Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26155 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26155 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. NUMERO_DOCUMENTO anno 2020 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME per procura speciale su foglio a parte e congiunta al ricorso, con cui è domiciliata in INDIRIZZO;
ricorrente
contro
COGNOME NOME, COGNOME , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in calce al controricorso, con cui sono domiciliati in San Cataldo (INDIRIZZO), INDIRIZZO ;
contro
ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 754/2020 pubblicata in data 18/05/2020, non notificata
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione la signora COGNOME NOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale Civile di Agrigento, la Banca RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE chiedendo il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimo pagamento di n. 27 assegni bancari, tratti sul proprio conto corrente e recanti firma di traenza apocrifa, con conseguente condanna dell’istituto di credito convenuto al ristoro dei danni derivanti dal lamentato inadempimento, da quantificare in € 231.125,00 o nella diversa misura ritenuta di giustizia. A sostegno della domanda l’attrice esponeva che, dopo il pagamento di ben 23 titoli nel periodo compreso tra i mesi di agosto 2002 e dicembre 2003, per un ammontare complessivo di € 111.125,00, la banca trattaria aveva provveduto al protesto di 4 assegni tratti sul medesimo conto rilevandone la irregolarità della firma, ritenuta non riferibile al correntista e non corrispondente allo specimen; precisava, altresì, che analogo vizio di sottoscrizione riguardava anche i titoli precedentemente posti all’incasso e pagati dall’istituto di credito, come ormai risultava incontrovertibilmente accertato con perizia grafologica del 2 ottobre 2008, prodotta in atti. L’istituto di credito convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Eccepiva, in particolare, che la grafia delle firme apposte sugli assegni corrispondeva a quella del marito dell’intestataria del conto corrente, signor COGNOME NOME, da cui pretendeva di essere garantita e che, previa autorizzazione, chiamava in giudizio.
Si costituiva, quindi, in giudizio il signor COGNOME, che si
associava alla domanda dell’attrice contestando la sussistenza dei presupposti della chiamata in garanzia.
Con sentenza n. 212/2015, il Tribunale di Agrigento, riteneva l’istituto di credito convenuto responsabile, sia pure in concorso con la stessa attrice, del pagamento di ben 23 assegni bancari con firma apocrifa e, conseguentemente, lo condannava a risarcire alla correntista l’importo di €. 88.430,75, oltre interessi dalla decisione al saldo, con condanna al pagamento della metà delle spese di lite; inoltre, rigettava la domanda di chiamata in garanzia svolta dalla Banca RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE S.p.A. nei confronti del signor COGNOME NOME, in cui favore veniva anche disposta la condanna alle spese di giudizio.
Avverso detta sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE, eccependo l’erronea applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c. in luogo del secondo comma, laddove vi sarebbe stata un’esclusiva responsabilità di natura colposa in capo alla correntista, tale da escludere totalmente la responsabilità della Banca. Inoltre, veniva contestata la esclusione della paternità delle firme di traenza riconducibili al marito della correntista COGNOME operata dal Tribunale che, viceversa, avrebbe dovu to comportare l’accoglimento della domanda in garanzia proposta nei confronti dell’autore delle firme apocrife.
La Corte d’Appello di Palermo, dopo aver sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza appellata e disposto la Consulenza Tecnica d’Ufficio chiesta dall’appellante, con sentenza n. 754/2020 r igettava l’appello proposto da Banca RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, condannandola al pagamento delle spese di lite.
La sentenza, notificata, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE
di RAGIONE_SOCIALE, con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la banca ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c. per difetto di composizione dell’organo collegiale giudicante in violazione dell’art. 276 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..
In particolare, il ricorrente sostiene che dalla consultazione del fascicolo telematico del giudizio d’appello risulta che la rimessione del fascicolo al Collegio per la decisione è avvenuta soltanto in data 29.1.2020, dunque in epoca successiva al collocamento in quiescenza del Presidente del Collegio (con decorrenza 1.9.2019).
Il motivo è infondato. Invero, dalla consultazione del fascicolo telematico R.G. n. 333/2015 della Corte d’Appello di Palermo (doc. 4 controricorso), emerge che la data originariamente erronea è stata corretta il 24 giugno 2020, quando il Cancelliere ha annotato i seguenti due eventi: ‘INSERITA ANNOTAZIONE (oggetto: RIM.FASC.AL REL 29/1/19 E NON 2020)’ e ‘DATA DECISIONE MODIFICATA DA 29/01/2020 A 29/01/2019’.
Inoltre, l’asserito difetto di composizione è smentito per tabulas dalla attestazione fidefaciente del Collegio giudicante che indica la data di decisione in Camera di consiglio del 28/6/2019.
Pertanto, la decisione è stata deliberata dal Collegio composto da NOME NOME nella qualità di Presidente, da NOME COGNOME nella qualità di Giudice/Consigliere e da NOME COGNOME
nella qualità di Giudice Ausiliare C.A., quindi, ben prima che il Presidente del Collegio giudicante venisse collocato in quiescenza.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
In particolare, l’accertata falsificazione delle firme della COGNOME ad opera del proprio coniuge COGNOME NOME avrebbe dovuto escludere qualsivoglia responsabilità della Banca per dolo o gravissima negligenza della correntista. In altri termini, ad avviso della ricorrente, la preordinazione delle parti circa l’utilizzo di assegni di traenza con firme apocrife da parte del COGNOME, come accertato dal CTU, avrebbe dovuto comportare l’applicazione dell’art. 1227, comma secondo c.c.. Orbene, va premesso che il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Ciò posto, è da osservarsi come la censura è inammissibile, nella misura in cui la ricorrente non si è confrontata, per impugnarla specificamente, con la ratio decidendi, ossia con la affermazione di responsabilità della banca per aver pagato ben 23 assegni con una firma palesemente falsa.
In particolare, la ricorrente non tiene conto delle motivazioni
della sentenza di appello in ordine alla sussistenza della responsabilità della banca ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c. per aver pagato ‘ben 23 assegni con una firma palesemente falsa, come fra l’altro accertato dalla CTU grafica….’ , a prescindere ‘ da chi ha apposto la firma falsa, essendo l’unica a cui veniva demandato il compito di operare i controlli sull’autenticità dell’assegno ed evidenziarne le difformità fra le firme di traenza e girata sugli assegni e quella contenuta nello specimen in suo possesso, bloccando i pagamenti’.
In altri termini, la Corte territoriale ha compiuto un accertamento in fatto costituito dalla evidente falsità della firma di traenza che avrebbe dovuto, comunque, comportare il mancato pagamento dei titoli da parte della banca.
La censura in esame, viceversa, non si confronta con tale ratio decidendi e segnatamente con l’ anzidetto accertamento in fatto operato dal giudice di appello, con conseguente inapplicabilità al caso concreto dell’art. 1227, comma 2, c.c..
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso censurano l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha rigettato la domanda di garanzia svolta dalla Banca nei confronti del signor COGNOME NOME, sotto il profilo dell’asserita e ritenuta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. oltre che del presunto omesso esame in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Orbene anche questi motivi sono inammissibili.
Va premesso che nel caso di pagamento, da parte di una banca, di un assegno non basta la mera rilevabilità dell’alterazione, occorrendo che la stessa sia agevolmente verificabile in base alla situazione di fatto non essendo il personale tenuto a disporre di particolari attrezzature
strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione. La valutazione del giudice di merito in ordine alla riconoscibilità della falsificazione o alterazione di un assegno da parte dell’operatore professionale dipendente di banca è censurabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del difetto di motivazione. (c.f.r. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15066 del 15/07/2005).
Ciò posto, la Corte di Appello ha motivato il rigetto della domanda di garanzia sul corretto presupposto dell’incontestata (e ormai definitivamente accertata) colpa della banca, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c. ‘per aver la stessa pagato ben 23 assegni con una firma palesemente falsa, come fra l’altro accertato dalla C.T.U. grafica svolta in questo grado di giudizio’, che ‘prescinde da chi ha apposto la firma falsa, essendo l’unica a cui veniva demandato il compito di operare i controlli sull’autenticità dell’assegno ed evidenziarne le difformità tra le firme di traenza e la girata sugli assegni e quella contenuta nello specimen in suo p ossesso, bloccando i pagamenti’.
In altri termini, l’accertamento di fatto circa la negligenza professionale della Banca non è censurabile in questa sede afferendo ad un giudizio di fatto su cui la corte territoriale ha congruamente fondato la responsabilità dell’operatore bancario escludendo in radice quella dell’autore delle sottoscrizioni apocrife.
Infine, è assorbito l’ultimo motivo con cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata per violazione dell’art. 96 c.p.c., atteso l’integrale rigetto del ricorso per cassazione. In conclusione, per i motivi di cui sopra ne consegue il rigetto integrale del ricorso. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile,