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Patto commissorio: quando il lease back è nullo?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società fallita che chiedeva la nullità di un contratto di ‘sale and lease back’, sostenendo che violasse il divieto di patto commissorio. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali non avevano riscontrato la prova dei tre indici sintomatici (situazione debitoria preesistente, difficoltà economica del venditore, sproporzione del prezzo) necessari a configurare l’illecito. È stato ribadito che tale accertamento è un’indagine di fatto, non rivalutabile in sede di legittimità, e che la presenza di un ‘patto marciano’ nel contratto rafforza la sua validità.

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Patto commissorio: quando il Sale and Lease Back è a rischio nullità?

Un’ordinanza della Corte di Cassazione torna ad affrontare il delicato equilibrio del contratto di sale and lease back, chiarendo i confini tra operazione finanziaria lecita e violazione del divieto di patto commissorio. Questa pronuncia è fondamentale per le imprese che utilizzano tale strumento per ottenere liquidità, poiché ribadisce quali elementi devono essere provati per poter dichiarare nullo il contratto.

Il Contesto: La controversia sul contratto di Sale and Lease Back

Una società, proprietaria di un complesso industriale, stipulava un contratto di sale and lease back con due istituti finanziari. In pratica, vendeva loro l’immobile per poi riprenderlo in leasing, continuando a svolgere la propria attività. Successivamente, la società venditrice falliva e la curatela fallimentare agiva in giudizio per far dichiarare la nullità dell’intera operazione. La tesi dell’accusa era che il contratto mascherasse in realtà un finanziamento garantito dal trasferimento dell’immobile, in violazione del divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 del Codice Civile.

I tre indici del Patto commissorio mascherato

La giurisprudenza ha da tempo individuato tre “campanelli d’allarme” per distinguere un sale and lease back lecito da uno fraudolento. La nullità per violazione del divieto di patto commissorio può essere dichiarata solo se si provano congiuntamente:

1. Una situazione di debito-credito preesistente o contestuale tra la società finanziaria (acquirente) e l’impresa venditrice.
2. Le difficoltà economiche dell’impresa venditrice, che la pongono in una posizione di debolezza contrattuale.
3. La sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente.

Nel caso in esame, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda della curatela, ritenendo non provata la sussistenza di questi tre requisiti. In particolare, la Corte d’Appello aveva anche valorizzato la presenza nel contratto di una clausola qualificabile come “patto marciano”, un meccanismo volto a tutelare il venditore da un ingiusto arricchimento dell’acquirente.

La decisione della Corte di Cassazione e le motivazioni

La curatela fallimentare ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su cinque motivi. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la piena validità del contratto.

le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le censure del ricorrente. Innanzitutto, ha ribadito un principio fondamentale: l’accertamento della presenza dei tre indici del patto commissorio mascherato (difficoltà economica, preesistenza del debito, sproporzione del prezzo) costituisce un’indagine di fatto, che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere riesaminata in sede di Cassazione, se la motivazione della sentenza impugnata è logica e corretta.

I giudici hanno specificato che le prove portate dal fallimento, come le dichiarazioni di un amministratore o l’estratto della Centrale Rischi, erano state correttamente valutate come insufficienti a dimostrare in modo certo e inequivocabile né la grave difficoltà economica al momento della stipula, né la sproporzione del prezzo.

Un passaggio cruciale della decisione riguarda il cosiddetto “patto marciano”. La Corte ha confermato che la presenza di una clausola che, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, preveda una stima imparziale del bene da parte di un terzo e la restituzione al venditore dell’eventuale eccedenza di valore rispetto al debito residuo, è un meccanismo idoneo a neutralizzare ogni sospetto di illiceità. Tale clausola, infatti, impedisce l’ingiustificato arricchimento del creditore, che è proprio ciò che il divieto di patto commissorio intende evitare.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida l’orientamento secondo cui il contratto di sale and lease back è uno strumento commerciale di per sé valido e legittimo. La sua eventuale nullità non può essere presunta, ma deve essere rigorosamente provata dalla parte che la eccepisce, dimostrando la contemporanea presenza dei tre indici sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, ha inoltre sottolineato l’importanza del patto marciano come elemento che, garantendo equità e trasparenza, rafforza la validità dell’operazione, proteggendola dall’accusa di frode alla legge.

Un contratto di ‘sale and lease back’ è sempre valido?
No, non è sempre valido. Sebbene sia un contratto d’impresa generalmente lecito, la sua validità deve essere verificata caso per caso per escludere che serva a eludere il divieto di patto commissorio, cioè il divieto per il creditore di appropriarsi del bene dato in garanzia in caso di inadempimento.

Quali sono gli elementi che possono rendere nullo un ‘sale and lease back’ per violazione del divieto di patto commissorio?
Secondo la giurisprudenza consolidata, gli elementi che, se presenti contemporaneamente, indicano un’elusione del divieto sono tre: 1) una situazione di credito e debito tra l’acquirente e il venditore; 2) le difficoltà economiche del venditore, che lo mettono in una posizione di debolezza; 3) una sproporzione tra il valore del bene venduto e il prezzo pagato.

La presenza di un ‘patto marciano’ può salvare un contratto di ‘sale and lease back’ dalla nullità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, una clausola che preveda un ‘patto marciano’ è idonea a evitare la nullità. Questo patto stabilisce che, in caso di inadempimento, il valore del bene venga stimato da un terzo imparziale e che il creditore debba restituire al debitore l’eventuale eccedenza rispetto al debito residuo, evitando così un arricchimento ingiusto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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