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Pagamento debito sociale: quando è irrevocabile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una curatela fallimentare che chiedeva la revoca di un pagamento di un debito sociale effettuato a favore di una banca. La Corte ha stabilito che, se il pagamento viene eseguito da un terzo (in questo caso, l’amministratore) con fondi propri, non si verifica un depauperamento del patrimonio della società fallita. Di conseguenza, manca il presupposto fondamentale per l’azione revocatoria, rendendo il pagamento del debito sociale legittimo e non attaccabile dai creditori.

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Pagamento Debito Sociale da Terzi: La Cassazione Conferma la Sua Irrevocabilità

Il pagamento di un debito sociale da parte di un terzo, come un socio o un amministratore, con fondi propri è una questione complessa che interseca diritto societario e fallimentare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: se tale pagamento non intacca il patrimonio della società, non può essere oggetto di azione revocatoria da parte della curatela fallimentare. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dall’azione intentata dalla curatela fallimentare di una S.r.l. contro un istituto di credito. La curatela chiedeva la revoca di alcuni pagamenti effettuati per estinguere debiti della società verso la banca, sostenendo che tali atti avessero leso i diritti della massa dei creditori.

Nello specifico, l’amministratore e socio unico della società aveva utilizzato una somma ingente, derivante da un risarcimento assicurativo personale, per saldare le passività della società. Questi fondi, prima di essere utilizzati per i pagamenti, erano transitati brevemente sul conto corrente societario. La curatela sosteneva che, una volta accreditate sul conto, le somme fossero diventate di proprietà della società e che il successivo pagamento alla banca costituisse un atto dispositivo del debitore, revocabile ai sensi della legge fallimentare.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato le domande della curatela, ritenendo che il pagamento fosse stato eseguito con denaro di un terzo e non avesse, quindi, causato un depauperamento del patrimonio sociale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso della curatela inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito un principio cruciale: per poter esperire con successo un’azione revocatoria, è indispensabile dimostrare l’eventus damni, ovvero un effettivo pregiudizio per i creditori causato da una diminuzione del patrimonio del debitore.

Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che il pagamento non era stato eseguito dalla società, ma da un terzo (l’amministratore) con fondi personali. Il semplice transito delle somme sul conto corrente societario non era sufficiente a modificarne la titolarità, soprattutto perché tali fondi erano stati oggetto di una precedente cessione di credito a garanzia proprio in favore della banca.

Le motivazioni: perché il pagamento del debito sociale da parte del terzo è legittimo?

La ratio decidendi della Suprema Corte si fonda su una logica ineccepibile. L’azione revocatoria mira a proteggere la garanzia patrimoniale generica dei creditori, rappresentata dai beni della società debitrice. Quando un terzo interviene per pagare un debito sociale usando il proprio patrimonio personale, non solo non diminuisce i beni della società, ma, al contrario, ne riduce il passivo, migliorandone la situazione patrimoniale.

La Corte ha specificato che l’operazione realizzata dall’amministratore ha ridotto l’ingente debito verso la banca senza comportare alcun depauperamento del patrimonio della società. Di conseguenza, non si è verificato alcun danno, né attuale né potenziale, per gli altri creditori. L’assenza di questo presupposto fondamentale rende l’azione revocatoria improponibile.

Inoltre, il fatto che l’amministratore avesse successivamente rinunciato al proprio diritto di rivalsa nei confronti della società ha ulteriormente rafforzato la tesi che l’operazione non avesse leso la massa creditoria, ma l’avesse, di fatto, beneficiata.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica per amministratori, soci e istituti di credito. Le implicazioni sono chiare:

1. Sicurezza per i terzi adempienti: Amministratori e soci che intervengono con fondi propri per sanare debiti della società possono farlo con maggiore serenità, sapendo che tali operazioni, se correttamente strutturate, non saranno facilmente attaccabili in un eventuale futuro fallimento.
2. Focus sul depauperamento: La decisione ribadisce che il cuore dell’azione revocatoria è il danno concreto al patrimonio del debitore. Le curatele devono concentrarsi sulla prova di un’effettiva diminuzione dell’attivo sociale, piuttosto che su formalismi come il transito di fondi su un conto.
3. Tutela del creditore beneficiario: La banca che riceve un pagamento da un terzo per un debito sociale è tutelata, a condizione che l’origine dei fondi sia chiaramente esterna al patrimonio del debitore fallito.

Un pagamento di un debito sociale effettuato dall’amministratore con fondi propri è revocabile in caso di fallimento?
No, secondo la Corte di Cassazione, tale pagamento non è revocabile. L’azione revocatoria fallimentare richiede un depauperamento del patrimonio della società, ma quando un terzo paga con denaro proprio, il patrimonio sociale non viene diminuito, anzi, il passivo si riduce. Manca quindi il presupposto essenziale del danno ai creditori (eventus damni).

Il transito di fondi personali dell’amministratore sul conto della società li rende automaticamente di proprietà della società stessa?
No. La Corte ha chiarito che il momentaneo transito sul conto corrente non è sufficiente a trasferire la proprietà delle somme, specialmente se, come nel caso di specie, tali somme erano state precedentemente cedute a garanzia a un creditore e vi era un’espressa autorizzazione al loro utilizzo per estinguere debiti specifici. La sostanza dell’operazione prevale sulla forma.

Qual è il requisito fondamentale per poter avviare con successo un’azione revocatoria fallimentare?
Il requisito fondamentale e imprescindibile è la prova dell’esistenza di un pregiudizio effettivo per la massa dei creditori, noto come eventus damni. Questo pregiudizio si concretizza in un atto dispositivo del debitore che ha diminuito il suo patrimonio, riducendo così la garanzia generica su cui i creditori possono rivalersi. Se non c’è depauperamento, l’azione non può essere accolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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