Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8118 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8118 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 166/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso. -ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME (EMAIL) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in
calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME
–
intimati – avverso la sentenza della C orte d’ Appello di L’Aquila n. 630/2020 depositata il 29/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza n. 630/2020 del 29 aprile 2020, con cui la Corte d’Appello di L’Aquila ha rigettato l’inter posto gravame alla sentenza del 9 dicembre 2014, con cui il Tribunale di Chieti aveva a sua volta rigettato la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di alcune ditte di grossisti per ottenere il pagamento del corrispettivo delle forniture di alcoolici; la società attrice aveva prospettato, a fondamento della domanda, un comportamento illecito, finalizzato alla vendita irregolare della merce, da parte del suo agente di zona, il quale, in concorso con le ditte di grossisti, aveva imbastito ordini fittizi intestati a clienti della società, richiedendo la consegna della merce appunto presso i grossisti, i quali dunque acquisivano la disponibilità della merce senza averla pagata.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e
COGNOME NOME e NOME, nonché la RAGIONE_SOCIALE
Le altre parti, sebbene intimate, non hanno svolto attività difensiva.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
La ricorrente e le parti resistenti costituite hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e delle norme che regolano la responsabilità civile extracontrattuale, che costituisce il titolo della domanda svolta al punto 1 delle conclusioni in appello ‘ .
Deduce che l’impugnata sentenza non ha approfondito il tema del fatto illecito e della responsabilità dei grossisti, tale da danneggiare la società RAGIONE_SOCIALE, ma ha ridotto l’esame, sotto il profilo dei requisiti oggettivi e soggettivi, solo in riferimento agli aspetti penalistici della vicenda, in relazione alle ipotesi di truffa, ricettazione o incauto acquisto, non pertinenti e non oggetto della domanda.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ. e delle norme che regolano la responsabilità contrattuale, che costituisce il titolo della domanda svolta al punto 2 ‘in via subordinata’ delle conclusioni in appello ‘ .
Deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto inammissibile la domanda, proposta in via subordinata, di adempimento contrattuale, perché l’ha ritenuta erroneamente una mutatio libelli anziché una semplice emendatio .
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod. civ. (norma che regola l’opponibilità ai terzi, ovvero a RAGIONE_SOCIALE, degli atti
negoziali, cioè i pagamenti dai grossisti al di COGNOME), errata affermazione dell’avvenuto pagamento in violazione dell’art. 2697 cod. civ. in correlazione con gli artt. 1188 e 1189 cod. civ. ‘ .
Deduce che la sentenza impugnata ha rigettato la domanda di COGNOME ritenendo che le ditte appellate avrebbero provveduto al pagamento delle forniture. La decisione però si basa sull’errato presupposto che, fermo restando il difetto di prova del pagamento, lo stesso era transitato dai grossisti all’agente COGNOME e non a d essa COGNOME, in difformità dalle condizioni generali di vendita, le quali, come emerso in istruttoria, vietavano i versamenti agli agenti di contante ed assegni. Non solo quindi RAGIONE_SOCIALE non è stata pagata, ma neppure i grossisti possono mai dirsi liberati, avendo seguito le anomale istruzioni di pagamento del COGNOME.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.: i dati probatori smentiscono dettagliatamente gli avvenuti pagamenti ‘ .
Deduce che la sentenza impugnata ha in ogni caso applicato erroneamente il principio dell’onere della prova, poiché, come evidenziano le risultanze probatorie documentali e orali, le singole ditte resistenti non hanno dimostrato di aver effettuato i pagamenti delle merci ricevute.
I motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Occorre anzitutto premettere, per quanto ancora rileva in questa sede, che la RAGIONE_SOCIALE si è doluta di aver effettuato delle forniture di prodotti alcoolici per le quali non ha ricevuto il relativo corrispettivo, prospettando che il suo agente COGNOME, poi processato penalmente, ha ordito un meccanismo finalizzato alla vendita irregolare della merce, predisponendo ordini fittizi, pur intestati a reali clienti della società, per far pervenire la merce ad alcune imprese di grossisti,
le quali hanno poi disposto dei prodotti alcoolici senza tuttavia averli pagati; in corso di causa le imprese in questione hanno viceversa allegato di aver effettuato dei pagamenti a mezzo assegni o in contanti direttamente all’agente , come comprovato da ricevute di versamento prodotte, e di aver pertanto adempiuto al proprio obbligo di pagamento del corrispettivo delle merci.
Con pronuncia, poi confermata dalla corte territoriale con l’odiernamente impugnata sentenza, il tribunale ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE, rilevando che i grossisti hanno pagato in buona fede all’agente, poi rivelatosi infedele ; e che solo dopo molto tempo la RAGIONE_SOCIALE ha scoperto l’artificio posto in essere dal COGNOME.
5.1. Tanto premesso, sotto la formale invocazione della violazione anche del disposto dell’art. 2697 cod. civ., l’ odierna ricorrente sollecita un riesame del fatto e della prova da parte di questa Corte, con sindacato invero precluso in sede di legittimità (v., tra le tante, (Cass., 15/05/2018, n. 11863; Cass., 17/12/2017, n. 29404; Cass., 02/08/2016, n. 16056; sotto il profilo della deduzione della violazione della regola dell’onere della prova ex art. 2697 cod. civ., v. Cass., 29/05/2018, n. 13395; Cass., 31/08/2020,n. 18092; Cass., 23/10/2018, n. 26769, che hanno avuto modo di affermare che la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onere probatorio ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è
rubricato alla ‘valutazione delle prove’ ).
5.2. Con particolare riferimento al primo motivo va altresì osservato che -coerentemente rispetto ai termini della domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE– la corte territoriale ha fatto invero applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale il giudice civile, allorquando non vincolato dal giudicato penale di condanna ex art. 651 cod. proc. pen., è tenuto ad accertare incidenter tantum l’effettiva sussistenza del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi, incluso l’elemento soggettivo, non essendo sufficiente alla parte attrice, che si affermi danneggiata dall’altrui fatto illecito costituente reato, la mera allegazione del fatto, essendo viceversa necessario che ne fornisca la prova, da valutarsi dal giudice civile al fine dell’accertamento -meramente incidentale- della sussistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi (Cass., 12/10/2012, n. 17490; Cass., 30/06/2005, n. 13972; Cass., 01/06/2004, n. 10482; Cass., 03/03/2004, n. 4359).
Orbene, nel ripercorrere la vicenda delle forniture dell’appellante RAGIONE_SOCIALE e nell’escludere qualsivoglia ipotesi di correità o di concorso delle ditte appellate nelle fattispecie delittuose evidenziate dalla RAGIONE_SOCIALE medesima, per mancanza di prova dell’esistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie delittuosa dedotta, la corte territoriale ha fatto buon governo dei suindicati principi, tenuto conto che proprio la RAGIONE_SOCIALE, nei precedenti gradi di merito, ha fondato la causa petendi della propria domanda sulla condotta illecita delle imprese di grossisti, in asserito concorso ed in prospettata correità con l’agente infedele.
5.3. La corte d’appello ha d’altro canto fondato la propria decisione altresì sul rilievo, dirimente per escludere l’esistenza di qualsivoglia responsabilità dei grossisti, che le forniture oggetto di causa sono state integralmente pagate in buona fede dalle
imprese appellate alla società RAGIONE_SOCIALE per il tramite del suo agente COGNOME, i cui artifici solo dopo molto tempo sono stati scoperti dalla suddetta società.
Orbene, come questa Corte ha già avuto modo di affermare il debitore è liberato quando abbia effettuato il pagamento in buona fede a persona che appaia legittimata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l’errore del debitore (Cass., 11/09/2013, n. 20847; Cass., 31/01/2019, n. 2765; Cass., 22/05/1990, n. 4595).
Nell’impugnata sentenza la corte d’appello ha espressamente affermato che ‘del tutto legittimamente le ditte hanno provveduto al pagamento direttamente nelle mani del COGNOME giacché (e le dichiarazioni dei testi sul punto sono concordi) rientrava tra gli incarichi della gente anche quello di riscuotere i crediti della società preponente, salvo poi riversarli sul conto corrente della preponente stessa>>, il tutto giustificato dalla ‘lunga frequentazione commerciale del COGNOME che rendeva pienamente giustificabile l’intestazione degli assegni al di NOME piuttosto che alla preponente NOME ovvero il pagamento in contanti al di NOME NOME‘, ed ancora: ‘eventuali limitazioni alla facoltà di incassare il denaro con un sistema piuttosto che un altro, infatti, non erano certamente opponibili ai debitori, mancando la prova -ed il relativo onere probatorio sarebbe gravato sul preponenteche i debitori fossero a conoscenza della limitazione ad operare in posta dal preponente all’agente stesso’ .
Siffatta motivazione, congrua e scevra da vizi logico-giuridici, risulta invero consentanea con i suindicati principi, laddove l’odierna ricorrente non offre elementi per innovarli.
Avuto specificamente riguardo al secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha qualificato la sua domanda subordinata, introdotta con la prima memoria ex art.
183, comma 6, cod. proc. civ., in termini di mutatio libelli e non di mera emendatio , va osservato che esso è altresì inammissibile, ai ex art. 360 bis cod. proc. civ.
Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, esorbita dai limiti della consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi , che consiste in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (v. Cass., 12/12/2018, n. 32146; Cass., 26/02/2019, n. 5503).
Orbene, la corte territoriale ha nell’impugnata sentenza posto in rilievo che l ‘ originaria domanda della RAGIONE_SOCIALE era fondata sulla accertata responsabilità penale del proprio agente infedele, con il quale avrebbero agito in concorso tutte le imprese convenute in causa, mentre la domanda subordinata era fondata sul rilievo che i pagamenti sono stati effettuati a soggetto non abilitato a riceverlo, e pertanto sul diverso titolo di natura contrattuale: così motivando essa ha fatto buon governo dei suindicati principi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in euro 200,00, e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza