Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8917 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11315/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende, unitamente agli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4160/2016 depositata il 9/11/2016;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/3/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 8999/2011, rigettava la domanda con cui il fallimento di RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la revoca
ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. di pagamenti per € 809.652 avvenuti con mezzi non normali da parte di RAGIONE_SOCIALE, compagine controllante di RAGIONE_SOCIALE, in favore di RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento nonché la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 44 l. fall., di pagamenti per € 507.513,50 successivi alla dichiarazione di fallimento (risalente al 27 ottobre 2008) effettuati sempre da RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE.
2. La Corte distrettuale di Milano, a seguito dell’appello presentato dalla procedura fallimentare, evidenziava che RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito di un rapporto di factoring , aveva ceduto il proprio credito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, che aveva poi stipulato un accordo transattivo con la debitrice con cui quest’ultima si era impegnata a far fronte alla propria esposizione (pari a complessivi € 1.896.636,72) in ventuno rate mensili decorrenti dal luglio 2017.
Osservava che le rate scadute da novembre 2007 a marzo 2008 erano state corrisposte non da RAGIONE_SOCIALE, ma dalla sua controllante RAGIONE_SOCIALE prima della stipula, in data 11 marzo 2008, di un contratto di cessione di ramo d’azienda da parte di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, all’interno del quale il prezzo di cessione (di € 1.800.000) veniva regolato tenendo conto del debito (di € 1.027.851,50) ancora da saldare in favore di RAGIONE_SOCIALE, del T.F.R. maturato (per € 151.601), delle somme (pari a € 371.105) già corrisposte a seguito del pagamento dei ratei da novembre 2007 a marzo 2008 e della caparra confirmatoria (di € 250.000).
Ciò posto, riteneva che i pagamenti eseguiti da RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE dal 10 novembre 2007 al 27 ottobre 2008, data del fallimento, pur se effettuati da un terzo e non dalla fallita, fossero revocabili ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., perché riferibili al patrimonio di RAGIONE_SOCIALE, in quanto costituivano somme imputate al corrispettivo per la cessione del ramo d’azienda.
Reputava che non fosse confacente al caso di specie il richiamo all’art. 2560 cod. civ., poiché nell’ambito dell’atto di cessione erano state prese in considerazione, e detratte dal prezzo di cessione, non tutte le passività risultanti dai libri contabili, ma solamente quelle espressamente individuate.
Rilevava peraltro, quale elemento di maggior rilievo al fine di escludere che i pagamenti fossero stati effetto della cessione, che gli stessi erano stati eseguiti con mesi di anticipo rispetto alla stipula del contratto di cessione, che veniva così a configurare uno strumento volto a formalizzare cartolarmente l’estinzione di un debito sorto in precedenza.
Sosteneva che al caso di specie non potesse trovare applicazione l’art. 6 l. 52/1991, perché il debito del cui pagamento era stata domandata la revoca trovava fondamento non nel contratto di cessione di credito fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma nella transazione di carattere novativo intervenuta fra la cessionaria e la società poi fallita.
Giudicava, infine, che l’appello fosse fondato anche in ordine alla declaratoria di inefficacia ex art. 44 l. fall. dei pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE (per € 507.513,50) successivamente alla dichiarazione di fallimento, poiché anche questi ultimi risultavano riferibili alla fallita mediante il medesimo meccanismo di provvista indiretta e mediata sul patrimonio di RAGIONE_SOCIALE.
Sulla base di queste ragioni e in riforma della decisione appellata revocava, ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, l. fall. , i pagamenti per complessivi € 890.652 effettuati da RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE e dichiarava inefficaci, a mente dell’art. 44 l. fall., i pagamenti per € 507.513,50 compiuti sempre da parte di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE, condannando l ‘appellata a pagare alla procedura le relative somme.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 9 novembre 2016, prospettando sette motivi di
doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2560 cod. civ. e 67 l. fall. con riferimento ai pagamenti di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE successivi alla cessione del ramo aziendale di RAGIONE_SOCIALE: l’art. 2560 cod. civ. -sostiene la ricorrente – è un automatismo giuridico, posto a tutela dei terzi e non derogabile, che la Corte di merito non poteva disapplicare, operando de plano ; la disapplicazione della norma ha comportato la violazio ne dell’art. 67 l. fall., non potendosi ritenere come eseguiti dal fallito quei pagamenti effettuati da un cessionario di ramo d’azienda che abbia ereditato le passività riferibili al cespite di cui si era reso acquirente.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la manifesta e irriducibile contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata, in quanto l’asserita finalizzazione dell’operazione di cessione all ‘estinzione del debito verso RAGIONE_SOCIALE costituirebbe un’affermazione insanabilmente e manifestamente in contrasto con la contestuale constatazione dell’assunzione del debito per il T.F.R. dei dipendenti. art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione, sotto il profilo dell’asserito computo di pagamenti successivi alla cessione a deconto di un prezzo inferiore e già
4.3 Il terzo motivo di ricorso assume, ex integralmente corrisposto in epoca antecedente.
4.4 Il quarto motivo prospetta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in quanto la Corte distrettuale avrebbe ravvisato una non contestazione del computo dei pagamenti successivi alla cessione a deconto del prezzo quando invece la convenuta aveva inteso
sostenere che il debito di EIS verso RAGIONE_SOCIALE era stato conteggiato a diminuzione del valore degli assets, come era stato precisato nella memoria del 14 marzo 2011.
4.5 Il quinto motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e sempre in relazione ai pagamenti eseguiti da COGNOME successivamente alla cessione di ramo d’azienda, della violazione degli artt. 67 e 44 l. fall., che non sono applicabili ai pagamenti del terzo senza rivalsa, dato che non hanno alcun impatto sul patrimonio del debitore e non danneggiano la par condicio creditorum .
I motivi, da esaminarsi congiuntamente perché riguardano i pagamenti successivi alla cessione del ramo d’azienda della fallita, risultano tutti inammissibili.
5.1 La Corte di merito ha ribadito a più riprese che i pagamenti di cui è stata disposta la revoca o dichiarata l’inefficacia erano riferibili alla società fallita, perché le somme erano state ‘ imputate al corrispettivo per la cessione del ramo d’azienda ‘ (pag. 5), il cui perfezionamento aveva costituito lo strumento ‘ volto a formalizzare cartolarmente l’estinzione di un debito sorto precedentemente all’atto di cessione stesso ‘ (pagg. 5 e 6).
In questo modo la Corte di merito ha constatato che la cedente aveva espressamente individuato il debito verso RAGIONE_SOCIALE tra le passività cedute a carico della cessionaria, a differenza di tutte le altre passività non esplicitate ( sulla base dell’implicito presupposto che la previsione, di cui all’art. 2560, comma 2, cod. civ., della solidarietà dell’acquirente dell’azienda nell’obbligazione relativa al pagamento dei debiti dell’azienda ceduta è posta a tutela dei creditori di questa, e non dell’alienante, sicché essa non determina alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale, nel senso che il debitore effettivo rimane pur sempre colui cui è imputabile il fatto costitutivo del debito, e cioè il cedente, nei cui confronti può rivalersi in via di regresso l’acquirente che abbia pagato, quale coobbligato in solido,
un debito pregresso dell’azienda, mentre il cedente che abbia pagato il debito non può rivalersi nei confronti dell’eventuale coobbligato in solido; Cass. 20153/2011, Cass. 23780/2004), che rimanevano in capo alla cedente, cosicché i pagamenti in favore de ll’odierna ricorrente erano ‘ riferibili alla società fallita mediante il meccanismo di provvista indiretta e mediata sul patrimonio di RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 8).
A fronte di questi accertamenti in fatto, il primo e il quinto mezzo non evidenziano alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, deducendo un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, ma allegano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 24155/2017, Cass. 22707/2017, Cass. 195/2016).
5.2 Non è poi possibile ravvisare alcun vizio di motivazione, per la presenza di affermazioni inconciliabili fra loro, nei termini dedotti con il secondo e il terzo motivo.
Infatti, l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” ricorre nell’ipotesi in cui la motivazione non renda percepibile l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. 12096/2018).
Il che non è nel caso di specie, vuoi perché la considerazione del T.F.R. nell’importo del prezzo di cessione non esclude affatto che una diversa parte del corrispettivo dovuto potesse essere imputata al prezzo di cessione del ramo d’azienda, vuoi perché la Corte territoriale ha chiaramente spiegato come questa imputazione fosse
avvenuta per fornire alla cessionaria una provvista sul patrimonio della fallita da utilizzare per il pagamento dei suoi debiti.
5.3 La Corte distrettuale ha ritenuto che i pagamenti fossero riferibili al patrimonio di NOME sulla base del tenore del contratto di cessione e della corrispondenza intercorsa fra COGNOME e NOME, ‘ oltre che per esplicita ammissione di parte convenuta ‘ in comparsa di risposta (pag. 5).
Si tratta, all’evidenza, di un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , non costituente una ratio decidendi della medesima, la cui censura, tramite il quarto mezzo, è inammissibile.
Infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8755/2018).
6. Il sesto motivo di ricorso, lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e rispetto ai pagamenti eseguiti da RAGIONE_SOCIALE prima della cessione di ramo d’azienda, che la Corte distrettuale abbia ritenuto revocabili ai sensi dell’art . 67, comma 1, lett. b), l. fall. pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati dal terzo con successiva rivalsa ma con mezzi normali, che al più potevano essere revocati a mente del secondo comma della norma. Se è vero, infatti, che i pagamenti erano stati effettuati da RAGIONE_SOCIALE quando ancora non era debitrice della società poi fallita, allora non era possibile sostenere -in tesi di parte ricorrente che l’atto estintivo del debito fosse avvenuto in forza di una delegazione di pagamento revocabile quale pagamento anomalo, dato che quest’ultima presuppone che il delegato solvens sia al contempo debitore del fallito quando esegue il pagamento.
7. Il motivo non è fondato.
La Corte d’appello ha correttamente ricordato, facendo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, che l’esecuzione del pagamento
tramite mezzi anormali è ravvisabile all’esito di una valutazione del complessivo meccanismo posto in essere dalle parti per determinare l’effetto estintivo dell’obbligazione pecuniaria, allorquando il danaro non è strumento di immediata e diretta soluzione, ma solo un mezzo indiretto di adempimento in quanto effetto terminale di altri negozi, secondo un processo satisfattorio non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali (cfr. Cass. 10347/1996, Cass. 2706/1995).
In applicazione di questo principio, perciò, si deve escludere che la connotazione di anormalità possa essere attribuita soltanto a un processo satisfattorio che abbia fatto ricorso a una delegazione di pagamento, come sostiene il mezzo in esame, ben potendo la stessa essere ricollegata al compimento di un diverso meccanismo che il giudice di merito c omunque ritenga, all’esito di una valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, non usuale alla stregua delle ordinarie transazioni commerciali (come è avvenuto nel caso di specie, dove la Corte di merito ha ritenuto che i pagamenti antecedenti alla cessione del ramo d’azienda fossero avvenuti secondo un procedimento con simili caratteristiche, dato che ‘ erano stati effettuati per conto della EIS e a saldo del prezzo di acquisto del ramo d’azienda in oggetto ‘ prima del perfezionamento del contratto).
8. Il settimo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. ed in relazione alla ritenuta inapplicabilità dell’esenzione da revocatoria ex art. 6 l. 52/1991, la violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in quanto la Corte distrettuale, malgrado la difesa dell’appellata avesse dimostrato che il contenuto sostanziale della scrittura transattiva non lasciava dubbi circa il suo contenuto non novativo, ha pretermesso ogni valutazione della comune intenzione delle parti quale risultante dal complesso delle clausole contrattuali, ritenendo decisiva la formale dichiarazione di novatività.
9. Il motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che le disposizioni degli artt. 1362, commi 1 e 2, e 1363 cod. civ. siano fondate su una logica coincidente che esprime l’intrinseca insufficienza della singola parola e prescrive la più ampia dilatazione degli elementi di interpretazione (Cass. 34687/2023).
La censura in esame lamenta, tuttavia, la mancata considerazione dei rilievi illustrati nella memoria ex art. 190 cod. proc. civ. in appello, laddove l’appellata aveva sostenuto che occorreva attribuire rilievo non solo al nomen iuris utilizzato tra le parti, ma anche alla sostanza dell’accordo (e, segnatamente, alla clausola che prevedeva che le ‘ parti, una volta effettuati i pagamenti previsti dall’art. 3, considereranno definito ogni loro rapporto ‘ e alla previsione secondo cui, in caso di inadempimento, RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto il diritto di ‘ riavviare le azioni esecutive in favore di RAGIONE_SOCIALE in forza del decreto ingiuntivo già ottenuto ‘).
A fronte di queste deduzioni difensive, l’interpretazione offerta all’interno della decisione impugnata esprime tanto una chiara valutazione in ordine al fatto che l” esplicita previsione delle parti ‘ della natura novativa della transazione aveva carattere determinante e insuperabile, quanto un implicito apprezzamento di irrilevanza delle clausole addotte dall’appellato a condurre a un diverso risultato.
Il mezzo in esame risulta così inammissibile, essendo volto, nella sostanza, a superare l’accertamento compiuto dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei fatti di causa.
10. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 25.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 13 marzo 2024.