Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3089 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3089 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25875/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CATANIA n. 1110/2020, depositata il 29/06/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il decreto ingiuntivo dell’importo di €. 62.426,05, rilasciato in favore di NOME COGNOME per il pagamento di una fattura in esecuzione di lavori edili, è stato opposto innanzi al Tribunale di Siracusa da NOME COGNOME, il quale asseriva di aver onorato tutte le fatture e spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento a suo favore di €. 70.000,00 asseritamente corrisposti a titolo di acconto per la fornitura di materiale edile.
IL CTU accertava che l’esatta consistenza e valore dei lavori eseguiti dall’impresa edile di NOME COGNOME ammontavano ad €. 208.690,87 (oltre IVA, per un totale di €. 242.209,04), e che risultavano agli atti fatture emesse dall’impresa RAGIONE_SOCIALE e pagate da NOME per €. 337.229,22 (oltre IVA, per un totale di €. 404.675,05).
1.1. Il Tribunale di Siracusa, con sentenza n. 1051/2016, rigettava la domanda dell’opponente COGNOME COGNOME alla condanna di controparte di €. 70.000,00; riteneva sussistente un accordo tra il committente e l’impresa appaltatrice avene ad oggetto pagamenti fitt izi di somme, per l’importo totale di €. 108.850,00, finalizzati a consentire al committente di fruire di incentivi di Stato per attività produttive in aree depresse (ai sensi della legge n. 488/1992) e, pertanto, detraeva detta somma – pagata dal com mittente e restituita dall’appaltatrice in danaro contante -riducendo il credito in favore dell’appaltatrice a €. 43.381,71 (somma comprensiva di IVA).
Impugnava la suddetta pronuncia NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Catania, che rigettava il gravame sostenendo che:
-si deve ritenere sussistente l’accordo intercorso tra committente e impresa appaltatrice avente ad oggetto il pagamento fittizio di
somme. Trattandosi di clausola nulla per violazione di norme penali, rilevabile d’ufficio, la retrocessione delle somme concordate rappresenta il pagamento di un indebito oggettivo;
-è infondata la pretesa restituzione di €. 70.000,00, asseritamente versati da NOME a titolo di acconto su materiali mai utilizzati dall’impresa RAGIONE_SOCIALE per i lavori edili: l’inesistenza in cantiere di detti materiali si spiega alla luce del suddetto accordo, che comprendeva tra le voci gonfiate in fatturazione materiali e manodopera inesistenti.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a quattro motivi.
Resiste NOME COGNOME.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di prova e del suo onere, ex artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e artt. 2729 e 2697 cod. civ. in ordine alla prova della pretesa restituzione delle somme. Il ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui, per sostenere l’avvenuta restituzione di €. 108.500,00 a favore di COGNOME in esecuzione di un preteso accordo di pagamento fittizio di somme, la Corte territoriale avrebbe fatto ricorso a presunzioni semplici non gravi né precise né concordanti, sì che la decisione viola il principio dispositivo ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., in quanto ha introdotto nel processo prove non fornite dalle parti, illegittimamente sottraendo all’impresa appaltatrice l’onere di prova s u di essa incombente in ordine alla restituzione della predetta somma.
1.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
1.2. E’ infondato nella parte in cui censura l’erronea distribuzione in motivazione degli oneri di prova.
La pretesa creditoria della ditta appaltatrice, per la quale era stato emesso decreto ingiuntivo, era fondata sull’emissione di fatture (in parte) non onorate, ed era stata opposta dal committente COGNOME, il quale a sua volta assumeva la posizione processuale di attore nel giudizio di opposizione, avendo spiegato domanda riconvenzionale. Di conseguenza, sotto il profilo della distribuzione degli oneri di prova, spettava all’opponente dimostrare l ‘effettiva esistenza e consistenza del suo credito, derivante -secondo quanto da lui sostenuto -dal pagamento di un acconto per materiali (pacificamente mai utilizzati nei lavori de quo ).
La Corte d’Appello ha ritenuto non provata la sussistenza di detto credito: da quanto accertato nei due elaborati della CTU, sui cantieri non era stato rinvenuto materiale in eccesso; da tanto il giudice di seconde cure ha dedotto che fosse ragionevole ritenere che, tra le voci «gonfiate» e fatturate – che concorrevano a formare le somme oggetto della clausola nulla, presuntivamente accertata sulla base di ulteriori risultanze indiziarie -vi potessero appunto essere quelle di materiali mai acquistati dalla ditta appaltatrice.
1.3. Quanto, poi, all’acc ertamento in via presuntiva dell’esistenza di un accordo tra committente e appaltatrice per pagamenti fittizi di somme, oltre a quanto chiarito dalla Corte territoriale in merito ai pretesi pagamenti in acconto di materiali mai utilizzati né rinvenuti in cantiere: in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni «gravi, precise e concordanti», laddove il requisito della «precisione» è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della «gravità» al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della «concordanza» richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che
il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungi bile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi (per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8829 del 29/03/2023, Rv. 667508 – 02).
1.3.1. Nel caso che ci occupa, la precisione dei fatti storici noti è stata dalla Corte territoriale riconosciuta nella notevole sproporzione tra l’importo delle somme erogate dal committente e regolarmente fatturate dall’appaltatore, parti ad oltre quattrocentomila euro, e l’im porto complessivo dei lavori, comprensivo dei materiali, quantificato dalla CTU in circa duecentoquarantamila euro; nel fatto che si trattasse di un appalto a misura con pagamenti a stato di avanzamento; nella quasi contestualità, registrata in tre mesi consecutivi, della restituzione delle somme fittiziamente corrisposte da NOME e risultante dagli estratti del conto corrente dell’impresa appaltatrice dai quali risultano i prelievi del contante. La gravità sta nell’alto grado di probabilità che i suddetti accadimenti storici noti potessero essere ricondotti ad un accordo di pagamenti fittizi in frode alla legge. Infine, la concordanza è stata sugellata dalla concorrenza dei fatti noti sopra elencati, ai quali la Corte territoriale ha aggiunto la deposizione di due testi resa in sede di sommarie informazioni innanzi alla polizia giudiziaria, in merito all’avvenuto prelievo in contanti nella misura indicata nel capitolato di prova (v. sentenza, pp. 5 e 6).
1.4. Orbene: la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ. , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice del merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, non anche quando -come nel caso che ci occupa: v. ricorso pp. 5-9 – la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01; Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021, Rv. 661649 – 01; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020, Rv. 657016 – 01; Sez. L, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018, Rv. 651727 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017, Rv. 645496 – 03).
1.5. Il motivo presenta, altresì, aspetti di inammissibilità, in quanto non sono rinvenibili, nell’argomentazione della Corte territoriale, per le ragioni sopra esplicitate (punto 1.3.1.), «erronei principi giuridici, ovvero incongruenze di ordine logico» (così in ricorso, p. 10 righi 1112): pertanto, l a doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito.
E’ utile ribadire che i n tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la
possibilità di ricorrere al notorio): Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023.
Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. in ordine alla prova della pretesa restituzione delle somme corrisposte. Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che la violazione di norme di legge da parte del giudice di seconde cure configuri un errore di fatto, censurabile attraverso il paradigma normativo del difetto di motivazione nei limiti del novellato n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto si è in presenza di una «doppia conforme» (prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. vigente ratione temporis , applicabile ai sensi dell’art. 54, comma 2, del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e quindi applicabile anche al giudizio in esame, posto che la citazione in appello è avvenuta con notificazione del 28.06.2016).
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso (p. 4, ultimo capoverso), la diversa valutazione della restituzione della somma quale circostanza contestata dall’opponente -ritenuta, invece, non contestata dal giudice di primo grado -non rappresenta un iter motivazionale diverso, tale da escludere appunto la ricorrenza della «doppia conforme», bensì una diversa valutazione delle risultanze probatorie. Per cui, una volta esclusa la non contestazione, la Corte d’Appello ha motivato il suo convincimento in merito all’effettiva esistenza dell’accordo in frode alla legge penale e delle retrocession i dei pagamenti a dimostrazione della sua esistenza.
2.2. In ogni caso, quanto al fatto storico decisivo, questa Corte ha chiarito come l’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (per tutte: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 2019 – Rv. 655658 -01). Nel caso che ci occupa la Corte d’appello ha, invece, esaminato accuratamente il fatto storico dedotto come decisivo dal ricorrente (ossia l’avvenuta restituzione della somma pagata fittiziamente dal committente): sì che nella fattispecie concreta il ricorrente non rivolge alla sentenza d’appello rilievi riconducibili al para digma legale di cui al novellato n. 5) dell’art. 360, poiché non denuncia l’omesso esame di un fatto storico decisivo, ma si duole, piuttosto, di un asserito errore di valutazione, commesso dal giudice di merito, circa la rilevanza probatoria dei fatti noti a sostegno della presunzione semplice di cui la Corte territoriale si è avvalsa. Doglianza che, per le ragioni sopra ricordate (punto 1.3.1.) è inammissibile in sede di legittimità.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione delle norme in tema di nullità e di indebito oggettivo, ex artt. 1422 e 2033 cod. civ., nonché artt. 112 e 113 cod. proc. civ. e, comunque, difetto di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. in ordine alla conseguenza della nullità della clausola restitutoria. Poichè l’appaltatore ha sempre chiesto la condanna del committente al pagamento delle somme esclusivamente a titolo di asserito corrispettivo dei lavori di edilizia effettuati sull’immobile di proprietà
dello COGNOME, la decisione della Corte d’Appello di rigettare l’impugnativa avverso la condanna al pagamento delle somme dovute per i lavori eseguiti costituisce una causa petendi ben diversa dal pagamento per la restituzione dell’indebito oggettivo, mai richiesto a tale titolo dall’appaltatore. Inoltre, atteso che l’indebito oggettivo era sorto già antecedentemente al 15.10.2008, la Corte territoriale non si è pronunciata sull’assorbente e tempestiva eccezione di prescrizione sollevata dal committente, atte sa l’assoluta mancanza di una azione interruttiva, giuridicamente valida, da parte dell’appaltatore.
3.1. Il motivo è infondato.
In disparte il profilo di inammissibilità della censura sollevata con il n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. per le ragioni esposte supra , punto 2.1., non è prospettabile alcuna violazione di legge per le ragioni di séguito esposte.
La nullità di un accordo negoziale per contrarietà a norme imperative rappresenta questione giuridica rilevabile d’ufficio ; come questa corte ha avuto occasione di precisare: «Il giudice d’appello ha il potere-dovere di rilevare, in via ufficiosa, la nullità del contratto, anche in difetto di un’espressa deduzione di parte o per vizi di nullità diversi da quelli denunciati nella domanda introduttiva del giudizio, sempre che detti vizi siano desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34590 del 11/12/2023, Rv. 669534 – 01).
Il che vale ad escludere qualsivoglia vizio di ultrapetizione a carico del giudice del merito.
3.2. Ad ogni modo, nel caso che ci occupa i rilievi derivanti dalla dimostrata restituzione di €. 108.500,00 al committente sono serviti al giudice di seconde cure, da un lato, a ridurre la pretesa creditoria dell’impresa appaltatrice alla base del procedimento in oggetto;
dall’altro, ad escludere qualsiasi contro -credito del committente azionato in via riconvenzionale in sede di opposizione al decreto ingiuntivo: così dando motivata risposta ad entrambe le domande dedotte in giudizio dalle parti in causa.
3.3. Quanto, infine, all’eccezione di prescrizione, essa è inammissibile in questa sede per difetto di specificità, ex art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.: non avendo il giudice di seconde cure affrontato tale questione nella pronuncia impugnata, spettava al ricorrente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede riprodurre nel ricorso gli atti in cui detta eccezione era stata sollevata ovvero, fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, con precisazione (anche ) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche ) in sede di giudizio di legittimità non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (per tutte: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30723 del 2019, Rv. 656224 -02).
Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. in ordine alla domanda riconvenzionale di restituzione avanzata dal committente, non dovendosi affatto computare il disconosciuto importo di € 108.500,00 .
4.1. Il quarto motivo è inammissibile sotto due diversi profili.
Innanzitutto, ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», come già rilevato supra (punto 2.1.).
Inoltre, la censura presenta anche aspetti di novità, atteso che il ricorrente chiede di non computare gli importi versati per IVA, né le
imposte versate all’erario (v. ricorso p. 23, righi 9-14): somme in relazione alle quali non risulta alcuna statuizione nella sentenza impugnata. La questione posta col motivo qui in esame, costituisce allo stato degli atti – questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione. Il motivo è, pertanto, del tutto inammissibile. Infatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio; né l’istante chiarisce come e dove abbia fatto valere detta questione nella precorsa fase di merito (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13403 del 17/05/2019, Rv. 654166 – 01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975 – 01).
5. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Liquida le spese secondo soccombenza, come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il primo e il terzo motivo del ricorso;
dichiara inammissibili il secondo e il quarto;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 7.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda