Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18161 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18161 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18330/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (successivamente incorporata in RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso il decreto n. 4723/2021, depositato dal Tribunale di Novara il 1°.6.2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propose domanda di insinuazione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE di un credito (€ 88. 035,62) derivante da vendite di merce, chiedendone l’ammissione in prededuzione sul presupposto che le vendite erano state effettuate dopo che la società acquirente aveva proposto domanda di ammissione al concordato preventivo, con riserva di produzione della proposta e del piano (art. 161, comma 6, legge fall.), domanda alla quale la società aveva poi rinunciato, chiedendo essa stessa il proprio fallimento.
Il giudice delegato accolse la domanda di ammissione al passivo, ma con collocazione del credito in chirografo, non riconoscendo il presupposto della richiesta prededuzione.
RAGIONE_SOCIALE propose opposizione allo stato passivo, che venne però respinta dal Tribunale di Novara.
Contro il decreto del Tribunale RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Il Fallimento si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia «violazione o falsa applicazione degli artt. 161, comma 7, e 111 167, 181 legge fall. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), sulla qualifica dell’ordinaria amministrazione ».
Sul duplice e indiscusso presupposto che hanno diritto alla prededuzione i crediti «sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore» dopo la pubblicazione della domanda di
concordato e che sono «atti legalmente compiuti» sia quelli di ordinaria amministrazione, sia quelli di amministrazione straordinaria autorizzati dal tribunale (art. 161, comma 7, legge fall.), il motivo è volto a censurare la decisione del Tribunale di Novara laddove questo ha statuito che l’accordo per la fornitura di merce stipulato tra la ricorrente e RAGIONE_SOCIALE non poteva essere considerato un atto di amministrazione ordinaria.
1.1. Il motivo è infondato.
Il Tribunale di Novara ha fatto corretta applicazione del principio -al quale si intende qui dare continuità -secondo cui « anche dopo la presentazione di una domanda di concordato con riserva, la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o di straordinaria amministrazione dell’atto deve essere compiuta con riferimento all’interesse della massa dei creditori, e non dell’imprenditore insolvente, essendo possibile che atti astrattamente qualificabili di ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio dell’impresa possano, invece, assumere un diverso connotato se compiuti nel contesto procedimentale attivato dalla domanda suddetta » (Cass. n. 14713/2019, citata e condivisa in motivazione da Cass. S.u. n. 42093/2021; successivamente conf.: Cass. nn. 36370/2023; 55/2025).
Nel particolare contesto della pendenza di una domanda per l’ammissione al concordato preventivo non è, infatti, criterio soddisfacente per la definizione dell’ordinaria amminist razione quello che fa riferimento esclusivo all’oggetto del contratto e, in particolare, al fatto che si tratti della fornitura di componenti necessari per la produzione tipica dell’impresa acquirente (nel caso di specie, per la produzione di rubinetti) e, quindi, per la continuità aziendale di tale impresa. Infatti, di fronte alla
dichiarata situazione (quantomeno) di crisi d ell’impresa, la stessa scelta di assumere ulteriori passività al fine di finanziare la continuità -piuttosto che attivare una gestione di tipo meramente conservativo dei valori patrimoniali -assume un significato strategico « con riferimento all’interesse della massa dei creditori, e non dell’imprenditore insolvente ».
Ciò vale a maggior ragione se si considera che -come riportato nella motivazione del decreto impugnato –RAGIONE_SOCIALE (poi sostituita dalla newco RAGIONE_SOCIALE, peraltro amministrata dalla medesima persona fisica) non si limitò a proporre di effettuare le «forniture accordando il beneficio di un pagamento dilazionato a sessanta giorni», ma aggiunse che «si sarebbe occupata della ‘gestione logistica’ e dell” adempimento dell’obbligazione di pagamento con scadenza immediata’». Con il che risulta del tutto evidente l’es orbitanza del rapporto rispetto a una ordinaria fornitura di merce nell’ambito di una altrettanto ordinaria continuità aziendale, trattandosi invece di un intervento dall’esterno (da parte di una società «interessata a rilevare l’azienda e in particolare i rapporti con la clientela dell’odierna fallita »), necessario per riattivare una attività d’impresa che si era ormai venuta a trovare in una situazione di «stallo» altrimenti irreversibile.
Sulla base di quanto fin qui esposto è possibile confutare anche la critica della ricorrente secondo cui, accogliendo la ratio decidendi del decreto impugnato, «non sarebbe praticamente configurabile una ‘ordinaria amministrazione’ nel concordato e quindi la norma in questione, che pure espressamente la prevede, non avrebbe applicazione». Deve infatti essere ribadita la sostanziale differenza che corre tra un ordinario approvvigionamento, con mezzi propri, dei componenti necessari per la realizzazione del prodotto finito e un accordo
strategico con un partner che, dichiarandosi interessato all’acquisto dell’azienda , propone un programma di forniture abbinato ad altre forme accessorie di sostegno alla continuità aziendale.
Del resto, l ‘ opinione espressa dal Tribunale sulla natura di amministrazione straordinaria dell’atto era stata a suo tempo condivisa anche dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, dal momento che essa subordinò la sua offerta alla preventiva autorizzazione del giudice. È sicuramente corretto il rilievo della ricorrente secondo cui ciò che qui conta non è l’opinione delle parti sulla natura dell’atto, bensì l’oggettiva ed effettiva ordinarietà o straordinarietà dell’atto. Ma in tale osservazione non si concretizza una efficace critica alla decisione impugnata, essendo evidente dal tenore della motivazione che anche il Tribunale di Novara concentrò l’attenzione sul valore oggettivo dell’atto , ricordando soltanto ad colorandum la richiesta di autorizzazione della stessa parte offerente («In disparte la considerazione che la natura di atto di straordinaria amministrazione era ben nota a RAGIONE_SOCIALE avendo essa fatto espressamente riferimento alla necessità della pronuncia del Tribunale nella sua offerta del 13.12.2019, … »).
Il secondo motivo censura «omesso esame di fatti decisivi (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), relativamente all’utilità del mantenimento dei rapporti commerciali, per la qualifica dell’atto di ordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, legge fall.».
La ricorrente si duole che il Tribunale non abbia esaminato il fatto che « l’unico cespite aziendale della società oggi fallita di sostanziale valore erano i suoi clienti, ossia talune grandi società produttrici di rubinetterie e le relative linee di prodotti ad esse dedicate». Ciò sul presupposto che tale circostanza sarebbe un
fatto decisivo al fine di qualificare di ordinaria amministrazione la fornitura di merce da parte di RAGIONE_SOCIALE dal momento che essa, avendo lo scopo di non disperdere i rapporti commerciali con i clienti, era di sicura utilità per i creditori della società poi fallita.
2.1. Il motivo è inammissibile, perché quello che viene presentato come un fatto è, a ben vedere, un giudizio sui valori aziendali di RAGIONE_SOCIALE e perché, in ogni caso, non si tratta di un aspetto decisivo ai fini della qualificazione dell’atto come di ordinaria o straordinaria amministrazione.
Che un determinato atto posto in essere dall’imprenditore in crisi sia utile o dannoso per i suoi creditori è un giudizio che si può esprimere a posteriori e che non può essere quindi criterio valido per il giudizio, a priori, sulla natura di atto di ordinaria o straordinaria amministrazione. Quella che invece conta, a tal fine, è la potenzialità dannosa dell’atto per i creditori , la quale non può essere mai disgiunta dalla possibilità che quell’ atto risulti poi, secondo i migliori auspici, utile e profittevole. Ciò è del resto alla base della scelta normativa per cui gli atti di straordinaria amministrazione non sono vietati all’imprenditore in pendenza di domanda di concordato, ma possono essere compiuti, previa autorizzazione del giudice, il quale è chiamato ad avallare una scelta dell’imprenditore, laddove ritenuta ragionevole e (in previsione) funzionale al perseguimento dell’interesse dei creditori , nonostante le sue inevitabili potenzialità dannose in caso di esito non favorevole.
Nel caso di specie la ricorrente dà appunto per scontata -e qualifica impropriamente nei termini di un fatto non esaminato dal giudice -quella scelta strategica tra il sostegno esterno a una continuità aziendale venutasi a trovare in una situazione di stallo per motivi finanziari e una gestione strettamente
conservativa della situazione patrimoniale in essere. Non si tratta qui di stabilire se la prima opzione fosse, nel caso di specie, la più ragionevole, o anche l’unica ragionevole , bensì soltanto di ribadire che il relativo giudizio spettava al Tribunale e che era quindi richiesta la sua autorizzazione. E ciò, si badi bene, al fine di rendere l’atto sebbene di straordinaria amministrazione -un atto «legalmente compiuto» , con l’effetto di porre i crediti conseguentemente «sorti» in posizione preferenziale rispetto a quella dei creditori concorrenti, nel cui interesse il Tribunale è chiamato a sindacare la ragionevolezza della scelta dell’imprenditore.
Il terzo motivo è rubricato «nullità del provvedimento (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), per motivazione apparente, in violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 161, comma 7, legge fall.».
Secondo la ricorrente la motivazione del decreto impugnato sarebbe meramente apparente, «perché articolata su elementi estranei alla fattispecie legale, mentre non fornisce alcuna ragione dell’asserito pregiudizio ai creditori, che ha portato a qualificare come atto straordinario la fornitura in questione».
3.1. Il motivo è palesemente inammissibile.
Non occorre nemmeno scomodare i limiti alla sindacabilità del vizio di motivazione con il ricorso per cassazione (scolpiti nella ben nota Cass. S.u. 8053/2014) per svelare che la censura di avere basato la motivazione «su elementi estranei alla fattispecie legale» nasconde, in realtà, nient’altro che una dichiarazione di dissenso rispetto a quella motivazione.
È sufficiente aggiungere, sulla scorta di quanto motivato con riferimento ai due precedenti mezzi, che gli argomenti utilizzati dal Tribunale di Novara sono esattamente quelli
pertinenti rispetto al giudizio sulla natura ordinaria o straordinaria degli atti compiuti dall’imprenditore in crisi .
Il quarto motivo denuncia «violazione o falsa applicazione degli artt. 26 legge fall., 161, comma 2, c.p.c., 161, comma 7, e 111 legge fall. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) sui caratteri dell’autorizzazione per la straordinaria amministrazione».
In prospettiva subordinata rispetto a quanto sostenuto nei primi tre motivi, la ricorrente -sul presupposto che si trattasse di un atto di straordinaria amministrazione -censura comunque la decisione del Tribunale laddove questo ha affermato che l’atto non era autorizzato, perché ha ritenuto inefficace l ‘autorizzazione che era stata concessa, ma sotto la condizione risolutiva del deposito del piano e della proposta di concordato; deposito poi mai avvenuto.
A parere della ricorrente la condizione aggiunta dal Tribunale all ‘autorizzazione dell’atto , in quanto non prevista dall’art. 161, comma 7, legge fall., sarebbe illegittima e, anzi, «abnorme», con il che verrebbe a cadere anche il rilievo del giudice secondo cui il provvedimento autorizzativo, se non condiviso, avrebbe dovuto essere autonomamente impugnato nel termine di legge (con implicito riferimento all’art. 26 legge fall.).
4.1. Il motivo è infondato, a prescindere dalla legittimità o meno di un’autorizzazione condizionata non espressamente prevista né dall’art. 161, comma 7, né dall’art. 167 legge fall . (che disciplina l’autorizzazione degli atti di amministrazione straordinaria nella fase successiva all’ammissione al concordato preventivo).
Infatti, ove illegittima, la condizione farebbe venire meno la stessa autorizzazione ( vitiatur et vitiat ), posto che il Tribunale
chiaramente espresse la volontà di non autorizzare l’atto di amministrazione straordinaria, se non a condizione che venissero poi presentati il piano e la proposta di concordato. E a tale risultato si dovrebbe pervenire a più forte ragione proprio qualora si volesse considerare un ‘autorizzazione condizionata un provvedimento addirittura «abnorme»; vizio talmente radicale che la sua potenza demolitoria degli effetti non potrebbe giammai essere limitata alla sola condizione, dovendo per forza estendersi al l’autorizzazione stessa.
Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
6 . Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del