Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9714 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17988/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME
– intimati – avverso la sentenza n. 3/2020 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 2.1.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio davanti al Tribunale di Napoli Deutsche Bank S.p.ARAGIONE_SOCIALE
chiedendo -per quanto qui ancora di interesse -che fosse dichiarata l’inefficacia, ai sensi dell’art. 65 legge fall., del pagamento di € 91.890 effettuato dalla società nel l’ultimo biennio anteriore alla data di apertura della procedura concorsuale per estinguere anticipatamente un finanziamento la cui scadenza contrattuale sarebbe stata successiva a quella data.
Su istanza della convenuta vennero chiamati in causa anche NOME COGNOME e NOME COGNOME soci e garanti della società fallita.
Il Tribunale accolse la domanda in parte qua .
La sentenza venne impugnata dall’attuale ricorrente (in via incidentale, anche dal fallimento, ma tale impugnazione fu dichiarata inammissibile e qui non rileva) e la Corte d’Appello di Napoli rigettò il gravame, salvo accoglierlo limitatamente alla regolazione delle spese di lite.
Contro la sentenza di secondo grado Deutsche Bank S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria depositata nel termine di legge precedente la data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Gli intimati non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: «nullità della sentenza per assenza di motivazione (imposta dall’art. 132, n. 4, c.p.c.) sulla (decisiva) interpretazione dell’atto d’appello, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 329 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)».
La ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia dichiar ato l’inammissibilità del primo motivo d’appello avendo
ravvisato un’intrinseca e insanabile contraddittorietà nel fatto che la banca, per negare il carattere anticipato rispetto alla scadenza del pagamento di € 91.890, avesse invocato l’esercizio di un diritto potestativo della debitrice e, al tempo stesso, la sua decadenza dal beneficio del termine. Sostiene, in particolare, Deutsche Bank che il giudice del merito non avrebbe motivato l’asserita incompatibilità tra i due aspetti del motivo di appello, né l’impossibilità di risolvere l’eventuale contraddizione considerandoli separatamente e non come una unità indistinta.
1.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi che sostiene la sentenza impugnata.
Il rilievo del profilo di inammissibilità è stato formulato con riferimento solo a una parte del primo motivo d’appello , il quale -per come riportato nella sentenza e anche nel ricorso -imputava al Tribunale di avere «commesso tre distinti errori», non avendo considerato, oltre all’esercizio del diritto potestativo di estinguere il debito anticipatamente e alla decadenza dal termine, che il pagamento sarebbe stato effettuato dai soci COGNOME e non dalla società.
Di tutti e tre i denunciati errori la Corte d’Appello ha ritenuto e motivato l’infondatezza , sicché il rilievo preliminare che i primi due erano «addirittura inammissibili», proprio perché parziale e insufficiente a coprire la decisione sull’intero motivo , non rappresenta il fulcro della motivazione, che è, nel suo complesso, una motivazione di infondatezza. E come tale deve essere impugnata, non ravvisandosi nella fattispecie il caso in cui il giudice del merito, con la statuizione di inammissibilità, si spoglia della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, di modo che l’ aggiunta di argomentazioni sul
merito appaia sovrabbondante e da considerare superflua nel provvedimento gravato (Cass. S.u. n. 3840/2007 e numerose successive conformi; tra le più recenti, Cass. n. 32092/2024).
Con il secondo motivo di ricorso si denunciano «violazione e falsa applicazione dell’art. 65 legge fall. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
Questo motivo è appunto volto ad impugnare la decisione sulla infondatezza dell’appello , dovendosi peraltro rilevare che la banca, illustrando il primo motivo, ha precisato che «Non s’intende qui censurare la sentenza nella parte in cui ha affermato non essere stata impugnata la dichiarazione (del Tribunale) di tardività dell’eccezione fondata sulla decadenza dal beneficio del termine a favore della debitrice» (pag. 4 del ricorso per cassazione).
Di conseguenza, la censura è incentrata soltanto sulla tesi secondo cui il pagamento non potrebbe essere considerato anticipato rispetto al termine di scadenza, perché il contratto di finanziamento riservava alla società finanziata il diritto potestativo di optare per l’estinzione anticipata del debito , opzione alla quale la banca non avrebbe avuto alcun modo di opporsi. Nel ricorso si invoca, quale precedente conforme alla tesi sostenuta, la sentenza n. 19778/2008 di questa Corte di legittimità e si fa notare che il diritto di recesso anticipato della parte finanziata, oltre a essere previsto espressamente nel contratto, corrisponde a un a clausola imposta dall’art. 120 -bis T.U.B. (Testo unico bancario, d.lgs. n. 385 del 1993).
2.1. Il motivo è infondato.
Deve essere innanzitutto chiarito che l’art. 120 -bis T.U.B. non trova applicazione nel presente processo, ratione temporis ,
essendo stato introdotto dall’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 141 del 2010, mentre il pagamento di cui si discute risale al 6.4.2009.
A parte questo, la sentenza citata dalla ricorrente ad apparente sostegno della tua tesi è riferita in modo specifico al mutuo fondiario ed è motivata proprio con riferimento alle peculiarità della relativa disciplina legale (in particolare, alla disciplina del «testo unico del 1905 e del successivo d.P.R. n. 7 del 1976», rilevante in quella vicenda). La questione ivi affrontata era infatti quella del « rischio della compromissione dell’interesse del creditore ipotecario » e la Corte mise in evidenza, non solo il dato normativo per cui « al mutuatario è sempre consentito di estinguere anticipatamente il proprio debito, in tutto o in parte … , con conseguente diritto di ottenere, in tutto o in parte, la conseguente liberazione dal vincolo ipotecario », ma anche che « l ‘ erogazione del credito fondiario è rigorosamente condizionata all ‘ esistenza di garanzie ipotecarie di grado sufficiente a garantire in modo adeguato la restituzione del mutuo ed il pagamento dei relativi interessi (citato d.P.R. n. 7, art. 2), anche in vista del rimborso dovuto dall ‘ ente mutuante ai sottoscrittori delle obbligazioni emesse per finanziare l ‘ operazione (art. 8) ».
È quindi del tutto coerente con tale indirizzo la successiva giurisprudenza di legittimità -citata nella sentenza impugnata -secondo cui , al di fuori dell’ambito del mutuo ipotecario fondiario, « la disposizione della legge fall., art. 65 (a norma del quale sono privi di effetto rispetto ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento) richiede, per la sua applicabilità, soltanto il fatto oggettivo
dell ‘ anticipazione del pagamento rispetto alla sua scadenza originaria, sia essa convenzionale o legale, senza che, in tema di mutuo, possa darsi rilievo alla eventuale clausola che, in deroga al disposto dell ‘ art. 1816 c.c. (in base al quale il termine per la restituzione della somma mutuata si presume stipulato a favore di entrambe le parti), attribuisca al mutuatario la facoltà di anticipare la restituzione di detta somma rispetto al termine originariamente pattuito » (Cass. n. 17552/2009, che cita a sua volta Cass. n. 4842/2002; successivamente, conf. Cass. n. 16618/2016).
Del resto, la ratio dell’art. 65 legge fall., così come delle altre limitrofe disposizioni che regolano gli «effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori», è quella di ristabilire la par condicio creditorum lesa da atti di disposizione patrimoniale del debitore posti in essere nel periodo sospetto. E sarebbe evidentemente contrario allo scopo della norma ritenere che essa non possa operare solo perché al l’atto pregiudizievole corrisponda l’esercizio di un diritto potestativo del debitore.
Il terzo motivo censura «violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)».
Con questo motivo l’attenzione si sposta sull’affermazione della Corte d’Appello secondo cui non sarebbe stata fornita alcuna prova che il pagamento non fosse stato effettuato dalla società debitrice, bensì dai soci e fideiussori NOME e NOME COGNOME In particolare, si imputa al giudice del merito la violazione del principio di non contestazione, non avendo la curatela fallimentare prontamente contestato l’affermazione in tal senso del terzo chiamato in causa NOME COGNOME.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, non si vede e non viene specificato in che modo potrebbe operare il principio di non contestazione con riferimento a un fatto che non rientrava tra le allegazioni iniziali della convenuta Deutsche Bank S.p.A. (che infatti vi aderì solo successivamente, come riportato in sentenza), che venne introdotto nel processo da uno dei terzi chiamati (l’unico costituitosi) e che rappresentava esso stesso la contestazione di quanto già specificamente allegato in causa dall’attore (ovverosia l’avvenuto pagamento da parte della società) , sicché non aveva bisogno di essere ulteriormente contestato.
In secondo luogo, la stessa ricorrente prospetta la tesi che i soci avessero effettuato il pagamento del debito della società «con spirito di liberalità senza animo di surroga» (pag. 11 del ricorso). Ma ciò non farebbe che confermare che il pagamento alla banca venne effettuato dalla società debitrice, utilizzando il denaro messole a disposizione a tal fine dai soci, di cui non si può certo pensare che fossero mossi da «spirito di liberalità» nei confronti della banca.
Del resto, nella sentenza viene precisato che il pagamento di cui qui si discute fu effettuato prima che NOME e NOME COGNOME prestassero garanzia personale in favore della banca per i debiti della loro società poi fallita. Pertanto, l’ipotizzato pagamento del debito da parte loro non potrebbe essere considerato altrimenti se non come una spontanea elargizione in favore della società stessa.
Infine, il quarto motivo prospetta «nullità della sentenza per assenza di motivazione (imposta dall’art. 132, n. 4, c.p.c.) sul fatto (decisivo) del pagamento della somma di €
91.890 da parte (non della fallita, ma) di terzi (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)».
Anche questo motivo riguarda la statuizione del giudice sull’assenza di prova che il pagamento fosse stato effettuato dai soci, statuizione che sarebbe immotivata, perché sorretta dalla mera affermazione che «nulla dimostra che la relativa provvista provenisse da NOME e/o NOME COGNOME».
4.1. Il motivo è inammissibile, perché non prende in considerazione l’intero impianto motivazionale della sentenza sul punto, avendo la Corte territoriale rilevato che «Il pagamento in questione risulta infatti eseguito mediante l’addebito del corrispondente importo complessivo di € 91.890,76 registrato il 6 aprile 2009 sul conto corrente bancario della società poi fallita contraddistinto dal n. 820645 mediante due distinte e consecutive annotazioni …».
Non è ammissibile una censura di nullità della sentenza per totale mancanza di motivazione che non prenda in considerazione proprio le asserzioni che in quella decisione sono specificamente dedicate all’accertamento del fatto di cui si discute, ovverosia l’individuazione del soggetto che effettuò il pagamento del debito.
Appare addirittura superfluo aggiungere che, una volta individuata la provenienza del pagamento da un conto della società e l’assenza di prova sull’origine della provvista disponibile su quel conto, non si vede quale altra motivazione avrebbe dovuto o potuto dare la Corte d’Appello per la decisione adottata.
Rigettato il ricorso, non occorre provvedere sulle spese legali del presente giudizio di legittimità, in mancanza di difese svolte dalle parti intimate.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima