Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15281 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15281 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME, quale titolare dell’omonima impresa individuale (P_IVA: P_IVA), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 2346/2019, pubblicata il 29 novembre 2019, notificata a mezzo PEC il 2 dicembre 2019;
R.G.N. 5546/20
C.C. 22/5/2024
Appalto -Pagamento compenso -Garanzia per i vizi
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -All’esito del deposito in data 26 marzo 2010 di ricorso monitorio, con decreto ingiuntivo n. 1426/2010, depositato il 20 aprile 2010, il Tribunale di Palermo ingiungeva il pagamento, in favore di COGNOME NOME e a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME, della somma di euro 11.360,34, oltre interessi legali, a titolo di residuo compenso dovuto per l’appalto eseguito, avente ad oggetto i lavori di ristrutturazione sull’immobile sito in Monreale, INDIRIZZO.
2. -Con atto di citazione notificato il 7 giugno 2010, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano opposizione avverso l’emesso provvedimento monitorio e, per l’effetto, convenivano, davanti al Tribunale di Palermo, COGNOME NOME, chiedendo che il decreto ingiuntivo opposto fosse revocato e -in via riconvenzionale -che l’appaltatore fosse condannato all’integrale eliminazione dei vizi lamentati dell’opera appaltata, in quanto non eseguita a regola d’arte, o in subordine -al pagamento di quanto all’uopo necessario nonché al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale resisteva all’opposizione e alla domanda riconvenzionale avversaria, eccependo la decadenza della denuncia dei vizi e negando comunque la ricorrenza di alcun vizio e, quindi, dei presupposti affinché potessero essere invocate le azioni a supporto della garanzia attivata.
Nel corso del giudizio era assunta la prova orale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1862/2015, depositata il 13 marzo 2015, accoglieva in parte qua l’opposizione spiegata e la proposta domanda riconvenzionale e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava COGNOME NOME NOME pagamento, in favore di COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, della somma di euro 6.062,51, all’esito della compensazione in senso atecnico tra il residuo corrispettivo ancora dovuto all’impresa appaltatrice, a saldo dei lavori eseguiti, pari ad euro 13.952,00, e i danni liquidati ai committenti per i vizi dell’opera, pari ad euro 20.014,51.
3. -Con atto di citazione notificato il 14 ottobre 2015, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado COGNOME NOME, il quale lamentava: 1) che erroneamente era stata disattesa l’eccezione di decadenza dalla garanzia attivata per omessa denuncia nei termini di legge; 2) che erroneamente non si era tenuto conto delle diverse concause dei difetti ex adverso dedotti nonché delle risultanze istruttorie che ne escludevano l’imputabilità soggettiva all’assuntore; 3) che era necessaria la rinnovazione delle indagini peritali, in quanto la consulenza d’ufficio espletata era imprecisa, contraddittoria, incomprensibile e soprattutto abnorme nelle sue considerazioni finali, con riferimento all’ammontare determinato degli interventi di emenda.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali concludevano per l’inammissibilità o il rigetto del gravame e, in via incidentale, chiedevano, in parziale riforma della sentenza impugnata, che fosse revocata la disposta
compensazione tra le poste di dare e avere, in quanto gli appaltanti avevano già tacitato e soddisfatto, nelle more, il credito ad essi contrapposto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava COGNOME NOME al pagamento, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, per la causale indicata, della somma di euro 20.014,51, senza alcuna compensazione.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che gli appellanti incidentali avevano dedotto il pagamento della somma dovuta dai committenti all’appaltatore mediante assegno circolare emesso in data 9 febbraio 2011; b ) che, essendo il decreto ingiuntivo opposto munito della clausola di provvisoria esecuzione in corso di causa , era plausibile che gli appellanti incidentali avessero provveduto al pagamento della somma indicata nel decreto ingiuntivo, anche al fine di evitare che l’impresa procedesse, nelle more, all’esecuzione forzata; c ) che tale tesi difensiva aveva trovato conferma decisiva nell’assegno circolare all’ordine dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, prodotto nel giudizio di secondo grado e allegato all’atto di appello incidentale; d ) che, poiché la controversia era stata instaurata in primo grado nell’anno 2010, prima dell’entrata in vigore della riforma di cui al d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, tale documento poteva essere prodotto nel giudizio di gravame, essendo indispensabile ai fini della decisione; e ) che, per l’effetto, l’assuntore doveva essere condannato al pagamento della somma liquidata dal Tribunale a
titolo di risarcimento danni per i vizi dell’opera eseguita, pari ad euro 20.014,51, dovendosi invece escludere la compensazione in senso atecnico con il residuo corrispettivo a saldo dei lavori eseguiti, pari ad euro 13.952,00, somma già pagata dagli appellanti incidentali nelle more del giudizio di primo grado.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME NOME.
Hanno resistito, con controricorso, gli intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 345, terzo comma, c.p.c. (come novellato dalla legge n. 134/2012), per avere la Corte di merito ritenuto che la produzione dell’assegno circolare avvenuta nel giudizio di gravame fosse ammissibile, in quanto il giudizio di primo grado era stato introdotto nell’anno 2010, prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni in legge n. 134/2012, sicché avrebbe operato la disposizione precedente, secondo cui la produzione nel giudizio di gravame di nuovi documenti sarebbe stata ammissibile ove indispensabile ai fini della decisione della causa.
Per converso, ad avviso del ricorrente, la versione riformata dell’art. 345, terzo comma, c.p.c. sarebbe stata applicabile a tutti i giudizi la cui sentenza di primo grado fosse stata pronunciata successivamente alla data di entrata in vigore della novella
dell’11 settembre 2012 e, quindi, anche al giudizio di specie, posto che la sentenza di prime cure era stata pronunciata nell’anno 2015, con la conseguente inammissibilità di detta nuova produzione.
1.1. -Il primo motivo è infondato, sebbene la motivazione debba essere corretta perché erronea in punto di diritto, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
Infatti, è bensì esatto che la modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., operata dal d.l. n. 83 del 2012 -che prevede il divieto di ammissione, in appello, di nuovi mezzi di prova e documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrli per causa ad essa non imputabile -, trova applicazione, mancando una disciplina transitoria e dovendosi ricorrere al principio tempus regit actum , solo se la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della l. n. 134 del 2012, di conv. del d.l. n. 83 cit. e, cioè, dal giorno 11 settembre 2012 (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30792 del 06/11/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 29608 del 25/10/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 10941 del 26/04/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21606 del 28/07/2021; Sez. 3, Sentenza n. 26522 del 09/11/2017; Sez. 2, Sentenza n. 6590 del 14/03/2017).
Al riguardo, quindi, non era dirimente -come invece ritenuto erroneamente dalla sentenza impugnata -la data di inizio del giudizio di primo grado, sicché, a fronte della pubblicazione della sentenza impugnata in data 13 marzo 2015, la novella di cui all’art. 345, terzo comma, c.p.c. sarebbe stata applicabile, con la
conseguente preclusione della produzione in appello di documenti ritenuti indispensabili ai fini della decisione (secondo la versione antecedente alla novella indicata).
Nondimeno, la circostanza non è decisiva.
E tanto perché la produzione del documento volto a comprovare quanto già dedotto nel giudizio di prime cure (con la memoria integrativa del thema decidendum ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. vigente ratione temporis , depositata dagli opponenti il 29 marzo 2011, fatto ribadito nella comparsa conclusionale di tali parti), come puntualizzato dai controricorrenti, non era soggetta alla limitazione di cui all’art. 345, terzo comma, c.p.c., trattandosi di pagamento avvenuto nel corso del giudizio di primo grado per evitare l’azione esecutiva che il creditore avrebbe potuto avviare nelle more, essendo stata concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.
Segnatamente, a pag. 2 di detta memoria, gli opponenti, dopo aver precisato che, nonostante le critiche mosse al provvedimento monitorio, il Tribunale aveva provveduto, con ordinanza dell’11 gennaio 2011, a concedere la provvisoria esecuzione del decreto opposto, di cui si chiedeva la revoca, hanno evidenziato, ad ogni buon conto, di aver dato corso al pagamento delle fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE in relazione alle opere ad essa commissionate.
Ed invero, l’interesse ad avvalorare in via documentale il fatto già dedotto è insorto solo all’esito della disposizione della compensazione in senso atecnico tra l’importo portato nel provvedimento monitorio opposto (senza tener conto del pagamento avvenuto in forza della provvisoria esecutività del
titolo) e l’oggetto dell’accolta domanda riconvenzionale (come proposta dagli opponenti), disposizione avvenuta a cura della sentenza di primo grado.
Orbene, all’esito della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto con ordinanza dell’11 gennaio 2011, gli opponenti, evidentemente al mero fine di evitare conseguenze pregiudizievoli nella propria sfera patrimoniale -e senza alcun riconoscimento della fondatezza della pretesa azionata in sede monitoria -(sulla valenza meramente esecutiva del pagamento avvenuto in forza di decreto ingiuntivo munito della clausola di provvisoria esecuzione, e non già estintiva di un debito riconosciuto, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 36796 del 15/12/2022; Sez. L, Sentenza n. 21432 del 17/10/2011; Sez. 1, Sentenza n. 13085 del 22/05/2008; Sez. 1, Sentenza n. 22489 del 19/10/2006; Sez. 3, Sentenza n. 15026 del 15/07/2005; Sez. U, Sentenza n. 7448 del 07/07/1993), hanno provveduto al pagamento, con assegno circolare del 9 febbraio 2011, dell’importo di euro 12.694,36, all’ordine di COGNOME NOME, e hanno dedotto tale fatto con la memoria assertiva depositata il 29 marzo 2011.
Avendo il giudice di prime cure disposto la compensazione atecnica delle due pretese sostanziali fatte valere, senza tenere conto del fatto addotto dagli opponenti (ossia dell’avvenuto pagamento della somma di cui al decreto ingiuntivo opposto, all’esito della concessione della sua provvisoria esecuzione), quest’ultimi hanno allegato il documento dimostrativo di tale fatto, avvenuto nel corso del processo, con la comparsa di
costituzione nel giudizio di gravame, contenente l’appello incidentale.
2. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 1241 e ss. c.c., per avere la Corte territoriale sostenuto che nessuna compensazione in senso atecnico fosse dovuta in ragione dell’integrale pagamento, nel corso del giudizio di opposizione, della somma portata nel provvedimento monitorio, mentre l’importo versato nelle more del giudizio di primo grado sarebbe ammontato, casomai, per la causale in argomento, ad euro 11.360,34, pari alla sorte capitale del decreto ingiuntivo emesso.
Sicché, a fronte di un debito residuo dell’appaltatore, accertato e non contestato, pari ad euro 13.952,00, comunque avrebbe dovuto essere disposta la compensazione in senso atecnico quantomeno nei limiti di euro 2.591,66.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
In proposito, il ricorrente ha dedotto un’erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione ed ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati e non contestati (quanto all’importo della somma oggetto di pagamento con il richiamato assegno circolare).
Ebbene l’errore puramente di calcolo o materiale non può costituire motivo di ricorso per cassazione, dovendosi necessariamente far ricorso alla procedura di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c., con esclusione del ricorso per cassazione, ogni
qualvolta l’errore materiale o di calcolo non sia conseguenza di una inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione, ma di una svista del giudice nella compilazione della sentenza, che non tocchi il contenuto della decisione e che non esiga per la sua identificazione una ulteriore indagine di fatto (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 2486 del 29/01/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 2399 del 31/01/2018; Sez. 3, Sentenza n. 23704 del 22/11/2016; Sez. 2, Sentenza n. 28712 del 30/12/2013; Sez. 3, Sentenza n. 11712 del 05/08/2002; Sez. 1, Sentenza n. 3382 del 07/10/1954).
3. -Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 81 c.p.c., per avere la Corte distrettuale rilevato che il pagamento del compenso residuo dovuto fosse stato comprovato dal prodotto assegno circolare, benché dalla lettura della fotocopia richiamata emergeva che esso provenisse da un soggetto estraneo alle parti.
Con la conseguenza che vi sarebbe stata la mancanza di titolarità attiva dei committenti in ordine all’eccepito pagamento.
3.1. -Il motivo è in infondato.
E tanto perché, a fronte dell’effettiva destinazione di tale mezzo di pagamento alla soddisfazione del credito del COGNOME per il compenso dovuto in ragione dell’appalto eseguito, come da provvedimento monitorio opposto (aspetto, questo, non contestato), ogni censura sulla ‘provenienza’ dell’assegno all’ordine dell’appaltatore (senza che peraltro sia stata specificata tale asserita diversa provenienza) non assume rilievo decisivo,
una volta che esso sia andato a buon fine (aspetto anch’esso non contestato).
Si tratta, al riguardo, di assegno circolare emesso da una banca all’ordine dell’appaltatore, che costituisce un mezzo di pagamento, e non già di assegno bancario, al quale non può essere attribuito eguale valore probatorio circa la certezza della disponibilità della somma da parte dell’emittente o del girante, con il relativo pericolo di mancanza della provvista presso la banca obbligata al pagamento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24402 del 01/12/2010; Sez. U, Sentenza n. 26617 del 18/12/2007; Sez. 3, Sentenza n. 27158 del 19/12/2006; Sez. 1, Sentenza n. 11851 del 19/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 12324 del 10/06/2005).
La somma è entrata infatti nella disponibilità del beneficiario per il titolo indicato.
4. -In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in
complessivi euro 2.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda