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Orario di lavoro: il tempo per arrivare alla postazione

La Cassazione ha stabilito che l’orario di lavoro include il tempo che il dipendente impiega dall’ingresso in azienda al login sul computer. Questo periodo è considerato a disposizione del datore di lavoro e deve essere retribuito. La Corte ha rigettato il ricorso di un’azienda di telecomunicazioni, confermando la decisione della Corte d’Appello e sottolineando che le attività preparatorie e necessarie per iniziare la prestazione lavorativa rientrano a pieno titolo nell’orario di lavoro.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Orario di lavoro: il tempo per raggiungere la postazione è lavoro retribuito

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 16676/2024, ha affrontato una questione cruciale per la definizione dell’orario di lavoro: il tempo impiegato da un dipendente per spostarsi dall’ingresso della sede aziendale alla propria postazione e accendere il computer deve essere considerato tempo di lavoro effettivo e, di conseguenza, retribuito? La risposta della Suprema Corte è stata affermativa, consolidando un principio fondamentale a tutela dei lavoratori.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di una dipendente di una grande società di telecomunicazioni. In passato, l’orario di lavoro dell’azienda veniva calcolato dal momento del passaggio del tornello elettronico all’ingresso fino al passaggio in uscita. Successivamente, un accordo sindacale del 2013 aveva modificato tale prassi, stabilendo che la prestazione lavorativa iniziasse solo al momento del collegamento (login) del dipendente al sistema informatico aziendale.

La lavoratrice, ritenendo illegittima questa nuova modalità di calcolo, si era rivolta al tribunale per chiedere che il tempo trascorso tra l’ingresso in azienda e il login fosse riconosciuto come orario di lavoro. La Corte d’Appello di Napoli le aveva dato ragione, basandosi sulla definizione di orario di lavoro fornita dal D.Lgs. 66/2003, che considera tale “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro o nell’esercizio delle sue attività o funzioni”. Secondo i giudici di secondo grado, una volta entrato in azienda, il lavoratore è già a disposizione del datore, a meno che quest’ultimo non dimostri la sua completa libertà di autodeterminazione in quel lasso di tempo.

L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando la decisione su tre fronti: la violazione delle norme sull’inscindibilità delle clausole contrattuali, l’errata interpretazione della nozione di orario di lavoro e l’inversione dell’onere della prova.

L’Analisi della Corte e la Definizione di Orario di Lavoro

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione della Corte d’Appello. L’analisi dei giudici si è concentrata sui punti sollevati dalla società ricorrente, offrendo chiarimenti importanti.

La Clausola Contrattuale sull’Orario

In primo luogo, la Cassazione ha respinto la tesi secondo cui la clausola sull’orario di lavoro fosse inscindibile dal resto dell’accordo sindacale. La società non è riuscita a provare che quella specifica clausola fosse un elemento essenziale e determinante, senza il quale l’intero accordo non sarebbe stato concluso. L’onere di dimostrare tale inscindibilità ricade sulla parte che la invoca, e in questo caso la prova è mancata.

Il Tempo per Raggiungere la Postazione rientra nell’Orario di Lavoro

Il cuore della decisione riguarda la definizione di orario di lavoro. La Corte ha ribadito che la nozione attuale, derivante anche da direttive europee, è ampia e comprende non solo la prestazione effettiva, ma anche tutto il tempo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e non può disporre liberamente di sé stesso.

Il tragitto dall’ingresso alla postazione, l’accensione del computer e le altre attività preparatorie non sono una libera scelta del dipendente. Al contrario, sono attività eterodirette, ovvero imposte dalle decisioni organizzative del datore di lavoro, che stabilisce la struttura della sede, l’ubicazione delle postazioni e le procedure necessarie per iniziare a lavorare. Pertanto, questo tempo è funzionale alla prestazione e deve essere considerato parte integrante dell’orario di lavoro retribuito.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su principi consolidati. Viene affermato che il tempo retribuito include tutte le operazioni necessarie e obbligatorie, anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione in senso stretto. Il lavoratore che entra in azienda per recarsi alla sua scrivania non è libero di autodeterminarsi, ma sta eseguendo una disposizione implicita del datore di lavoro.

La Corte ha specificato che è l’azienda a decidere come strutturare la propria sede, dove collocare le postazioni, quale computer utilizzare e quale procedura di accensione seguire. Queste scelte impattano direttamente sui tempi necessari al lavoratore per essere operativo. Di conseguenza, il tempo impiegato per conformarsi a queste direttive organizzative non può che essere considerato tempo di lavoro a tutti gli effetti. Inoltre, la Corte sottolinea che è onere del datore di lavoro provare che, in quel determinato arco temporale, il lavoratore fosse effettivamente libero e non soggetto al suo potere gerarchico, una prova che nel caso di specie non è stata fornita.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni. Essa chiarisce che qualsiasi accordo, individuale o collettivo, che escluda dal computo dell’orario di lavoro il tempo necessario per attività preparatorie e obbligatorie è da considerarsi nullo. Il principio di fondo è la tutela del lavoratore: il tempo in cui egli è soggetto, anche indirettamente, al potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro è tempo di lavoro.

Per le aziende, ciò significa che la misurazione dell’orario lavorativo deve tenere conto di tutte le fasi funzionali all’esecuzione della prestazione, a partire dall’ingresso nei locali aziendali. Eventuali sistemi di rilevazione presenze basati unicamente sul login al computer potrebbero essere considerati inadeguati se non tengono conto del tempo “nascosto” ma necessario per essere pronti a lavorare.

Il tempo per andare dall’ingresso dell’azienda alla postazione di lavoro è considerato orario di lavoro?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il tempo impiegato dal dipendente per recarsi dall’ingresso aziendale alla propria postazione, così come quello per le attività preparatorie come l’accensione del computer, rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere retribuito, in quanto il lavoratore è già a disposizione del datore di lavoro.

Chi deve dimostrare che il tempo trascorso in azienda prima del login non è tempo di lavoro?
L’onere della prova spetta al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare che, nel lasso di tempo tra l’ingresso nei locali e l’inizio effettivo della prestazione, il lavoratore era libero di autodeterminarsi e non era soggetto al potere direttivo e organizzativo aziendale.

Una clausola di un accordo sindacale che fa iniziare l’orario di lavoro dal login al computer è valida?
No, secondo la Corte tale clausola è illegittima e nulla. La definizione legale di orario di lavoro, che include il tempo a disposizione del datore, non può essere derogata in senso peggiorativo da un accordo collettivo. Le attività preparatorie necessarie e imposte dall’organizzazione aziendale sono parte integrante della prestazione lavorativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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