Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24749 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 18180/2020 R.G.) proposto da:
n. 18180/2020 R.G.
COGNOME.
Rep.
C.C. 29/5/2024
Compravendita immobiliare collegata a mutuo Violazione del divieto del patto commissorio -Nullità ex art. 2744 c.c..
COGNOME NOME , nata a Corleto Monforte (SA) il DATA_NASCITA e residente in INDIRIZZO. Angelo a Fasanella (SA) (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME , nata a Salerno il DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME , nata a Salerno il DATA_NASCITA ed ivi residente, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME , nata a Salerno il DATA_NASCITA ed ivi residente alla INDIRIZZO (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE), le ultime due entrambe quali eredi (coniuge la prima e figlia la seconda) di COGNOME NOME , nato a S. Angelo a Fasanella (SA) il DATA_NASCITA (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE), deceduto in Salerno in data 7 aprile 2017, a sua volta unico figlio ed erede di COGNOME NOME , nata a S. Angelo a Fasanella (SA) il DATA_NASCITA e deceduta in Salerno il 12 ottobre 2015, tutte elettivamente domiciliate in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, unitamente ai loro difensori AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME del foro di Salerno, che le rappresentano e difendono, giusta procura speciale allegata al ricorso
introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori:
‘ EMAIL ‘
‘ EMAIL ‘ );
-ricorrenti –
contro
NOME COGNOME NOME , nata a Buenos Aires (Argentina) il DATA_NASCITA e residente in Bologna, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale indicato nel controricorso: CODICE_FISCALE), quale difensore di sé medesima ex art. 86 c.p.c., COGNOME NOME , nata a S. Angelo a Fasanella (SA) il DATA_NASCITA ed ivi residente (Codice Fiscale indicato nel controricorso: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME , nato a Buenos Aires (Argentina) il DATA_NASCITA e residente in Venezia Mestre, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale indicato nel controricorso: CODICE_FISCALE), gli ultimi due elettivamente domiciliati in Bologna, alla INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al controricorso notificato in data 31 luglio 2020 (indirizzo p.e.c. del difensore : ‘ EMAIL ‘ );
-controricorrenti –
nonché
NOME , nata a Buenos Aires (Argentina) il DATA_NASCITA e residente in INDIRIZZO a Fasanella (INDIRIZZO) (Codice Fiscale indicato nel ricorso: CODICE_FISCALE);
– intimata –
avverso l a sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 195/2020, pubblicata il 13 febbraio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse de lle ricorrenti e dei controricorrenti , ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- I sigg. NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, dinanzi il Tribunale
di Salerno – Sezione Distaccata di Eboli, i sigg. NOME NOME e COGNOME NOME, per sentir dichiarare l’invalidità di alcun i atti negoziali aventi ad oggetto beni immobili e, comunque, l’intervenuta usucapione di questi ultimi.
A fondamento della domanda esponevano che, con atto del 25 ottobre 1947, i fratelli NOME NOME e NOME avevano operato la divisione del compendio dei beni pervenuti loro dai genitori. Precisavano che, all’esito di ciò, erano stati assegnati a NOME, marito di COGNOME NOME e padre degli altri attori, un vano di casa terraneo ed un vano al primo piano con relativa soffitta, facenti parte dell’immobile sito in Sant’Angelo a Fasanella (SA), al INDIRIZZO, ora INDIRIZZO NOME, riportati in catasto alla partita 384, foglio 16, particella 147, subalterno 5, nonché la porzione di fondo rustico in INDIRIZZO, riportata in catasto alla partita 2296, foglio 2, particelle 40, 41 e 82, e la porzione di fondo rustico ‘Caputo’, riportata in catasto alla partita 2296, foglio 22, particelle 142, 148, 149 e 150. Allegavano che, sin dalla data del richiamato atto di divisione, NOME aveva posseduto quanto di sua spettanza quale proprietario, pur essendosi trasferito in Argentina nel 1950. Soggiungevano che i terreni ‘Pellegrino’ e ‘Caputo’ erano stati lasciati in custodia al NOME NOME NOME e, dopo il decesso di quest’ultimo, al di lui figlio NOME NOME, convenuto, perché fossero concessi a terzi per il pascolo di animali, dietro versamento di un canone. Tale provento avrebbe dovuto essere impiegato per il pagamento di eventuali imposte e per far fronte alle spese di manutenzione degli immobili. Allegavano che, nell’agosto dell’anno 2000, NOME NOME aveva appreso da NOME COGNOME che il fabbricato ed i terreni de quibus risultavano iscritti nei registri immobiliari a nome dei convenuti, i quali avevano inserito tali cespiti nella denuncia di successione della loro madre COGNOME NOME. Aggiungevano che, solo nell’anno 2003, NOME, rientrato in Italia, era venuto a sapere che le sue proprietà erano state trasferite da COGNOME NOME alla propria moglie NOME COGNOME con rogito del 15 settembre 1957, agendo quale rappresentante del NOME NOME, in forza di procura rilasciata da quest’ultimo nel 1950, alcuni giorni prima di emigrare in Argentina. Sulla base di tali allegazioni, gli attori chiedevano che l’adito Tribunale volesse: 1) in via principale,
annullare l’atto di vendita del 15 settembre 1957, in quanto concluso da NOME COGNOME in conflitto d’interessi; 2) in via subordinata, accertare l’acquisto per usucapione dei beni immobili descritti in favore di NOME NOME e/o dei suoi eredi; il tutto con vittoria di spese di lite.
Con comparsa di risposta depositata in Cancelleria il 24 aprile 2007, si costituivano in giudizio NOME NOME e COGNOME NOME, i quali deducevano l’infondatezza delle avverse domande. Eccepivano, in particolare, di essere legittimi proprietari dei beni contesi per averli ereditati dalla madre NOME COGNOME. Evidenziavano altresì che gli atti di provenienza non erano annullabili, anche perché la relativa azione era irrimediabilmente prescritta ex art. 1442 c.c. e che anche la domanda di usucapione era infondata. Esponevano, al contempo, che i fatti si erano svolti diversamente da quanto prospettato dagli attori poiché, come risultava dalla scrittura privata del 10 agosto 1950, NOME aveva ricevuto in prestito dal NOME NOME la somma di £. 140.000 (lire centoquarantamila), impegnandosi a restituirla entro due anni. Tale restituzione non era mai avvenuta sicché, con missiva del 29 agosto 1957, NOME aveva autorizzato il NOME NOME a vendere i beni, in forza dei poteri rappresentativi conferitigli con la procura generale per AVV_NOTAIO del 6 agosto 1950, al fine di consentirgli il recupero di quanto elargito in prestito. I convenuti concludevano perciò per la declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto della domanda giudiziale, con vittoria di spese di lite.
Con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., gli attori, in aggiunta alle domande proposte nell’atto di citazione, formulavano una nuova domanda, consistente nella declaratoria di nullità degli atti di vendita del 7 maggio 1954 e del 15 settembre 1957, nonché della procura ad amministrare e vendere rilasciata, in data 6 agosto 1950, da COGNOME NOME a favore di COGNOME NOME, per illiceità della causa ex artt. 1418, 1343, 1344 e 2744 c.c.. Nella medesima memoria, gli attori chiedevano altresì l’annullamento per conflitto d’interessi, ex art. 1394 c.c., anche dell’atto di vendita del 7 maggio 1954, non menzionato nella citazione introduttiva. I convenuti, con la memoria proposta ai sensi dell’art. 183 , comma 6, n. 2) c.p.c., dichiaravano di non accettare il contraddittorio sulle nuove domande, in quanto costituenti una vera e
propria mutatio libelli , come tale inammissibile. L’eccezione veniva mantenuta e reiterata per tutto il corso del giudizio. Ammessi ed espletati gli interrogatori formali, disposta ed eseguita C.T.U. grafologica, all’udienza dell’11 giugno 2014 la causa veniva interrotta per il dichiarato decesso del convenuto COGNOME NOME.
A seguito di ricorso in riassunzione veniva fissata l’udienza per la prosecuzione del giudizio.
Con comparsa depositata in Cancelleria il 22 dicembre 2014 si costituivano NOME e NOME, quali eredi di NOME.
Espletata prova testimoniale ed acquisita documentazione varia, la causa era quindi decisa, dal Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 3393/2016 dell’11 luglio 2016 , per mezzo della quale, rigettate tutte le domande attoree, inclusa quella di accertamento dell’usucapione, era dichiarata d ‘ ufficio la nullità, per violazione degli artt. 2744 e 1344 c.c., dell’atto di vendita per AVV_NOTAIO del 15 settembre 1957, stipulato da COGNOME NOME, in qualità di procuratore di COGNOME NOME, e NOME COGNOME e trascritto nei pubblici registri immobiliari il 24 ottobre 1957.
2.- Avverso la suddetta pronuncia proponevano appello i sigg. NOME, NOME e NOME NOME, lamentando che il giudice di prime cure fosse incorso in errore allorquando aveva rilevato d’ufficio la questione della nullità soltanto, e per la prima volta, con la sentenza, pronunciandosi sulla stessa senza sottoporla preventivamente al contraddittorio delle parti. Inoltre, p er il caso in cui fosse stata confermata l’invalidità degli atti con rigetto dello specifico motivo di gravame, gli appellanti domandavano che fosse accertata l’usucapione in proprio favore dei cespiti oggetto di giudizio. Chiedevano, infine, riformarsi altresì le statuizioni in ordine al governo delle spese di lite, delle quali il Giudice di prime cure aveva pronunciato la compensazione sull’insussistente presupposto della soccombenza reciproca.
L a Corte d’ Appello di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione e condannava gli appellanti alle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava , per quanto di interesse in questa sede: a ) che la domanda di nullità dell’atto di vendita del 15 settembre 1957 era stata proposta dagli attori mediante la memoria di precisazione o modificazione della domanda ex art. 183,
comma 6, n. 1), c.p.c. ; b ) che, dunque, tale domanda era stata introdotta dalle parti nella fase iniziale del processo, quando era possibile controdedurre ad essa nei termini di legge; c ) che gli appellanti avevano concretamente replicato mediante la memoria del 23 giugno 2007, in cui era stata eccepita la tardività della domanda di nullità; d ) che, quindi, da ciò emergeva come la pronuncia sulla nullità fosse stata emessa all’esito di un processo in cui, fin dalla fase iniziale, era stata « tematizzata » la questione della nullità della procura e dell’atto di vendita concluso in base alla stessa; e ) che la domanda di usucapione doveva essere considerata inammissibile, in quanto domanda nuova, non proponibile nell’ambito del giudizio d’appello (art. 345, comma 1, c.p.c.) ; f ) che, infatti, la procura del 6 agosto 1950, il mutuo del 10 agosto 1950 e la compravendita immobiliare del 15 settembre del 15 settembre 1957 erano tre negozi intimamente collegati al fine di realizzare l’effetto di costituire la garanzia reale di beni appartenenti a COGNOME NOME e conferiti in amministrazione a COGNOME NOME, nonché di prevedere che, in caso di inadempimento del mutuo concesso da COGNOME NOME a NOME, tali beni venissero trasferiti ad un fiduciario del creditore; g) che dunque tali negozi realizzavano proprio l’effetto che il legislatore vieta mediante la sanzione della nullità dell’atto di trasferimento dei beni , successivo all’inadempimento, ai sensi dell’art. 2744 c.c.; h) che con la procura del 6 agosto 1950 era stato conferito a NOME NOME il potere di amministrare il beni del mandante e disporre di questi, con autorizzazione al procuratore a sostituirsi al rappresentato in tutti gli atti in essa menzionati; i) che, con la scrittura privata del 10 agosto 1950, in cui si parlava dell’imminente emigrazione di NOME per l’Argentina e del prestito di £ 140.000 (lire centoquarantamila) a questi concesso dal NOME NOME, era stato completato il contenuto della procura generale del 6 agosto 1950 alla quale si faceva esplicito riferimento; l) che, nella suddetta scrittura privata, NOME si era impegnato a restituire il prestito entro due anni e a non revocare la procura fino a tale restituzione; m) che, sempre in tale scrittura privata, a carico di NOME NOME, che non aveva richiesto interessi, non era stato previsto alcun obbligo di rendiconto, fino al giorno dell’estinzione del debito, cosicché doveva ritenersi che gli interessi sulla somma mutuata fossero stati
sostituiti dai frutti dei beni immobili; n) che, con la compravendita del 15 settembre 1957, NOME, sulla base della procura del 6 agosto 1950, aveva trasferito, alla propria moglie, COGNOME NOME, determinati beni appartenenti a NOME, al prezzo di £ 100.000 (lire centomila); o) che gli eredi di COGNOME NOME non avevano dimostrato l’avvenuta corresponsione del prezzo in favore di NOME, avendo anzi assunto, fin dalla prospettazione difensiva, che il loro dante causa era stato autorizzato, con missiva del 29 agosto 1957, a vendere i beni per « ripagarsi del prestito non restituito »; p) tale autorizzazione si evinceva anche dalla lettera autografa di NOME che, però, non recava alcuna data, mentre quella del 29 agosto 1957 risultava apposta su una missiva di risposta; q) che, dopo l’alienazione dei beni corrispondenti al valore del prestito ricevuto da NOME, secondo le intenzioni di quest’ultimo, nel suo patrimonio sarebbe dovuti residuare altri beni; r) che, in definitiva, a causa dell ‘originario debito di NOME, pari a £ 140.000 (lire centoquarantamila), tutti i suoi beni erano stati acquisiti al patrimonio familiare del NOME NOME; s) c he nelle finalità dell’art. 2744 c.c. rientra senz’altro anche quella di impedire che dall’inadempimento di un’obbligazione possa scaturire un aumento sproporzionato del debito.
3.Avverso la sentenza d’appello ha nno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, le sigg. NOME, NOME, COGNOME NOME e NOME, le ultime due entrambe quali eredi (coniuge la prima e figlia la seconda) di NOME , a sua volta unico figlio ed erede di NOME .
Hanno resistito, con controricorso, i sigg. NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
È rimasta intimata la sig.ra NOME.
4.- Ciascuna delle parti costituite ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380bis .1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve darsi atto come la copia autentica della sentenza impugnata risulti incompleta, in quanto priva delle pagine contrassegnate dai numeri 2 e 3. Nondimeno, reputa il Collegio che tale incompletezza non comporti alcuna improcedibilità del ricorso, ex art. 369, comma 2,
c.p.c., giacché la copia di cui si tratta contiene la motivazione relativa allo scrutinio di tutti i motivi di appello formulati dalle odierne ricorrenti e permette, quindi, di dedurre con certezza l’oggetto della controversia e le ragioni poste a fondamento della pronuncia.
Del resto, questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che « La produzione di copia incompleta della sentenza impugnata è causa di improcedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369 c.p.c. solo ove non consenta di dedurre con certezza l’oggetto della controversia e le ragioni poste a fondamento della pronuncia. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C., pur rilevando nella copia depositata la mancanza delle pagine relative allo svolgimento del processo, ha ritenuto di poter evincere le ragioni della decisione dalla motivazione della stessa riportata nel ricorso). » .
1.- Con il primo motivo, le ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4), c.p.c. .
Al riguardo, contestano la motivazione adottata dalla corte distrettuale, evidenziando come, alla stregua della loro prospettazione, « la riconduzione alla sanzione prevista dall’art. 2744 cod. civ. dell’attività negoziale consumatasi tra le parti risulti argomentata alla stregua di mera affermazione di principio. » (cfr., all’uopo, la pag. 9 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
Affermano che il collegio non avrebbe spiegato, né lasciato intendere per implicito, quale peso abbia attribuito alle circostanze riportate in
sentenza. Più precisamente, affinché gli assunti decisori non fossero apodittici, il Collegio avrebbe dovuto chiarire, secondo l’assunto de lle ricorrenti, per quale motivo fosse da ritenersi stipulata con finalità di garanzia una procura rilasciata prima che venisse ad esistenza l’obbligazione che si presumeva garantita. Del pari, avrebbe dovuto essere illustrata la ragione per cui il presunto garantito avrebbe atteso ben sette anni prima di vendere il compendio immobiliare d e quo , malgrado risultasse accertato dalla stessa Corte di Appello che il prestito erogato al germano emigrante andasse restituito in soli due anni, nonché la ragione per cui la procura aveva svolto funzione di garanzia del prestito, dal momento che il rappresentante aveva atteso l’esplicita autorizzazione del debitore per compiere gli atti dispositivi in sua vece. Neppure era stata sondata la ragione per cui, malgrado la procura autorizzasse il rappresentante ad amministrare i beni e percepirne i frutti, questi non siano stati mai destinati al saldo del dovuto, neppure a titolo di interessi.
In sostanza, la motivazione della pronuncia impugnata apparirebbe « insuscettibile di sostenere il decisum nella misura in cui eleva a negozi collegati con finalità di garanzia atti giuridici compiuti nel complessivo arco di sette anni, ognuno avente una specifica finalità, per effetto dei quali, contro ogni logica economica e argomentativa, il preteso garantito non avrebbe ricavato alcun vantaggio in termini di più agevole soddisfacimento della propria pretesa. Egli, invero: a) non avrebbe lucrato alcunché sui frutti prodotti medio tempore dai beni attribuiti alla sua amministrazione, stante l’assunzione dell’obbligo di pagare imposte e tasse sui cespiti non suoi (v. scrittura del 10.08.1950); b) avrebbe atteso ben sette anni per escutere la garanzia, peraltro assecondando una espressa richiesta del debitore in tal senso; c) lungi dal soddisfare comodamente le proprie ragioni, si sarebbe sobbarcato l’onere di liquidare tutto il compendio del germano emigrato, amministrando per conto del medesimo il sovrappiù (v. missiva del 29.08.1957 cit.). » (cfr. pag. 10 del ricorso introduttivo del presente procedimento).
2.- Il motivo è inammissibile.
Ed invero, con esso le ricorrenti censurano la motivazione della sentenza impugnata, sostanzialmente lamentandone l’insufficienza .
Nondimeno, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » .
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5 ), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha congruamente motivato in relazione alle ragioni per le quali ha ritenuto che l’operazione negoziale realizzata dalle parti, attraverso la procura generale del 6 agosto 1950, il mutuo del 10 agosto 1950 e la compravendita immobiliare del 15 settembre 1957, aveva violato il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., incorrendo nella sanzione della nullità contemplata da tale disposizione normativa.
Aggiungasi come, anche con riguardo agli interessi, la corte territoriale abbia – sia pure in maniera sintetica – spiegato che la gratuità del mutuo concesso (in termini di assenza di pattuizione sugli interessi), unitamente alla mancata previsione di un obbligo di rendiconto a carico del procuratore generale NOME, incaricato anche dell’amministrazione dei beni del NOME COGNOME NOME, risultavano elementi valevoli a ritenere che gli interessi sulla somma data a mutuo erano stati sostituiti dai frutti dei beni immobili oggetto di gestione ed amministrazione.
3.- Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1362, 1344, 1418, 1710 e 2744 c.c..
Sostengono, al riguardo, che la corte di merito , nel valutare l’attività negoziale realizzata dai germani AVV_NOTAIO, con gli atti del 6 agosto 1950 e del 10 agosto 1950, ha statuito che questa avesse lo scopo di eludere il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. . La decisione sarebbe stata adottata in assenza dei presupposti che presiedono al l’applicazione dell’istituto. E ciò, in quanto, sebbene gli atti considerati (segnatamente la procura a vendere del 6 agosto 1950, il prestito del 10 agosto 1950 e l’atto di trasferimento del 15 settembre 1957) potessero astrattamente
dar luogo alla fattispecie vietata dall’art. 2744 c.c. , nel caso di specie, non sarebbe revocabile in dubbio la mancanza degli elementi che la giurisprudenza di legittimità ritiene necessari a configurare l’invalidità negoziale per violazione della norma imperativa suddetta. Non sussisterebbe, infatti, l’elemento della contestualità tra procura a vendere e prestito, atteso che quest’ultimo , secondo la prospettazione delle ricorrenti, ha preceduto il rilascio di poteri rappresentativi. Inoltre, evidenziano le ricorrenti, « alla vendita del bene le parti sono pervenute a seguito di precisa istruzione del debitore-rappresentato, contenuta nella missiva del 29.08.1957 per cui non può dirsi presente l’elemento della costrizione, tenuto, altresì, conto che il prestito ricevuto avrebbe dovuto essere restituito entro due anni dall’erogazione, mentre il compendio del germano NOME è stato alienato a cinque anni dalla scadenza del termine per il rimborso » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 11).
Infine, nemmeno sussisterebbe una sproporzione tra quanto dato e quanto ricevuto, posto che il mandatario, sempre in assolvimento all’incarico assunto con la procura del 6 agosto 1950, si è limitato a tenere per sé le somme di stretta spettanza, amministrando, per conto del NOME emigrato, il residuo. Anche tale requisito, pure ritenuto necessario per configurare la violazione dell’art. 2744 c.c. , risulterebbe quindi insussistente.
4.- La censura è inammissibile e, comunque, infondata.
Ed invero, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l ‘ applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la
fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a dare luogo ad una violazione del divieto del patto commissorio, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Peraltro, la censura risulta, in ogni caso, altresì destituita di fondamento, giacché, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, la corte distrettuale ha, sebbene implicitamente, dato conto della contestualità tra la procura ed il mutuo, evidenziando che con la prima, conclusa mediante rogito notarile risalente al 6 agosto 1950, era stato conferito a COGNOME NOME il potere di amministrare il beni del mandante e disporre di questi, con autorizzazione al procuratore a sostituirsi al rappresentato in tutti gli atti in essa menzionati, mentre, con la scrittura privata, risalente alla data del 10 agosto 1950 (e, dunque, posteriore di soli quattro giorni al rilascio della procura), in cui si parlava
dell’imminente emigrazione di NOME per l’Argentina e del prestito di £ 140.000 (lire centoquarantamila) a questi concesso dal NOME NOME, era stato « completato il contenuto della procura generale del 6 agosto 1950 alla quale si faceva esplicito riferimento » (cfr., la sentenza impugnata, alla pag. 5).
Dunque, del tutto correttamente la corte di merito ha ritenuto esistente la contestualità tra i due atti, posto che: 1) essi risultavano stipulati in momenti temporali assai prossimi (6 agosto 1950 e 10 agosto 1950); 2) la scrittura privata del 10 agosto 1950 aveva contribuito a completare il contenuto della procura del 6 agosto 1950; 3) in tale scrittura privata si faceva espressa menzione del mutuo concesso dal sig. COGNOME NOME in favore del NOME COGNOME NOME, che si impegnava a restituire la somma di £ 140.000 (lire centoquarantamila), già ricevuta, entro il termine di due anni e a non revocare la procura stessa prima dell’adempimento di tale obbligazione restitutoria.
In tale ottica, la corte distrettuale ha fatto senz’altro corretta applicazione del principio secondo cui « Estendendosi il divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, ne consegue che anche la procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale. Tale valutazione è demandata al giudice di merito che, nel compierla, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutarli alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto. » (Cass., Sez. 2, sentenza n. 22903 del 26 settembre 2018, Rv. 65037701).
Ancora, diversamente da quanto opinato dalle ricorrenti, la corte distrettuale ha correttamente valorizzato il dato rappresentato dalla circostanza secondo cui alla vendita del bene le parti sono pervenute a seguito di precisa istruzione del debitore-rappresentato, contenuta nella
missiva del 29 agosto 1957, avendo, infatti, espressamente chiarito come, proprio da tale missiva poteva desumersi la volontà del debitore di permettere al creditore di procedere alla vendita in forza della procura già a suo tempo rilasciata, al solo scopo di ta citazione dell’obbligazione restitutoria che era rimasta inadempiuta.
Anche sotto tale profilo, la pronuncia impugnata risulta in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui « In materia di patto commissorio, l’art. 2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il “patto” ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 2469 del 25 gennaio 2024, Rv. 670068-01; conf. Cass., Sez. 2, sentenza n. 13210 del 14 maggio 2024, Rv. 671129-01).
Da ultimo, quanto all’ affermazione delle ricorrenti circa l’insussistenza di una sproporzione tra quanto dato e quanto ricevuto, è sufficiente evidenziare come essa risulti specificamente confutata dalla motivazione della sentenza impugnata nella quale, infatti, la corte territoriale ha espressamente chiarito che, per effetto della vendita del 15 settembre 1957 , a fronte dell’originario debito gravante a carico di COGNOME NOME, pari a £ 140.000 (lire centoquarantamila), tutti i beni di quest’ultimo fossero stati acquisiti al patrimonio familiare del NOME NOME NOME.
5.- Con il terzo motivo, le ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza e/o del procedimento, per violazione degli artt. 112, 183, 324, 342, 343 e 346 c.p.c..
Sostengono, al riguardo, che, con l’atto introduttivo del giudizio, gli attori avevano domandato, in via principale la declaratoria di invalidità dell’atto di vendita intervenuto in data 15 settembre 1957, a mezzo del quale erano stati trasferiti beni immobili di loro proprietà. Ciò sul presupposto che il negozio fosse stato stipulato dal mandatario versando
in conflitto di interessi. I medesimi attori, in via subordinata, avevano chiesto dichiararsi l’intervenuta usucapione degli immobili oggetto del trasferimento.
Costituitisi in giudizio, con comparsa di risposta depositata il 24 aprile 2007, i sigg. NOME NOME e COGNOME NOME, danti causa delle odierne ricorrenti, deducevano l’infondatezza delle avverse domande. Eccepivano, in particolare di essere legittimi proprietari dei beni contesi per averli ereditati dalla madre COGNOME NOME. Rappresentavano poi: che gli atti di provenienza non erano annullabili, come chiesto dalle controparti; che la relativa azione era comunque irrimediabilmente prescritta ex art. 1442 cod. civ.; che anche la domanda di usucapione era infondata. Adducevano, ad ogni modo, che i fatti si erano svolti diversamente da quanto prospettato dagli attori, atteso che, come risultava dalla scrittura privata del 10 agosto 1950, NOME aveva ricevuto in prestito dal NOME NOME, prima di lasciare l’Italia per trasferirsi in Argentina, la somma di £ 140.000 (lire centoquarantamila), impegnandosi a restituirla, senza interessi, entro due anni. Precisavano che la restituzione non era mai avvenuta, sicché, con missiva del 29 agosto 1957, NOME aveva autorizzato il NOME NOME a vendere i beni per conseguire il recupero del prestito elargito, sulla base della procura generale per AVV_NOTAIO che gli aveva rilasciato in data 6 agosto 1950. Con la memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., gli attori allegavano di aver avuto conoscenza delle circostanze che avevano accompagnato il rilascio della procura a vendere solo a seguito delle difese svolte dai convenuti. Per effetto di ciò, in aggiunta alle domande proposte nell’atto di citazione, chiedevano la declaratoria di nullità, per illiceità della causa ex artt. 1418, 1343, 1344 e 2744 c.c., della procura medesima, e degli atti di vendita del 7 maggio 1954 e del 15 settembre 1957, conclusi in forza di essa dal rappresentante. Gli attori chiedevano altresì l’annullamento, per conflitto d’interessi, ex art. 1394 c.c., anche dell’atto di vendita del 7 maggio 1954, non menzionato nella citazione introduttiva. Provvedevano quindi a modificare le conclusioni, chiedendo al Tribunale di « dichiarare nullo l’atto di vendita stipulato il 07.05.1954, nonché l’atto di vendita stipulato il 15.09.1957 e/o dichiarare nulla la procura ad amministrare e vendere rilasciata da fu NOME COGNOME in favore di
fu NOME COGNOME in data 06.08.1950 per illiceità della causa ai sensi degli artt. 1418, 1343, 1344, 2744 e/o annullare gli atti stipulati in data 07.05.1954 e 15.09.1957, da fu NOME COGNOME, con il quali, in rappresentanza di fu NOME COGNOME, vendeva i beni immobili indicati in parte espositiva, alla propria consorte, fu NOME COGNOME, essendo stato concluso in conflitto di interessi e conseguentemente, dichiarare la titolarità del diritto di proprietà in capo a fu NOME COGNOME, dalla assegnazione dei beni stessi e sino al proprio decesso avvenuto il 19.06.2004 e/o in capo agli eredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella misura a loro trasmessa per successione intestata ( cfr. memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c. depositata dagli attori nel giudizio di primo grado). » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alle pagg. 12 e 13). Le odierne ricorrenti, con la memoria proposta ai sensi dell’art. 183 comma 6, n. 2) c.p.c., dichiaravano di non accettare il contraddittorio sulle nuove domande, in quanto costituenti una vera e propria mutatio libelli , del tutto inammissibile. L’eccezione veniva mantenuta e reiterata per tutto il corso del giudizio. Il Tribunale, nello statuire sulla controversia, esaminando il profilo in discussione, così argomentava: « Deve, in primo luogo, rilevarsi che, nella prima memoria istruttoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., gli attori, in aggiunta alle domande proposte nell’atto di citazione, hanno formulato una nuova domanda, consistente nella declaratoria di nullità degli atti di vendita del 07/05/1954 e del 15/09/1957, nonché della procura ad amministrare e vendere rilasciata, in data 6/08/1950, da COGNOME NOME a favore di COGNOME NOME, per illiceità della causa ex artt.1418,1343,1344 e 2744 c.c.. Nella medesima memoria gli attori hanno altresì chiesto l’annullamento per conflitto d’interessi, ex art. 1394 c.c., anche dell’atto di vendita del 07/05/1954, non menzionato nella citazione introduttiva. Sotto il profilo della tempistica processuale, tali domande sono tardive e, quindi, inammissibili. Invero, come si desume da Cass. S.U. n. 3567/2011 (conf. Cass. n. 3806/2016), la prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. può essere utilizzata solo per precisare e modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, ma non per proporre domande del tutto nuove, che, a pena di decadenza, vanno avanzate dall’attore entro la prima ud ienza di trattazione, come prescritto dal co. 5
del medesimo art. 183 c.p.c., sempre che, peraltro, la nuova domanda sia conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto. Il limite temporale previsto per la proposizione di domande nuove non è stato, quindi, rispettato dagli attori (cfr. sentenza primo grado, pag. 4). » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 13).
Sulla base del principio giurisprudenziale della rilevabilità di ufficio della nullità di un contratto, espresso da Cass., Sez. U, sentenze n. 26242 e 26243 del 2014, il Tribunale, tuttavia, affermava che: « il Giudice, anche a fronte di una domanda di annullamento del contratto, deve sempre rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di nullità del medesimo negozio, senza che ciò costituisca violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex. art.112 c.p.c., ragion per cui, in relazione alla vendita del 15/09/57, di cui si è chiesto l’annullamento ex art. 1394 c.c. fin dall’atto di citazione (a differenza della vendita del 07/05/1954, che non rientra nel thema decidendum dell’atto di citazione ed in re lazione alla quale non è quindi neanche astrattamente configurabile una emendatio libelli), il profilo della lamentata nullità della stessa va esaminato nel merito dal sottoscritto giudicante, trattandosi di indagine preliminare rispetto a quella inerente alla annullabilità del contratto. Ebbene ritiene il Tribunale che la domanda di nullità dell’atto di vendita per AVV_NOTAIO del 15/09/1957, per violazione degli artt. 2744 e 1344 c.c., sia fondata e meritevole di accoglimento (cfr. sentenza primo grado, pag. 6). » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 14). Interposto appello avverso la decisione da parte delle odierne ricorrenti, le controparti nulla osservavano in punto di tardività delle domande proposte con la prima memoria istruttoria. Esse, infatti, si limitavano a resistere ai motivi di appello articolati dalle odierne ricorrenti. La Corte d ‘ Appello ha così argomentato: « La domanda di nullità ex artt. 1344 e 2744 cc dell’atto di vendita del 15/09/1957 è stata proposta dagli attori con la memoria di precisazione o modificazione della domanda ex art. 183 comma 6 n. 1 cpc, depositata il 25/05/2007; dunque è stata introdotta dalle parti nella fase iniziale del processo, quando cioè le controparti potevano controdedurre nei termini di legge fissati a tale scopo. Invero, le controparti hanno replicato con la memoria del
23/06/2007, eccependo la tardività della domanda di nullità. Da ciò emerge che la pronuncia sulla nullità impugnata è stata emessa all’esito di un processo, in cui fin dalla fase iniziale è stata tematizzata la questione della nullità di procura ed atto di vendita stipulato in base alla medesima » (cfr. la sentenza impugnata, a pag. 4).
Dunque, alla stregua della prospettazione delle ricorrenti, il giudice del gravame, valutando come corretta l’instaurazione del contraddittorio in ordine alle nuove domande proposte dalle controparti, ne avrebbe implicitamente stimato l’ammissibilità, con ciò contravvenendo al giudicato circa la loro intempestività che si era formato sul relativo capo della sentenza.
In definitiva, con la censura di cui si tratta, le ricorrenti, dopo aver evidenziato che, nell’ambito del giudizio di primo grado, soltanto con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., gli attori avevano proposto la domanda di nullità che era stata, peraltro, ritenuta tardiva dal Tribunale di Salerno, senza che avverso tale statuizione fosse stato proposto, poi, appello incidentale, lamentano che la corte territoriale avrebbe affermato l’esistenza di una corretta instaurazione del contraddittorio in ordine a tale domanda e, dunque, la sua ammissibilità, nonostante il giudicato circa la proposizione intempestiva di quest’ultima, che si era formato in forza della declaratoria di tardività pronunciata dal giudice di prime cure e che non aveva formato oggetto di specifica impugnazione incidentale.
6.- Anche tale censura è destituita di fondamento.
Costituisce, invero, ius receptum il principio secondo cui « Il giudice può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, a norma dell’art. 1421 c.c., anche ove sia stata proposta domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione), senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 1036 del 7 gennaio 2019, Rv. 652655-02; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 2956 del 7 febbraio 2011, Rv. 616615-01). Aggiungasi che, come chiarito sempre da questa Corte regolatrice, « La rilevazione d’ufficio delle nullità negoziali – sotto qualsiasi profilo, anche diverso da quello allegato dalla parte, e altresì per le ipotesi di nullità speciali o di protezione – è sempre obbligatoria, purché la pretesa azionata non venga rigettata in
base a una individuata “ragione più liquida”, e va intesa come indicazione alle parti di tale vizio. La loro dichiarazione, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa – salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte – del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia di giudicato in assenza di sua impugnazione. » (Cass., Sez. 2, sentenza n. 3308 del 5 febbraio 2019, Rv. 652439-01; conf. Cass., Sez. 3, ordinanza n. 39437 del 13 dicembre 2021, Rv. 663435-02).
Nella specie, dunque, pur essendo mancata un’espressa domanda di nullità (per violazione del divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c.), giacché quella proposta mediante la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., era stata reputata tardiva dal giudice di prime cure, dai passaggi motivazionali della sentenza di primo grado riportati nel ricorso, risulta evidente come il Tribunale di Salerno si fosse avvalso della facoltà di pronunciare ex officio la nullità di cui si tratta in relazione all’operazione negoziale realizzata dalle parti. Pertanto, la lettura e disamina di tali passaggi motivazionali, nel loro complesso, permettono di acclarare come, sebbene il giudice di prime cure avesse utilizzato, in maniera impropria (ed atecnica) , l’espressione « domanda di nullità », la sua pronuncia fosse stata adottata d’ufficio, in applicazione dei principi già sopra richiamati.
A fronte di tale quadro, dunque, risulta altresì evidente come la corte distrettuale, con la sentenza impugnata, si sia pronunciata non già sulla domanda di nullità proposta, in primo grado, mediante la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., ma piuttosto sulla declaratoria di nullità per violazione del divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c., pronunciata d’ufficio dal giudice di prime cure nei termini già sopra menzionati e che aveva – questa sì – formato oggetto di impugnazione in appello ad opera delle odierne ricorrenti.
Pertanto, alcuna violazione del giudicato risulta essere stata realizzata ad opera della Corte d’Appello di Salerno.
7.- Con il quarto (ed ultimo) motivo, le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112, 183, 342 c.p.c., nonché 24 e 111 Cost..
Deducono, infatti, che la Corte d’Appello avrebbe sostenuto che il Tribunale non aveva l’obbligo di sottoporre preventivamente la questione di nullità al contraddittorio delle parti, giacché la domanda di nullità della compravendita del 15 settembre 1957 e della procura del 6 agosto 1950 era stata introdotta dagli attori con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., cosicché i convenuti erano stati posti nella condizione di controdedurre in ordine a tale questione.
Ad avviso delle ricorrenti , l’assunto della Corte territoriale non sarebbe condivisibile. Infatti, a fronte della modifica della domanda operata con la prima memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c., i convenuti in primo grado avevano eccepito l’inammissibilità della mutatio libelli , dichiarando di non accettare sul punto il contraddittorio. E l’eccezione di inammissibilità è stata condivisa dal primo giudice che ha scelto la ‘terza via’, cioè quella della rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto, a fronte di una domanda di annullamento. Inammissibilità affermata e dichiarata in più punti della motivazione della decisione del primo giudice, il quale è pervenuto alla conclusione di dichiarare la nullità degli atti per violazione del patto commissorio, non perché la stessa non fosse stata tardivamente proposta (come già detto), bensì in applicazione del principio processuale secondo cui il giudice, anche a fronte di una domanda di annullamento del contratto, deve sempre rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di nullità del medesimo negozio, senza che ciò costituisca violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c..
Ad avviso delle ricorrenti, dunque, « a fronte di una mutatio libelli dichiarata inammissibile dal primo giudice, non era e non è possibile sostenere, come ha fatto la Corte territoriale, che i convenuti, odierni ricorrenti, avrebbero dovuto controdedurre nei termini di legge fissati a tale sc opo e che, di conseguenza, il giudice non aveva l’obbligo di sottoporre al contraddittorio delle parti la questione di nullità dell’atto di vendita del 15.09.1957, dichiarata dal giudice per la prima volta con la sentenza. Se la mutatio libelli era inammissibile per essere stata proposta tardivamente, come affermato dallo stesso giudice del primo grado, i convenuti, che, peraltro, ne avevano eccepito l’inammissibilità, dichiarando di non accettare il contraddittorio, non avevano l’obbligo di
contro
dedurre sulla relativa domanda (quod nullum est, nullum producit effectum). E se a tanto non erano tenuti, la Corte territoriale non poteva di certo sostenere che i convenuti erano stati già posti nella condizione di controdedurre sul mutamento della domanda. Di conseguenza, il giudice che ha sollevato di ufficio la questione della nullità del contratto, aveva l’obbligo di attivare il contraddittorio tra le parti. » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente procedimento, alla pag. 16).
Pertanto, secondo la prospettazione delle ricorrenti, avendo il primo giudice ritenuta e dichiarata l ‘ inammissibilità della domanda nuova, l ‘ interlocuzione fatta dai convenuti nella loro memoria di replica sarebbe da considerarsi come non esistente, non scritta, e come tale inidonea a produrre effetti giuridici.
Infine, le ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda di usucapione da essi proposta fosse tardiva, per essere stata avanzata solo in appello. Deducono che la Corte di merito non avrebbe considerato che l’interesse alla proposizione di tale domanda discendeva proprio dalla decisione del Tribunale di rilevare d ‘ ufficio la nullità degli atti dispositivi controversi, per mezzo dei quali i danti causa delle odierne ricorrenti avevano acquisito la proprietà dei medesimi cespiti per cui l’accertamento era proposto. In definitiva, la decisione impugnata avrebbe trascurato che l’atto di citazione in appello costituiva il primo atto difensivo in cui gli interessati erano posti in condizione di domandare l’estensione del thema decidendum all’usucapione , sarebbe già stata richiesta in primo grado ove essi fossero stati invitati a contraddire in ordine al rilievo officioso della nullità negoziale.
8.- La censura è infondata.
Se è certamente vero, infatti, che la declaratoria di nullità dell’operazione negoziale realizzata dalle parti, per violazione del divieto del patto commissorio, ai sensi dell’art. 2744 c.c., è stata pronunciata d’ufficio dal giudice di prime cure, risulta nondimeno altrettanto innegabile come , indipendentemente dall’invito che questi avrebbe dovuto rivolgere agli odierni ricorrenti, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.c., questi ultimi fossero stati già posti in condizione di formulare le loro osservazioni, per effetto della domanda in tal senso già proposta, ad opera degli attori in primo grado, mediante la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), c.p.c. e
che concerneva esattamente la stessa identica nullità, poi rilevata (e dichiarata) d’ufficio dal giudice di prime cure . Del tutto correttamente, quindi, la corte distrettuale ha rilevato che « La domanda di nullità ex artt. 1344 e 2744 cc … è stata introdotta dalle parti nella fase iniziale del processo, quando cioè le controparti potevano controdedurre nei termini di legge fissati a tale scopo. Invero, le controparti hanno replicato con la memoria del 23/06/2007, eccependo la tardività della domanda di nullità. Da ciò emerge che la pronuncia sulla nullità impugnata è stata emessa all’esito di un processo, in cui fin dalla fase iniziale è stata tematizzata la questione della nullità di procura ed atto di vendita stipulato in base alla medesima ».
In altri termini, la corte di merito, rilevando come, in concreto, nel termine di cui all’art. 183, comma 6, n. 2), c.p.c., i convenuti in primo grado avevano avuto la possibilità di contraddire in ordine alla domanda di nullità per violazione del divieto del patto commissorio proposta dagli attori (sia pure secondo modalità tali da non escluderne la tardività), ha fatto applicazione del principio del raggiungimento dello scopo, in forza del quale la nullità di un atto non può mai essere pronunciata ove quest’ultimo abbia raggiunto lo scopo a cui era destinato (art. 156, comma 3, c.p.c.).
E ciò, in quanto i convenuti avevano comunque avuto la concreta possibilità, mediante la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2), c.p.c., di sviluppare le proprie deduzioni difensive in ordine alla nullità di cui si tratta, atteso che quest’ultima , pur essendo stata introdotta tardivamente dagli attori, risultava nondimeno fondata sui medesimi elementi di fatto e di diritto posti a base della sua declaratoria officiosa da parte del giudice di prime cure.
Da ultimo, anche la doglianza relativa alla domanda di usucapione risulta senz’altro infondata , giacché l’interesse alla proposizione della stessa, lungi dal derivare esclusivamente dalla nullità del trasferimento immobiliare realizzato dalle parti, ben poteva ricollegarsi altresì all’originaria domanda giudiziale proposta dagli attori , nell’ambito del giudizio di primo grado, in termini di annullamento del contratto di compravendita del 15 settembre 1957, in quanto concluso dal
rappresentante NOME in posizione di conflitto di interessi con il rappresentato (e, cioè, con il NOME NOME, suo debitore).
Questa Corte, infatti, ha chiarito che « La relazione di fatto esistente tra la “res” e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di contratto di vendita concluso con il “falsus procurator” è configurabile in termini di possesso e non di detenzione qualificata come per la promessa di vendita produttiva solo di effetti obbligatori, giacché in tal caso il negozio, benché inefficace, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene ed è, pertanto, idoneo a far ritenere sussistente, in capo all'”accipiens”, l'”animus rem sibi habendi” ai fini dell’usucapione ordinaria » (cfr., all’uopo, Cass., Sez. 2, sentenza n. 4945 del 14 marzo 2016, Rv. 63959-01). Trattasi, con tutta evidenza, di principio che, benché affermato con riguardo alla fattispecie prevista ex art. 1398 c.c. (inefficacia del contratto concluso dal rappresentante senza poteri), ben può attagliarsi – per evidente identità di ratio – anche all’ipotesi di annullabilità del contratto prevista dall’art. 1394 c.c. (rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato) , giacché anche in quest’ultima , a fronte di un negozio che, sebbene invalido (perché annullabile), è pur sempre volto al trasferimento del bene, si realizza una relazione di fatto tra la res e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di tale atto traslativo, valevole a far ritenere esistente, in capo all'” accipiens “, l'” animus rem sibi habendi “, idoneo ai fini dell’usucapione.
Pertanto, risultando radica lmente infondato l’assunto dei ricorrenti, secondo cui il loro interesse alla proposizione della domanda di usucapione sarebbe sorto solo a seguito della declaratoria di nullità del trasferimento immobiliare del 15 settembre 1957, e potendo considerarsi, invece, acclarato come quest’ultima ben poteva essere proposta già in via riconvenzionale nell’ambito del giudizio di primo grado (al fine di paralizzare gli effetti dell’eventuale pronuncia di annullamento del contratto, ai sensi dell’art. 1394 c.c.) , del tutto correttamente la Corte d’Appello di Salerno ne ha affermato la tardività – e conseguente inammissibilità, ex art. 345, comma 2, c.p.c. – trattandosi di domanda avanzata, per la prima volta, solo mediante l ‘atto di citazione introduttivo del giudizio di secondo grado.
– In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dei controricorrenti.
Non è luogo a provvedere, invece, in ordine alle spese con riguardo alla posizione de ll’intimata NOME, non avendo quest’ultima svolto alcuna attività difensiva.
– Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € . 6.000,00 (euro seimila /00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione