Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9145 Anno 2025
sul ricorso 395/2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9145 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1277/2020 depositata il 18/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nella sua qualità di fideiussore de RAGIONE_SOCIALE, ricorre per cassazione, sulla base di cinque motivi, seguiti da memoria, ai quali resiste l’intimata con controricorso e memoria, avverso la sopra riportata sentenza con la quale la Corte di appello di Bologna, respingendone il gravame, ha confermato l’impugnata decisione di primo grado con cui era stata rigettata l’opposizione della COGNOME al decreto ingiuntivo notificatole da Unipolbanca a fronte dell’insoluto imputato alla società debitrice.
In particolare, definendo il gravame, per quel che qui ancora rileva, la Corte decidente ha sostenuto, quanto all’eccepita inefficacia del decreto ingiuntivo per averne l’ingiungente tardivamente richiesto la notifica, che il ritardo, tenuto conto delle concrete circostanze di fatto, non era imputabile alla notificante, in ogni caso restando vero che l’opposizione al decreto ingiuntivo introduce un ordinario giudizio di merito in cui il giudice deve valutare la fondatezza della pretesa, indipendentemente dall’inefficacia del decreto stesso; quanto al fatto che il decreto ingiuntivo non recasse indicazione del limite della fideiussione, che esso non deve contenere questa indicazione, ma l’entità della somma ingiunta, vero, ancora, peraltro, che l’ingiunzione era stata chiesta per una somma inferiore al limite inizialmente garantito; quanto alla denunciata violazione dell’art. 1956 cod. civ., che era contrattualmente previsto l’onere del fideiussore di tenersi al corrente delle condizioni economiche del debitore, vero, ancora, che non era in ogni caso provato in alcun
modo che l’aumento del credito fosse avvenuto senza autorizzazione, tanto più considerando che la COGNOME era socia della debitrice; quanto all’allegato superamento dei tassi soglia, che, stante la loro determinazione in rapporto all’entità dell’operazione, nella specie non era noto quali fossero gli affidamenti concessi al momento della stipula del contratto e non erano stati resi disponibili gli estratti conto, rendendo ciò impossibile riscontrare quali fossero i tassi effettivamente applicati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 5, comma 1. d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 in quanto la banca, quantunque non fosse stata onerata dal giudice dell’opposizione, non aveva adempiuto all’ordinanza con cui, di seguito alla concessa esecuzione del decreto ingiuntivo, era stato disposto il tentativo obbligatorio di mediazione, sicché l’azione intrapresa con l’ingiunzione si rendeva improcedibile ed il decreto ingiuntivo andava per questo revocato.
La lagnanza, in disparte dal fatto di essere smentita dalla stessa ricorrente che nel riepilogare i fatti di causa annota testualmente che «il procedimento di mediazione si concludeva con esito negativo, non essendo comparsa la Banca opposta, benché regolarmente convocata» -a nulla rilevando, rispetto, comunque, dell’intervenuta realizzazione della condizione di procedibilità, che ciò sia avvenuto per iniziativa dell’opponente piuttosto che dell’opposto -, è in ogni caso inammissibile introducendo una questione nuova estranea al pregresso confronto processuale e, come tale, non scrutinabile in questa sede, essendo noto che il giudizio di cassazione può avere ad oggetto solo questioni che abbiano avuto trattazione nelle precedenti fasi di merito.
3. Il primo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, cod. proc. civ. perché la Corte di appello, rigettando l’eccezione di inefficacia del decreto ingiuntivo per tardività della notifica sul presupposto che non erano ravvisabili profili di imputabilità in capo alla notificante, avrebbe modificato il dettato normativo che prescrive la prova della “non imputabilità”, circostanza questa da intendersi in senso assoluto e non relativo, di modo che la banca sarebbe comunque imputabile per non aver adottato in prima battuta una modalità di notificazione idonea ad assicurare la sua efficacia, non rivelandosi in ogni caso dirimente l’argomento che l’opposizione all’ingiunzione introduce un ordinario giudizio di cognizione sul merito della pretesa azionata -è inammissibile.
Da un lato infatti si è in presenza di un accertamento in punto di fatto che attiene a scelte comportamentali della parte che, ricadendo nel perimetro delle determinazioni che il legislatore rende liberamente adottabili, non sono censurabili in punto di legittimità, ove il decidente esclude che siano frutto di negligenza; dall’altro, la doglianza non confuta, se non in modo generico, anche il parallelo argomento, sviluppato dal decidente dl grado, circa la non conducenza dell’allegazione alla luce del fatto che, inefficace o meno che sia il decreto, l’opposizione introduce comunque un giudizio a cognizione piena sulla fondatezza della pretesa esercitata, sicché se ne impone la regolazione alla stregua del principio secondo cui l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate,
all’annullamento della decisione stessa ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118).
4. Il secondo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. perché la Corte di appello, rigettando l’eccezione in punto alla mancata indicazione nell’ingiunzione del limite quantitativo della fideiussione e respingendo perciò l’opposizione, avrebbe reso definitiva la pretesa nella misura cristallizzata dal decreto ingiuntivo anche nei confronti del fideiussore, quantunque questo si fosse obbligato per meno -è infondato.
Come è noto il titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo va interpretato alla luce del ricorso ( ex plurimis , Cass., Sez. VI-III, 30/03/2022, n. 10230), tanto è vero che l’art. 643, comma 2, cod. proc. civ. prevede che ricorso e decreto siano notificati uno actu , e dunque la doglianza, dovendo delibarsi la pretesa alla luce del complessivo tenore del ricorso, oltre che della sola ingiunzione, in guisa del che il garante potrà essere escusso solo nei limiti della garanzia prestata, indipendentemente dall’entità della somma ingiunta, non ha nessuna consistenza e va pertanto disattesa.
5. Il terzo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1956 cod. civ. perché la Corte di appello, rigettando l’eccezione in punto alla concessione di ulteriore credito in difetto di autorizzazione del fideiussore, avrebbe erroneamente fatto carico a costui di assolvere il corrispondente onere probatorio, sebbene la banca disponesse di strumenti idonei ad impedire l’ampliamento dell’esposizione debitoria -è inammissibile.
Da un lato, infatti, il motivo non si confronta con la sottostante realtà processuale come accertata incontestabilmente dal decidente, dal momento che, come si è dianzi riferito, l’ingiunzione e così il
decreto erano stati pronunciati entro «il limite inizialmente garantito», onde la pretesa violazione dell’art. 1956 cod. civ. resta in tal modo esclusa; dall’altro, anche considerando il merito della doglianza (se competa o meno al fideiussore l’onere di provare l’abusiva concessione del credito), il motivo non vede l’ulteriore ratio decidendi fatta propria dalla sentenza in esame a riprova di una risposta affermativa sul punto, che «era contrattualmente previsto l’onere del fideiussore di tenersi al corrente elle condizioni economiche del debitore principale e di informarsi dei suoi rapporti con la banca», il che nella ripartizione degli oneri probatori sul punto chiude in partenza ogni discussione.
Il quarto motivo di ricorso -con cui si lamenta l’omesso esame del motivo di appello afferente alla deroga all’applicazione dell’art. 1945 cod. civ. ed il conseguente riconoscimento che i tassi applicati al conto garantito con fideiussione erano usurari, in ragione del che la Corte di appello, essendo giudice del merito, avrebbe dovuto dichiarare la nullità del contratto -è inammissibile quanto alla prima allegazione ed infondato quanto alla seconda.
Sotto la prima angolazione va infatti preso atto che il motivo manca di specificità in quanto non esplicita alcun contenuto critico in rapporto al decisum e si limita solo a manifestare l’insoddisfazione della ricorrente per gli esiti della lite, sì che esso contravviene all’insegnamento consolidato di questa Corte secondo cui, posto che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 17/07/2007, n. 15952), occorre che nella loro illustrazione trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di congruenza, di completezza e
di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica puntuale e non generica, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione .
Sotto la seconda angolazione va invece osservato che nelle controversie relative alla spettanza e alla misura degli interessi moratori, l’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. si atteggia nel senso che il debitore che intenda dimostrare l’entità usuraria degli stessi è tenuto a dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale relativa agli interessi moratori e quelli applicati in concreto, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m, nel periodo considerato e gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento, mentre la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto (Cass., Sez. U, 18/09/2020, n. 19597). L’onere in parola è rimasto inadempiuto dalla parte, come la Corte decidente puntualmente dà conto alle pag. 7 e segg. della motivazione, chiosando in chiusa del proprio ragionamento sul punto che «spettava ovviamente all’appellante dimostrare il suo assunto» e, dunque, essendosi essa attenuta al sopra richiamato principio di diritto, nessuna censura le si può muovere per averne fatta applicazione nel caso di specie.
Il quinto motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. per l’errata regolamentazione delle spese di lite perché la Corte di appello avrebbe liquidato le spese processuali in modo ingiusto ed iniquo -è doppiamente inammissibile.
Da un lato, infatti, esso incorre ancora una volta in un difetto di specificità in quanto la doglianza è espressa in modo del tutto generico senza alcuna enunciazione critica se non quella, cui già si è fatto cenno, che rende manifesta l’insoddisfazione della ricorrente per gli esiti della controversia e, dunque, il motivo urta contro il
precetto secondo cui l’errore di diritto deve essere denunciato mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24298); dall’altro, non si avvede che la decisione sulle spese, peraltro nella specie riflettente esattamente il principio della soccombenza, secondo quel che si insegna d’abitudine non è ordinariamente censurabile per cassazione se non laddove risulti violato il principio che le spese del giudizio non possono mai gravare sulla parte vittoriosa ( ex plurimis , Cass., Sez. V, 31/03/2017, n. 8421).
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 4200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 28 febbraio 2025
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME