Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11603 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11603 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15529-2022 r.g. proposto da:
FALLIMENTO L’RAGIONE_SOCIALE, C.F.: P_IVA, in persona del curatore Dott. COGNOME, rappresentato e difeso, per mandato in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, con sede in Castignano (AP), INDIRIZZO (C.F. e P.IVA: P_IVA.
-intimata – avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona n. 83/2022, pubblicata il 24/1/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 1047/2017, pubblicata il 20.11.2017 e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da BANCA DEL PICENO RAGIONE_SOCIALE ha riformato parzialmente la sentenza impugnata in relazione alle spese del giudizio di primo grado, poste a carico del Fallimento dal Tribunale di Ascoli Piceno; ha confermato nel resto l ‘ impugnata sentenza.
Con la sentenza n. 1047/2017 il Tribunale aveva infatti respinto le domande proposte dal Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, nei confronti della Banca di Credito Cooperativo Picena Soc. Coop., ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod. civ. (in via principale) e 65 l. fall. (in via subordinata) e aveva condannato parte attrice ‘alla refusione delle spese di lite, nell’entità da determinarsi dal Giudice Delegato’. Più in particolare il primo giudice, richiamata la giurisprudenza di legittimità in materia di revocatoria delle rimesse effettuate da un terzo sul conto corrente dell’imprenditore poi fallito, aveva rigettato ‘la domanda di azione revocatoria fallimentare’ e aveva respinto l ‘azione pauliana anche ‘per il mancato adempimento dell’onere probatorio che vincolava parte attrice, non avendo la stessa adempiuto all’onere probatorio in merito alla sussistenza della scientia fraudis o del consilium fraudis, di cui all’art. 2901 c.c.’
Proponeva pertanto appello avverso la citata sentenza il fallimento, lamentandone l ‘ ingiustizia per i seguenti motivi: (a) il giudice di primo grado aveva richiamato alcune decisioni della Suprema Corte che non erano pertinenti, perché relative all’azione revocatoria fallimentare ex art. 67 l. fall. che, nella fattispecie, non era stata mai proposta; (b) il fallimento, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, aveva dimostrato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della azione revocatoria ordinaria, invece proposta ex art. 66 l. fall.; (c) omessa statuizione in ordine alla domanda articolata in via subordinata ex art. 65 l. fall.; (d) omessa statuizione in ordine
alla richiesta avanzata ex art. 2043 cod. civ. Si costituiva la Banca Del Piceno Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALESocietà risultante dalla fusione per incorporazione della Banca di Credito Cooperativo Picena S.C. nella Banca Picena Truentina Credito RAGIONE_SOCIALE con variazione della denominazione in Banca del Piceno Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE) e chiedeva la reiezione della impugnazione, articolando inoltre appello incidentale, limitatamente al capo concernente la mancata liquidazione delle spese di lite e lamentando, sul punto, l ‘ erroneità della decisione di rimettere la quantificazione al giudice delegato, perché in contrasto con la disposizione di cui all’art. 91 c od. proc. civ.
4. La Corte territoriale ha osservato, per quanto qui ancora di interesse, che: (i) l’azione proposta dalla curatela fallimentare era basata su due accrediti, annotati sul conto corrente della fallita in data 28.2.2011, conseguenti a distinti bonifici, l’uno, di €. 214.290,41, e, l’altro, di €. 55.687,67 (per complessivi €. 269.978,08) con la causale ‘bonifico ordine conto NOME pe, prestito amministratore infruttifero’; (ii) il Fallimento aveva precisato che sul predetto conto erano state addebitate, sempre in data 28.2.2011, tutte le rate insolute di un finanziamento concesso dalla Banca, per un totale di €. 116.701,15 ed era stato addebitato un ulteriore importo di complessivi €. 153.276,93 per il pagamento di debiti non scaduti (rate del mutuo aventi scadenza in data 6.3.2011 e 6.9.2011, e saldo passivo del conto); (iii) nel caso di specie non era tuttavia configurabile un atto dispositivo del debitore compiuto in pregiudizio dei creditori, così come richiesto dall’art. 66 l. fall., in considerazione del fatto che i pagamenti impugnati risultavano effettuati con denaro di un terzo, COGNOME NOME, e non della società RAGIONE_SOCIALE; (iv) tale circostanza, desumibile dai documenti prodotti dalla Banca, era stata peraltro confermata dallo stesso COGNOME, all’epoca dei fatti socio unico ed amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, sentito quale testimone anche in ordine a tale aspetto, e non aveva costituito, inoltre, oggetto di contestazione da parte della stessa curatela appellante la quale, tuttavia, aveva sostenuto l ‘ irrilevanza di tale circostanza in considerazione del fatto che, nella specie, la somma sarebbe comunque entrata nella disponibilità della società, titolare del conto corrente,
che non aveva autorizzato i pagamenti in questione; (v) tale ultimo assunto non aveva trovato, peraltro, conferma nelle risultanze istruttorie, risultando diversamente dalla documentazione prodotta che il COGNOME, legale rappresentante della società, costituitosi garante della società RAGIONE_SOCIALE in forza di cofideiussione del 6.12.2007, aveva sottoscritto una missiva datata 28.2.2011, con la quale aveva chiesto alla banca di accreditare l’importo di complessivi €. 269.978,08 ‘ sul c/c della società RAGIONE_SOCIALE n. 04/01/89201 ed utilizzarla nel modo seguente: quanto ad € 16.900,00 per abbattere parzialmente il saldo debitore del c/c n. 04/01/89201 intestato alla RAGIONE_SOCIALE e la restante parte, ovvero € 253.078,08 per il pagamento delle rate scadute e non pagate ed abbattere il debito residuo del mutuo fondiario n. 04/20/89510 ‘; (vi) dal contenuto di tale missiva era emerso altresì che l’importo complessivo sopra indi cato era quello liquidato al COGNOME (a titolo di risarcimento danni dal medesimo subiti in seguito ad un sinistro, come spiegato in sede di prova testimoniale) dalla Compagnia di Assicurazione che aveva provveduto a versare direttamente alla Banca gli importi di €. 214.290,41 e di 55.687,67 ( proprio oggetto dei pagamenti oggetto di impugnazione per revocatoria), a fronte di una cessione di credito stipulata dal Rainone in data 31.5.2005, a garanzia dell’operazione di mutuo fondiario e di ogni altra esposizione debitoria della società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Banca; (vii) nel corso del giudizio di primo grado era inoltre emerso che il COGNOME, sia prima che dopo la dichiarazione di fallimento, non aveva esercitato azione di rivalsa verso la fallita, né da essa aveva recuperato la somma di €. 269.978,08, avendo anzi rinunciato al credito mediante formale atto del 24.5.2012; (viii) in conclusione risultava dunque accertato che COGNOME NOME, utilizzando denaro proprio e non rivalendosi nei confronti della fallita, aveva adempiuto, in qualità di terzo, ad una obbligazione della società, realizzando una operazione che aveva ridotto l’ingente debito nei confronti della Banca , senza comportare il depauperamento del patrimonio della fallita, in tale contesto non essendo pertanto ravvisabile un atto dispositivo compiuto dal debitore; (ix) in ogni caso, non era comunque configurabile l’ eventus damni poiché i pagamenti eseguiti dal COGNOME, con denaro proprio, non avevano recato pregiudizio,
neppure potenziale, ai creditori della società RAGIONE_SOCIALE , avendo ridotto il passivo, senza depauperare il patrimonio sociale e preservando la generica funzione di garanzia del patrimonio stesso; (x) sotto diverso profilo non era neanche fondata l’obiezione volta a far dichiarato privo di effetto, ai sensi dell’art. 65 l. fall. , il pagamento quanto meno della somma di € 63.738,11, relativo ad un debito che sarebbe scaduto successivamente alla data del fallimento; (xi) non ricorrevano tuttavia neanche i presupposti previsti dall’art. 65 l. fall., poiché: – il pagamento non era stato eseguito dalla società, ma da un terzo; – il pagamento era stato, pacificamente, eseguito il 28.2.2011 e dunque oltre il termine di due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, previsto dall’art. 65 l. fall.; (xviii) le argomentazioni predette evidenziavano, inoltre, che nel caso di specie non erano ravvisabili gli elementi costitutivi della responsabilità dedotta ai sensi dell’art. 2043 c.c ..
La sentenza, pubblicata il 24/1/2022, è stata impugnata dal RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
La BANCA DEL PICENO RAGIONE_SOCIALEgià BCC Picena RAGIONE_SOCIALE intimata, non ha svolto difese.
FALLIMENTO SOCIETA’ COOPERATIVA,
Il Fallimento ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il Fallimento ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. e 2901 c.c., art. 66 l. fall.
1.1 Sostiene il ricorrente che la Corte di Appello avrebbe errato allorquando non ha considerato che la missiva del 28/2/2013, essendo stata sottoscritta e, dunque, rilasciata in proprio dal COGNOME, poteva essere, al più, idonea a individuare la volontà della ‘persona fisica’ COGNOME NOME, ma non impegnare la società, non avendo questi agito nella qualifica di amministratore, per cui non avrebbe potuto costituire autorizzazione valida al prelievo dal conto corrente della società medesima. Con la conseguenza che i pagamenti effettuati mediante l’addebito su detto conto in data 28/2/2013 erano stati posti in essere dalla Banca, senza neppure la specifica autorizzazione della società RAGIONE_SOCIALE titolare del conto, e allorquando, peraltro, detta società non aveva ancora richiesto l’estinzione
anticipata di parte del residuo mutuo. Aggiunge che, in ogni caso, essendo stata la somma in questione accreditata sul conto della società con la causale ‘bonifico ordine conto NOME NOME prestito amministratore infruttifero’, i successivi pagamenti effettuati con addebito sul medesimo conto non avrebbero potuto essere considerati come ‘pagamenti di un terzo’, come erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello di Ancona, ma atti dispositivi del debitore poi fallito.
1.2 Si evidenzia inoltre che sul presupposto, peraltro errato, che il pagamento fosse stato effettuato da un terzo e, dunque, in assenza di un atto dispositivo del debitore, la Corte di Appello aveva ritenuto che non vi era stato depauperamento del patrimonio della fallita, in quanto, il terzo aveva poi rinunciato a richiedere la restituzione del prestito, non presentando neppure l’istanza per l’ammissione al passivo del fallimento. Secondo il Fallimento, l’assunto sarebbe errato sia perché si basava su una circostanza (pagamento di un terzo) che non rispondeva alla realtà dei fatti, sia perché era evidente che vi era stato un ‘mutamento’ quanto meno ‘qualitativo’ del patrimonio del debitore per effetto di tale atto.
1.3 Il motivo è inammissibile.
Pretende infatti un nuovo apprezzamento di merito dei fatti di causa, tramite la rilettura degli atti istruttori di matrice documentale, così richiedendo uno scrutinio dei fatti inammissibile in sede di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019). E ciò a fronte di una motivazione adeguata la quale ha spiegato che l’atto impugnato si era in realtà concretizzato in un pagamento di un terzo (socio amministratore), senza depauperamento del patrimonio della società fallita ratio decidendi quest’ultima che neanche in astratto può dirsi adeguatamente censurata, perché la circostanza che le somme fossero momentaneamente transitate sul conto corrente della società poi fallita non ne facevano somme di proprietà di quest’ultima perché le stesse era state fatte oggetto in precedenza di cessione del credito da parte del COGNOME (il socio amministratore) alla banca (trattandosi di un credito risarcitorio di natura assicurativa) e di espressa autorizzazione al suo utilizzo da parte della
Banca cessionaria del credito per ‘ estinzione di precedenti posizioni debitorie della società poi dichiarata fallita.
Sul punto giova anche ricordare che, in tema di azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore di una società di capitali fallita, l’atto dispositivo con cui l’amministratore societario ha disposto di un proprio bene per il pagamento di un debito sociale non pregiudica la garanzia patrimoniale generica della società, in quanto l’adempimento del terzo, comunque eseguito col patrimonio personale, non depaupera il patrimonio sociale (così, Cass. Sez. 6, 26/05/2021, n. 14478).
La declaratoria di inammissibilità del primo motivo, per le ragioni ora ricordate, rende privo di interesse il ricorrente a perorare i restanti motivi. 2. Con il secondo mezzo si deduce, infatti, la ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e art. 65 L.F. (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.) ‘. 2.1 Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe altresì errato nel rigettare la domanda subordinata della restituzione quanto meno della somma di € 63.781,11, formulata ai sensi dell’art. 65 l. fall., sul presupposto che trattavasi di pagamento di un terzo, tra l’altro, effettuato in data 28/2/2011, avvenuto, dunque, oltre il termine di due anni anteriori alla dichiarazione del fallimento avvenuta in data 5/3/2013. Si ribadisce da parte del Fallimento ricorrente che non si poteva tuttavia ritenere che il pagamento in questione fosse stato effettuato da un terzo.
Con il terzo motivo si censura, inoltre, il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. e art. 2043 c.c. Secondo il Fallimento ricorrente, la Corte di merito avrebbe pure errato nel rigettare la domanda ex art. 2043 c.c., in quanto non avrebbero potuto ‘ sussistere dubbi sulla illiceità del comportamento della Banca, che, come più volte precisato ‘ aveva ‘ prelevato somme sul c/c della società, senza avere una valida autorizzazione ‘ .
Il quarto mezzo deduce, inoltre, ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c. e art. 1282 c.c. e artt. 1, 2 e 5 DLS 231/02 (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.) ‘.
5. Si propone infine un quinto motivo, col quale si denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 91 e 92 c.p.c. e art. 13 DPR n. 115/2002 (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.) ‘. Sostiene il ricorrente che, conseguentemente all’accoglimento del ricorso, andrebbe revocata anche la condanna al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, a norma dell’art. 13, comma 1 bis del d.P.R. n. 115/2002.
L’esposizione delle sopra riferire ragioni di doglianza conferma la carenza di interesse della parte ricorrente a predicare la fondatezza dei citati restanti motivi di ricorso, posto che la mancata censura, in modo adeguato, della ratio decidendi relativa all’accertato pagamento delle rimesse solutorie da parte del terzo rende superfluo ed irrilevante ogni ulteriore postulazione difensiva nel senso sopra ricordato.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa della società intimata.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26.3.2025