Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8875 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8875 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12704/2017 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa d all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4313/2017 del Tribunale di Milano, depositata il 13.4.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La ricorrente avviò una causa per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito agli illeciti comportamenti tenuti da un promotore finanziario di Banca Network Investimenti S.p.A. Intervenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca e non essendo stato riconosciuto il credito dai commissari liquidatori, la ricorrente propose opposizione allo stato passivo, ribadendo la domanda già svolta in sede ordinaria.
Il Tribunale di Milano, dopo avere rilevato d’ufficio la relativa questione, sottoponendola al contraddittorio delle parti (art. 101, comma 2, c.p.c.), dichiarò inammissibile l’opposizione per non avere l’opponente perfezionato la sua costituzione in giudizio con la produzione della copia del ricorso integrata dalla relata di notifica nel termine di cinque giorni antecedente la data fissata per la prima udienza di comparizione davanti al giudice relatore.
Contro la decisione del Tribunale NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi.
La procedura di liquidazione coatta amministrativa si è difesa con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi de ll’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si denunciano: «nullità della sentenza e del procedimento. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 87 , comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993 nel testo precedente alla modifica di cui al d.lgs. n. 181 del 2015, in relazione agli artt. 98 e 99 legge fall., come modificata dal d.lgs. n. 5 del 2006».
Il motivo è volto a sostenere che, nella presente controversia -avviata dopo la riforma della legge fallimentare introdotta con il d.lgs. n. 5 del 2006, ma prima della modifica del d.lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria) recata dal d.lgs. n. 181 del 2015 -debbano trovare applicazione gli artt. 98 e 99 legge fall. come novellati dal citato d.lgs. n. 5 del 2006 , che non prevedono più l’onere di costituzione dell’opponente cinque giorni prima dell’udienza .
1.1. Il motivo è infondato.
Il testo all’epoca vigente dell’art. 87 del T.U.B., rubricato «Opposizioni allo stato passivo», era, per quanto riguarda i commi che qui vengono in rilievo, il seguente:
« 2. L ‘ opposizione si propone con deposito in cancelleria del ricorso al presidente del tribunale del luogo ove la banca ha la sede legale.
Il presidente del tribunale assegna a un unico giudice istruttore tutte le cause relative alla stessa liquidazione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente assegna le cause a una di esse e il presidente di questa provvede alla designazione di un unico giudice istruttore. Il giudice istruttore fissa con decreto l ‘ udienza in cui i commissari e le parti devono comparire davanti a lui, dispone la comunicazione del decreto alla parte opponente almeno quindici giorni prima della data fissata per l ‘ udienza e assegna il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ai commissari e alle parti. L ‘ opponente deve costituirsi almeno cinque giorni liberi prima dell ‘ udienza, altrimenti l ‘ opposizione si reputa abbandonata ».
Non vi è dubbio che la disciplina del procedimento di opposizione era mutuata da quella allora posta dal l’art. 98 legge fall., prima della riforma introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006 (art. 98 richiamato dall’art. 209 , per quanto riguarda le procedure di
liquidazione coatta amministrativa). Tuttavia, la legge bancaria non effettuava un rinvio formale alla legge fallimentare, bensì poneva una propria autonoma disciplina, sia pure disegnata ad imitazione di quella.
Pertanto, non vi era alcun motivo per ritenere che, intervenuta la modifica della legge fallimentare, la nuova disciplina del procedimento di opposizione allo stato passivo ivi introdotta dovesse trovare applicazione anche nelle opposizioni relative alle liquidazioni coatte amministrative delle banche, pur essendo rimasto immutato l ‘art. 87 T.U.B.
Del resto, anche quando intervenne la modifica d ell’art. 87, insieme a quella di numerose altre disposizioni del T.U.B., la norma transitoria contenuta nell’art. 3, comma 4, de l d.lgs. n. 181 del 2015 non contemplò il novellato art. 87 tra le norme di immediata applicazione anche ai processi pendenti (« Gli articoli 81, comma 1 -bis , 84, 89, 90, 91, comma 4, 92, 92 -bis , 93, 94, 97 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché l’articolo 57, comma 6 -bis , del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, come modificati dal presente decreto, si applicano anche alle procedure di liquidazione coatta amministrativa in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e per le quali non sia stato già autorizzato il deposito della documentazione finale »).
Pertanto, fino ad allora (ed anche in seguito, per le procedure già pendenti) continuarono a trovare applicazione le norme previgenti contenute nel T.U.B.
Poco importa che, come insistentemente evidenziato nel ricorso per cassazione, la tesi dell’immediata applicabilità della riformata legge fallimentare anche alle liquidazioni coatte amministrative delle banche fosse stata sostenuta, davanti al Tribunale, proprio dalla difesa della procedura concorsuale.
Infatti l ‘individuazione dell e norme applicabili alla fattispecie compete al giudice e non può essere rimessa alla scelta e alle preferenze delle parti.
Il secondo motivo di ricorso censura, sempre con riferimento all ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., «nullità della sentenza e del procedimento. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 87, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993 nel testo precedente alla modifica di cui al d.lgs. n. 181 del 2015».
Al secondo motivo è abbinato il terzo, che ripropone la medesima censura, questa volta qualificandola come vizio di violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il quarto motivo denuncia «nullità della sentenza e del procedimento. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 165 c.p.c., violazione del principio della sanatoria delle nullità ex art. 156, comma 3, c.p.c. con riferimento all’art. 87 del d.lgs. n. 385 del 1993» . Vizio inquadrato dal ricorrente nell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
Anche in questo caso la medesima censura è poi riproposta nel quinto motivo sub specie di vizio di violazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Il sesto motivo è rubricato: «Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e degli artt. 6, par. 1 e 13, della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Violazione dei principi comunitari e nazionali del diritto a un processo, dell’effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo».
I motivi dal secondo al sesto possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi tra di loro.
In via subordinata rispetto alla tesi prospettata con il primo motivo ( ovverosia che l’art. 87 T.U.B. fosse stato
implicitamente superato e sostituito dalla riforma degli artt. 98 e 99 legge fall.), la ricorrente sostiene che la dichiarazione di inammissibilità della sua opposizione sarebbe stata comunque illegittima, anche considerando e applicando il testo dell’art. 87 T.U.B. all’epoca vigente .
Si contesta la pertinenza al caso di specie della giurisprudenza di legittimità che il Tribunale di Milano ha citato con la dichiarata intenzione di uniformarvisi, sia perché si tratta di precedenti riferiti alla procedura di fallimento (e non di liquidazione coatta amministrativa delle banche), sia perché, in almeno uno di quei casi, il curatore fallimentare non si era costituito in giudizio, mentre i commissari della L.C.A. di Banca Network Investimenti S.p.A. si costituirono tempestivamente, producendo anche copia del ricorso «notificato in data 3.7.2013». Si osserva, inoltre, che la costituzione in giudizio della opponente doveva intendersi avvenuta già con il deposito del ricorso in cancelleria, mentre la produzione della relata di notifica almeno cinque giorni prima dell’udienza era solo un adempimento accessorio, rimediabile in un momento successivo e la cui mancanza era stata comunque sanata dalla costituzione in giudizio della parte opposta, destinataria della notificazione.
7.1. I motivi sono infondati.
7.1.1. Il fatto che i precedenti citati dal Tribunale di Milano (Cass. nn. 1495/2005 e 14061/2007) siano relativi a procedure di fallimento non fa venire meno la loro stretta pertinenza al caso in esame, proprio perché -come si è accennato sopra -la disciplina dell’art. 87 T.U.B. qui applicabile ratione temporis era esattamente corrispondente a quella del previgente art. 98 legge fall., il quale, per la parte che qui interessa (comma 3), recitava: « Almeno cinque giorni prima dell’udienza i creditori
devono costituirsi. Se il creditore non si costituisce, l’opposizione si reputa abbandonata ».
Quell’ orientamento è stato successivamente ribadito in altre decisioni di legittimità (tra le quali Cass. nn. 8757/2011; 1898/2018) e non risulta mai smentito da una contraria giurisprudenza. L ‘innegabile circostanza che il primo contatto tra il creditore opponente e l’ufficio giudiziario avv iene con il deposito del ricorso in cancelleria nulla toglie al valore normativo della disposizione speciale che individua in un momento successivo la effettiva costituzione in giudizio dell’opponente, posto che fissa, a tal fine, il termine perentorio di cinque giorni prima della data fissata per la comparizione delle parti davanti al giudice. In altri termini, il testo della norma è incompatibile con la tesi secondo cui la costituzione dell’opponente dovrebbe intendersi avvenuta (e completata) già con il deposito del ricorso.
L’opponente avev a quindi l’onere di perfezionare la costituzione in giudizio con la produzione anche della relata di notificazione del ricorso e del decreto di fissazione del l’udienza e questo adempimento doveva avvenire entro un termine che la legge rendeva perentorio mediante la formula secondo cui, in difetto, « l’opposizione si reputa abbandonata ». Rispetto a una presunzione assoluta ( iuris et de iure ) riferita all’atteggiamento soggettivo dell’opponente , nessuna rilevanza può essere attribuita al comportamento dell’opposto e, quindi, alla sua eventuale tempestiva costituzione in giudizio.
7.1.2. Né, infine, una siffatta previsione legislativa (peraltro successivamente venuta meno a seguito delle più volte citate riforme) può essere considerata contraria ai principi e alle norme costituzionali e sovranazionali che sovrintendono alla materia processuale. Infatti, all’opponente ven iva imposto un
adempimento facilmente eseguibile e giustificato dalle esigenze di celerità e chiarezza che devono essere rispettate nella definizione degli stati passivi delle procedure concorsuali (esigenza di cui tenere conto sul piano astratto dell’interpretazione normativa, a prescindere da come essa sia stata in concreto soddisfatta, o meno, nella presente vicenda).
Infine, il settimo motivo prospetta, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo previgente alla novella di cui all’art. 13 del d.l. n. 132 del 2014, conv. con mod. in legge n. 162 del 2014».
La ricorrente si duole di essere stata condannata alla rifusione delle spese di lite, ritenendo che «alcune peculiarità della vicenda processuale» avrebbero imposto al Tribunale di fare uso di quella facoltà di compensarle, in tutto o in parte, che esso aveva prima dell a modifica dell’art. 92 c.p.c. introdotta dall’art. 13 del d.l. n. 132 del 2014 (e che nel frattempo la Corte costituzionale ha ristabilito con la sentenza n. 77/2018).
8.1. Il motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto molte volte occasione di precisare, la regolazione delle spese applicando il principio generale della soccombenza non è mai sindacabile in sede di legittimità, essendo semmai sindacabile, entro certi limiti, il potere riservato al giudice del merito di compensare le spese, in tutto o in parte, dando conto nella motivazione delle gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la deroga a quel principio generale ( ex multis , Cass. nn. 21400/2021; 14199/2021; 26912/2020). Non ha bisogno, invece, di specifica motivazione la piana applicazione della regola generale secondo cui le spese fanno carico alla parte soccombente.
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del