Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19950 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 19950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16136/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Torino INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, ricorrente
contro
F.lli COGNOME RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, CCIAA di Milano, Messina Paolo, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME Gianfranco, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Sla COGNOME, COGNOME Roberto, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE,
-intimati- avverso il decreto della Corte d’Appello di Milano n. 266/2023 depositato il 16/05/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi il sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso e il difensore del ricorrente, avv. COGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Milano, con decreto del 16.5.2023, ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME, socio illimitatamente responsabile della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato fallito per ripercussione del fallimento della società, avverso il decreto del Tribunale di Lodi che aveva a sua volta rigettato l’istanza di esdebitazione proposta dal reclamante, per aver questi riportato una condanna con patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., per il reato di bancarotta documentale fraudolenta relativa ad altra procedura concorsuale.
1.1 Il giudice del reclamo, condividendo l’impostazione del tribunale, ha ritenuto che non vi era alcun appiglio normativo che consentisse di distinguere le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti dalle sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, con la conseguenza che, anche nell’ipotesi di patteggiamento per il delitto di bancarotta fraudolenta, ai fini dell’ammissione del beneficio dell’esdebitazione, il fallito avrebbe dovuto ottenere la riabilitazione a norma dell’art. 142 comma 1 n. 6 l.fall., nella specie non intervenuta.
2 NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo a due motivi, illustrati con memoria. Nessuna delle parti intimate ha svolto attività difensiva.
3 Con ordinanza interlocutoria del 20.9.2024 la Corte ha rimesso la causa in pubblica udienza evidenziando che il ricorso pone due questioni di rilevanza nomofilattica: la prima attiene alla
equiparabilità o meno della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna cui fa riferimento l’art. 142 l.f., la seconda è relativa all’applicabilità o meno della disciplina di cui all’art. 445, comma 1 bis , come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 142 comma 1 n. 6 l.fall. in relazione all’art. 360, comma 1 n.3, c.p.c..
1.1.Espone il ricorrente che l’ordinamento processuale penale, sia con riferimento al periodo ante che post-riforma ex d.lgs n. 150/2022 (c.d. Legge Cartabia), non consente al giudice civile di riconoscere alcuna efficacia alla sentenza di patteggiamento nel giudizio di cui egli è investito.
In particolare, in base al sistema delineato dagli artt. 445, 651 e 654 c.p.c., solo le sentenze pronunciate a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato hanno efficacia di giudicato nel giudizio civile, mentre quelle di patteggiamento non hanno nessuna efficacia.
In ogni caso la questione, a dire del ricorrente, sarebbe stata definitivamente risolta con l’ ultimo intervento legislativo (c.d. riforma Cartabia) contenente precisazioni essenziali (che per certi versi possono definirsi di interpretazione autentica) in merito all’efficacia della sentenza di patteggiamento nel giudizio extrapenale.
Il motivo è infondato.
2.1 Il thema decidendum oggetto della censura consiste nello stabilire se la sentenza di patteggiamento possa o meno essere equiparata, ai fini dell’esdebitazione, alla sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 142, comma 1 n. 6, l. fall., tenuto anche conto delle modifiche apportate all’art. 445, comma 1 -bis,
c.p.p. dalla riforma cd. Cartabia (d.lgs. n. 150/2022, in vigore dal 30.12.22).
2.2.In via preliminare, va scrutinata la questione dell’applicabilità ratione temporis della norma sopravvenuta contenuta nell’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. alla vicenda in esame.
2.3 L’art. 25, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 150 del 2022, entrato in vigore in data 30/12/2022, ha modificato l’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. che così attualmente recita: « La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna » . La previgente disposizione era così formulata « Salvo quanto disposto dall’art 653 la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento non ha efficacia nei giudici civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni la sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna ».
2.4 Ritiene il Collegio che lo ius superveniens non sia applicabile, ratione temporis , al caso in esame.
2.5 Al riguardo questa Corte, in tema di sanzioni disciplinari, ha affermato il principio secondo il quale gli effetti extrapenali del giudicato, quali delineati dall’art. 445, comma 1-bis, c.p.p., sono regolati dalla legge del tempo in cui la sanzione disciplinare è stata irrogata dal datore di lavoro, in applicazione del “principio tempus regit actum”, sicché le novelle normative sono irretroattive . (Nella specie, la S.C. ha affermato – in materia di conseguenze della
sentenza di patteggiamento – che nella valutazione degli addebiti disciplinari il giudice di merito non può prescindere dal vincolo derivante dal combinato disposto degli artt. 445, comma 1-bis, c.p.p. e 653 c.p.p., nella formulazione vigente al momento dell’irrogazione della sanzione). ( cfr. Cass. Sez. L n. 740/2025).
2.5 Della suindicata vicenda intertemporale si sono occupate anche le Sezioni Unite che con la sentenza n. 6548/2025 hanno puntualizzato quanto segue : i) l’art. 445, comma 1 bis , c.p.p., introdotto art. 25, co. 1, lett. b) d.Lgs. n. 150 del 2022, è entrato in vigore il 30.12.2022, senza che sia stata approntata disciplina transitoria; ii) la norma, come già la sede di allocazione avverte, ha natura meramente processuale sicché è soggetta al principio generale secondo cui tempus regit actum; iii) solo un’espressa previsione normativa può assegnare, in tutto o in parte, anticipata applicazione alla nuova disciplina processuale.
2.6 Trasponendo tali principi nella materia in esame, costituita dalla sussistenza del requisito soggettivo per l’esdebitazione, è indubbio che, essendo l’art. 445, comma 1 bis, c.p.c. norma di natura processuale, il regime normativo sugli effetti penali della sentenza di patteggiamento contenuto in tale disposizione, è da individuarsi in quello vigente al momento in cui viene pronunciata la sentenza di applicazione su richiesta ex art. 444 c.p.c. a nulla rilevando né il passaggio in giudicato della sentenza, né il momento in cui viene proposta l’istanza di esdebitazione : il tempus in relazione al quale discernere la norma processuale applicabile di volta in volta al caso di specie è quindi quello della materiale emissione della pronuncia penale all’esito del rito alternativo.(v. Cass. Sez. Un. pen. n. 27614/2007; v. anche: Cass. penale 19117/2018; Cass. pen. 27004/2021).
2.7 Nel caso di specie la sentenza di applicazione della pena su richiesta risale al giugno 2018, in epoca ben antecedente alla data di entrata in vigore del d.lvo 150/2022; la controversia va quindi
decisa, in applicazione il principio tempus regit actum, sulla base della vecchia formulazione dell’art. 445, comma 1 bis, c.p.p..
2.8 Ciò posto, resta da verificare la correttezza giuridica dell’equiparazione – contenuta nel decreto qui impugnato – ai fini impeditivi previsti dall’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. tra sentenza di condanna e quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, nel regime processuale, pertanto, antecedente alla cd. riforma Cartabia.
2.9 Ritiene la Corte che deve ritenersi preferibile la tesi secondo cui la pronuncia di patteggiamento è equiparabile alla sentenza di condanna, in modo tale che entrambe ostano al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 142 l.fall. .
Diversi argomenti militano a favore della soluzione qui accolta.
2.10 Una corretta esegesi del disposto normativo dettato dall’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. non può che partire da un punto fermo. E, cioè, che, se la clausola di salvaguardia legittima le cd. eccezioni alla regola – ovvero tutti gli effetti premiali, favorevoli o in bonam partem che il legislatore vuole far discendere dalla pronuncia con chiara funzione incentivante (e costituiti dai benefici ex art. 445 c.p.p., normalmente incompatibili con una pronuncia di condanna)
al di fuori di questo numerus clausus la regola che permane è quella della piena equiparazione ad una sentenza di condanna, con tutti gli effetti che essa produce.
2.11 Nella medesima direzione interpretativa converge l’argomento letterale.
2.12 L’art. 445, comma 1 -bis, c.p.p., nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, stabilisce che « Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata ad una sentenza di condanna ». Da tale disposizione è dunque ragionevole inferire che ogniqualvolta le norme (penali o extrapenali) menzionano genericamente « la sentenza di condanna » esse debbono ritenersi applicabili anche in presenza di una sentenza di patteggiamento.
Per essere esclusa la citata equiparazione occorrerebbe, infatti, una specifica previsione normativa di carattere derogatorio. Previsione tuttavia mancante nell’ordinamento positivo.
2.13 A ciò va aggiunto, come correttamente osservato dalla Procura generale nella sua requisitoria scritta, che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 142 l. fall., la sentenza di condanna viene in evidenza non per gli effetti di giudicato, quali delineati dall’art. 653 c.p.p., comma 1bis, ma quale ‘fatto storico’, come tale di per sé ostativo ex lege al riconoscimento del beneficio esdebitatorio. La sentenza di condanna integra, cioè, un elemento normativo già previsto ed apprezzato ex ante dal legislatore come requisito impediente il beneficio in parola, perché collegato ad una intrinseca valutazione di non meritevolezza del soggetto attinto dal provvedimento penale di condanna, per i reati espressamente previsti dall’art. 142, primo comma, n. 6, l. fall., fatta salva sempre la possibilità della riabilitazione.
2.14 Sul punto è opportuno un breve cenno alla natura dell’istituto della esdebitazione.
2.15 L’esdebitazione, positivamente disciplinata dall’art. 142 l. fall., ha fatto ingresso nell’ordinamento interno solo in epoca recente, con la novella apportata dal D.lgs. n. 5/2006, soppressivo del previgente istituto della cd. riabilitazione civile del fallito (tesa alla sua riqualificazione mediante caducazione delle incapacità personali a carattere sanzionatorio derivanti dall’iscrizione nel registro dei falliti, poi abolito). A mente della norma da ultimo ricordata, « il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti » al ricorrere di determinati presupposti, definiti indici o requisiti di meritevolezza, in deroga al principio sancito nell’art. 2740 c.c. della responsabilità patrimoniale. Avuto specifico riguardo, per quanto concerne la questione qui in esame, al primo comma, la norma dettata dal predetto art. 142 prevede – in conformità alla sua
natura essenzialmente premiale – il ricorrere di una serie di condizioni (di carattere fondamentalmente soggettivo e a carattere positivo o negativo, a seconda che se ne prescriva la presenza oppure l’assenza ai fini del riconoscimento del beneficio) riguardanti, da un lato, la condotta tenuta ad opera del debitore sia prima che durante la procedura e, dall’altro, l’assenza di circostanze impeditive personali, consistenti in condotte antigiuridiche, concretatesi o meno in una condanna penale. Segnatamente, all’interno della seconda categoria è possibile rinvenire circostanze impeditive personali relative a condotte antigiuridiche, tanto non concretatesi in una condanna penale (n. 5: distrazione dell’attivo, esposizione di passività insussistenti, avere cagionato/aggravato il dissesto, avere reso gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, avere fatto ricorso abusivo al credito), quanto concretatesi in determinate condanne penali ostative (il n. 6, oggetto del presente ricorso, ove si prescrive che il debitore « non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale »).
2.16 Pertanto, nonostante in dottrina si sostenga che nel patteggiamento manchi l’accertamento, «limitandosi il giudice ad una verifica negativa sulle cause di non punibilità, ad un controllo sommario sull’assenza di contrasti sull’ipotesi fattuale prospettata dalle parti e gli atti dell’indagine», il richiamo all’art. 129 c.p.p. contenuto nell’art. 444, comma 2, c.p.p. rappresenta, al contrario, «l’indice più palese dell’indispensabilità e indisponibilità della cognizione giurisdizionale anche in un procedimento di matrice negoziale». Il fatto, cioè, che il giudice non svolga una mera
funzione ‘notarile’, ma debba verificare se sussistono le condizioni ex art. 129 c.p.p. rappresenta il riconoscimento di poteri cognitivi che culminano in una valutazionesia pur sommaria; una valutazione che benché senza plena cognitio integra pur sempre un giudizio.
2.17 Del resto, l’interpretazione dell’istituto in esame qui accolta è conforme al sistema complessivo dettato dal codice di procedura penale. Sono, infatti, riconducibili all’ampio genus delle sentenze di condanna tutte le pronunce che irrogano la pena, indipendentemente dal rito che ha condotto alla loro emanazione. In questa prospettiva sono, dunque, assimilabili, in difetto di altre indicazioni, non solo le sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, ma anche il decreto penale di condanna ovvero, per l’appunto, la pronuncia di patteggiamento.
2.18 Quanto sin qui sostenuto trova concorde la giurisprudenza di legittimità civile e penale.
2.19 La Cassazione penale ha ribadito la piena equiparazione della sentenza di condanna alla pronuncia di patteggiamento: – in tema di attenuanti generiche (Cass. pen. n. 23952/2015 ha affermato che anche la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. configura un precedente penale valutabile ai sensi dell’art. 133 c.p.c.: v. anche Cass. pen. 11225/1999); -in tema di sospensione condizionale della pena (Cass. pen. n. 43095 / 2021 ha affermato che, ai fini della sospensione condizionale della pena, la sentenza di patteggiamento, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., l’estinzione del reato cui essa si riferisce; v. anche Cass. pen. n. 26527/2024).
La stessa conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza tributaria (v., ad esempio, Cass. n. 29142/2021, in cui si ammette
che la sentenza di patteggiamento ‘avendo natura di sentenza di condanna’ può essere utilizzata come prova dal giudice tributario). 2.20 Anche la Cassazione civile ha in più occasioni ribadito, seppure incidentalmente, analogo principio evidenziando che la pronuncia di patteggiamento ha una efficacia probatoria limitata nei giudizi civili, non per ragioni di carattere sistematico (e, dunque, in ragione del fatto che essa non è equiparabile alla comune sentenza di condanna), ma solo in considerazione dell’espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, in deroga al disposto degli artt. 651 e 652 c.p.p., prevede che detta pronuncia ‘non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi’ ove, pertanto, può assumere esclusivamente la valenza di un indizio liberamente valutabile (sul punto, v. Cass. n. 26250/2011, 26263/2011, 22213/2013, 20170/2018, 40796/2021 e 2897/2024).
2.21 In conclusione, la lettura planare dell’art. 445 c.p.p. induce a ritenere che, in difetto di una disposizione derogatoria espressa, la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. si iscrive tra le sentenze di condanna.
2.22 L’equipollenza tra la sentenza di condanna e la pronuncia di patteggiamento non può essere negata neanche in considerazione del fatto che quest’ultima non fa stato nei giudizi civili e amministrativi di danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’impugnato lo ha commesso. Ed invero, tale limitata valenza è riconducibile all’espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, a fini premiali, deroga espressamente le regole generali dettate dagli artt. 651 e 652 c.p.p..
2.23 Prova ne è il fatto: – che la sentenza di patteggiamento è, invece, vincolante nel giudizio disciplinare poiché l’art. 445 c.p.p., nella versione ratione temporis applicabile, nel prevedere che la sentenza di patteggiamento non possa fare stato nei soli giudizi civili e amministrativi, non deroga a quanto previsto in termini
generali dall’art. 653 c.p.p. (Cass., sez. L., n. 20721 del 2019); -che, ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, nei casi previsti dall’art. 2947, comma 3, seconda parte, c.c., nella nozione di sentenza irrevocabile deve ritenersi compresa anche quella pronunciata a seguito di patteggiamento, rispetto alla quale trova pur sempre attuazione la ratio , propria della disposizione citata, di escludere l’effetto – più favorevole per il danneggiato -dell’applicazione del termine prescrizionale più ampio, nei casi in cui il procedimento penale non abbia avuto un esito fausto per il danneggiato (Cass. n. 32474 del 2023).
3 Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art 142, comma 6, l.fall. in relazione all’art.360, comma 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte erroneamente esteso l’efficacia ostativa della sentenza di condanna per fatti di bancarotta fraudolenta anche a fatti estranei alla procedura concorsuale in riferimento alla quale viene richiesta l’esdebitazione.
3.1 Si sostiene che l’art. 142 l. fall. è norma eccezionale e, pertanto ai sensi dell’art. 14 delle preleggi non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati; si argomenta, inoltre, che, poiché l’art. 142, comma 1, n. 6 l.fall. dopo aver previsto che può essere ammesso al beneficio dell’esdebitazione chi « non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio » fa precedere dalla congiunzione ‘e’ il successivo periodo di chiusura « altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa », per tale ragione la disposizione, nel suo complesso, deve essere interpretata nel senso di unire tutte le fattispecie ostative (bancarotta fraudolenta, delitti contro l’economia pubblica l’industria e il commercio altri delitti) in connessione con l’esercizio dell’attività di impresa.
4 Il motivo non merita accoglimento.
4.1 Il tenore letterale dell’art. 142 l.f. è chiaro ed inequivocabile nel precludere la possibilità di ottenere il beneficio della inesigibilità dei debiti al fallito che abbia riportato la condanna con sentenza passata in giudicato per i delitti di «bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica , l’industria il commercio e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività di impresa» e non autorizza alcuna operazione ermeneutica che circoscriva le ipotesi di reato elencate dalla disposizione a quelle correlate alla procedura concorsuale per la quale viene chiesta l’esdebitazione.
4.2 L’interpretazione restrittiva prospetta dal ricorrente si pone inoltre in contrasto con i principi generali nazionali e euro-unionali che, pur esprimendo un innegabile favore verso l’istituto della esdebitazione, consentono deroghe ogniqualvolta « il debitore è disonesto o ha agito in malafede » ( cfr. considerando n. 78 della citata Direttiva Direttiva (UE) n. 2019/1023).
In conclusione il ricorso è rigettato.
Nulla è da statuire sulle spese processuali non avendo gli intimati svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 14 maggio 2025.