la quale abbia interesse a dimostrare la simulazione sottesa al trasferimento dei beni in funzione di garanzia possa fare ricorso
all’art. 1417 cod. civ. , anche chiedendo prova per testimoni, stante l’illiceità del contratto dissimulato , in frode al divieto di patto commissorio; d’altronde <> .
La sentenza della Corte territoriale sarebbe, altresì, gravemente viziata, non avendo tenuto in conto il fatto non contestato, e dunque pacifico, dell’esistenza di un preliminare di vendita, funzionale alla reversione di un assetto negoziale voluto tra le parti (mutuo e trasferimento della proprietà a garanzia).
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e per altra parte infondato.
4.1.1. Inammissibile, laddove lungamente (dal quarto capoverso di pag. 9 al secondo capoverso di pag. 13) s’impegna a criticare la sentenza di primo grado, che, ovviamente, in questa sede non viene in rilievo alcuno.
4.1.2. Nel resto, deve rilevarsi quanto appresso.
È corretto il richiamo fatto dai ricorrenti al condiviso principio enunciato da questa Corte, secondo il quale la vendita con patto di riscatto o di retrovendita stipulata fra il debitore ed il creditore nell’intento di costituire una garanzia con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore in caso di inadempienza del debitore, pur non integrando direttamente un patto commissorio di cui all’art. 2744 cod. civ., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa e, quindi, esprime una causa illecita che comporta l’ammissibilità della prova testimoniale anche “inter partes” ai sensi dell’art. 1417 cod. civ. (Sez. 2, n. 7878, 27/09/1994, Rv. 487907). Principio ribadito anche nel caso in cui l’illiceità della fattispecie negoziale unitaria sia costituita dal collegamento tra un contratto di mutuo e una vendita
con patto di riscatto con un soggetto diverso dal mutuante (Cass. n. 7740/1999 e 23617/2017).
Tuttavia, la Corte locale ha valorizzato il complesso delle emergenze di causa, dal quale ha insindacabilmente tratto la convinzione della inattendibilità della prospettazione degli appellanti, tale da far apparire non opportuno derogare al divieto della prova testimoniale (artt. 2721 e 2724 cod. civ.); apprezzamento, questo, qui non censurabile (cfr., ex multis, Cass. nn. 190/2020, 11889/2007, 11389/2005, 13621/2004).
In questo senso emblematica deve valutarsi la mancata produzione del contratto preliminare di compravendita che i ricorrenti assumono essere stato stipulato dal COGNOME con le loro figlie. Di un tal documento essi avrebbero dovuto avere il possesso, non foss’altro che per ragioni di vicinanza della prova.
I ricorrenti insistono nel sostenere che con la memoria di cui all’art. 183, co. 6, cod. proc. civ. (al tempo vigente) la controparte avrebbe ammesso la stipulazione del preliminare. L’asserto è stato puntualmente smentito dalla sentenza (pag. 7) e i ricorrenti, in questa sede, piuttosto che confrontarsi specificamente con le ragioni esposte in sentenza, si sono limitati a riportare quanto già sottoposto alla Corte d’appello.
Risulta utile soggiungere che non hanno trovato smentita gli altri elementi probatori evidenziati dal Giudice del merito: riscontro dei pagamenti del residuo prezzo di 70.000 euro, approvvigionamento della provvista da parte del compratore.
In definitiva, la vicenda risulta essere stata definita sulla base d’un incensurabile, complessivo vaglio di merito (emblematico, l’articolato giudizio di maggior attendibilità della ricostruzione fattuale offerta dall’appellato).
Inconsistente deve ritenersi il richiamo all’art. 115, in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299).
Non meno inconsistente l’anodino riferimento al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., cui, per vero, non è seguita una puntuale indicazione del preteso fatto omesso e del luogo di trattazione di esso.
In ogni caso, in presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Rigettato il ricorso nel suo complesso, non vi è luogo a statuizione sul capo delle spese poiché la controparte non ha svolto difese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione
temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 giugno