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Pagamento debito altrui: gratuito o oneroso?

La Corte di Cassazione chiarisce la natura del pagamento di un debito altrui da parte di una società poi fallita. Se la società ha precedentemente assunto formalmente il debito tramite espromissione, il successivo pagamento non è un atto gratuito revocabile ai sensi dell’art. 64 L.Fall., ma l’adempimento oneroso di un’obbligazione propria. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva qualificato l’atto come gratuito, stabilendo che l’atto da valutare sarebbe l’assunzione del debito, non il suo successivo pagamento.

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Pagamento debito altrui: quando è oneroso per la Cassazione?

Il pagamento debito altrui da parte di una società, che successivamente viene dichiarata fallita, solleva complesse questioni giuridiche, specialmente riguardo alla sua natura onerosa o gratuita. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: se la società si era precedentemente impegnata a saldare quel debito tramite un’espromissione, il pagamento successivo è da considerarsi l’adempimento di un’obbligazione propria e, quindi, un atto oneroso. Questa distinzione è fondamentale per stabilire se l’atto possa essere reso inefficace nei confronti dei creditori del fallimento.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di uno studio legale associato di annullare una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva confermato la decisione di primo grado, che dichiarava inefficace, ai sensi dell’art. 64 della Legge Fallimentare, il pagamento di circa 9.500 euro ricevuto da una società, poi fallita.

Il pagamento era relativo a compensi per la difesa legale fornita ad alcuni amministratori della società stessa in un procedimento penale. Anni prima del pagamento e del fallimento, la società aveva comunicato formalmente allo studio legale che si sarebbe fatta carico di tali onorari, ponendo in essere un’espromissione. Nonostante ciò, i giudici di merito avevano qualificato il successivo pagamento come un atto a titolo gratuito, sostenendo che la società non avesse tratto alcun vantaggio patrimoniale concreto dall’operazione, condannando lo studio legale alla restituzione della somma.

L’Analisi della Corte sul pagamento debito altrui

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dello studio legale, ribaltando la prospettiva dei giudici di merito. Il punto centrale del ragionamento della Corte risiede nella netta distinzione tra due diverse fattispecie:

1. Pagamento diretto del debito altrui: Un soggetto (poi fallito) paga un debito di un altro soggetto senza essersi preventivamente obbligato a farlo. In questo caso, per stabilire se l’atto sia gratuito od oneroso, occorre un’indagine sulla ‘causa concreta’, ossia sullo scopo pratico dell’operazione, per verificare se il pagatore abbia ricevuto un vantaggio, anche indiretto.
2. Pagamento a seguito di assunzione del debito: Un soggetto si assume formalmente il debito altrui (ad esempio con un’espromissione, come nel caso di specie) e solo in un secondo momento esegue il pagamento. In questa ipotesi, il pagamento non è più un atto solutorio di un debito ‘altrui’, ma l’adempimento di un’obbligazione che è diventata ‘propria’.

I giudici di legittimità hanno chiarito che, una volta che la società ha fatto proprio il debito degli amministratori tramite l’espromissione, il successivo versamento della somma non è altro che l’esecuzione di un proprio dovere giuridico. Di conseguenza, l’atto solutorio non può essere qualificato come gratuito.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte d’Appello ha errato nel non considerare la sequenza negoziale nella sua interezza. Ha valutato il pagamento in modo isolato, ometendo di considerare che esso trovava la sua causa giustificativa in un precedente e distinto negozio giuridico: l’accordo di espromissione. Quest’ultimo aveva trasformato la natura dell’obbligazione per la società, rendendola un debitore diretto nei confronti dello studio legale.

La Cassazione ha affermato che l’eventuale gratuità andava ricercata nell’atto di assunzione del debito, non nel suo adempimento. Il Fallimento avrebbe potuto, se ne fossero ricorsi i presupposti temporali, impugnare l’espromissione come atto gratuito. Avendo invece agito contro il solo pagamento, l’azione non poteva trovare fondamento nell’art. 64 L.Fall., che riguarda esclusivamente gli atti a titolo gratuito.

Il pagamento di un debito proprio è, per sua natura, un atto oneroso. L’eventuale inefficacia di tale pagamento avrebbe dovuto, pertanto, essere valutata alla luce dell’art. 67 L.Fall., che disciplina la revocatoria degli atti a titolo oneroso e che richiede presupposti ben più stringenti, come la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito un principio di diritto fondamentale: il pagamento eseguito da un soggetto, poi fallito, per adempiere a un debito altrui che aveva precedentemente fatto proprio tramite un negozio di assunzione (come l’espromissione), deve essere qualificato come atto a titolo oneroso. La sua eventuale revocabilità non rientra nell’ambito dell’art. 64 L.Fall. (atti gratuiti), ma in quello dell’art. 67 L.Fall. (atti onerosi). La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo principio.

Quando il pagamento del debito di un amministratore da parte della società è considerato un atto gratuito in caso di fallimento?
Secondo la Corte, è considerato gratuito quando la società paga il debito senza averlo preventivamente assunto come proprio e senza trarre dall’operazione un vantaggio economico concreto e apprezzabile.

Se una società assume il debito altrui con un’espromissione e poi paga, l’atto è oneroso o gratuito?
L’atto di pagamento è considerato oneroso. La Corte chiarisce che, a seguito dell’espromissione, il debito diventa un’obbligazione propria della società. Il pagamento rappresenta quindi l’adempimento di un proprio debito, e non un atto di liberalità.

Qual è la conseguenza pratica di qualificare il pagamento come oneroso anziché gratuito?
La conseguenza è sostanziale. Un atto gratuito compiuto nei due anni precedenti il fallimento è automaticamente inefficace (art. 64 L.Fall.). Un atto oneroso, invece, può essere revocato solo a condizioni molto più rigorose (art. 67 L.Fall.), come la prova che il creditore fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore, rendendo la sua impugnazione molto più difficile per la curatela fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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