Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28709 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 2653/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , nonché COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procure allegate al ricorso, con domicilio digitale ;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi da ll’ avv. NOME COGNOME come da procura allegate al controricorso, con domicilio digitale
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2346/2022 emessa dal la Corte d’appello di Bologna e
pubblicata il 22.11.2022;
N. 2653/23 R.G.
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 9.10.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
Rilevato che
il Tribunale di Parma, con sentenza del 6.11.2001, passata in giudicato, dichiarò l’esistenza in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME di servitù di veduta, di accesso nonché di passaggio sul fondo della RAGIONE_SOCIALE in Fontanelle di Roccabianca (PR) , adiacente all’immobile dei predetti, condannando la RAGIONE_SOCIALE alla demolizione delle opere eseguite in violazione delle suddette servitù, tali da impedirne il loro esercizio;
i COGNOMECOGNOME chiesero quindi al g iudice dell’esecuzione del Tribunale di Parma, con ricorso ex art. 612 c.p.c. del 15.3.2012, di determinare le modalità dell’esecuzione forzata ;
l a RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME promossero autonomo giudizio ex art. 404, comma 1, c.p.c., proponendo opposizione di terzo alla sentenza del Tribunale di Parma del 6.11.2001: chiesero dichiararsi che la sua esecuzione costituiva atto emulativo vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., che la sentenza non era opponibile ad essi attori, diversi dalla Cooperativa, e che comunque la demolizione parziale del fabbricato condominiale non era giuridicamente possibile;
la domanda venne dichiarata inammissibile dal Tribunale di Parma con sentenza n. 1049/2021, che regolò le spese secondo soccombenza e condannò gli attori ex art. 96, comma 3, c.p.c.;
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l a Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 22.11.2022, rigettò l’appello dei soccombenti, confermando la prima decisione e ulteriormente condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite e anche per lite temeraria ex art. 96, comma 3, c.p.c.;
o sservò il giudice d’appello che nessuno degli appellanti poteva dirsi ‘terzo’ rispetto alla sentenza azionata in executivis : né la RAGIONE_SOCIALE, parte originaria del processo all’esito del quale essa era stata emessa, né gli altri appellanti, in quanto acquirenti degli appartamenti costruiti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE già nel corso del giudizio di primo grado, quindi destinatari a tutti gli effetti, ex art. 111 c.p.c., della prima decisione;
avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE , nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (dunque, tutti gli originari opponenti, ad eccezione di NOME COGNOME), sulla scorta di tre motivi, cui resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME;
i ricorrenti hanno depositato memoria;
il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni dalla decisione;
Considerato che
1.1 -con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 404 e 612 c.p.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello negato l’ammissibilità dell’opposizione di terzo ordinaria da parte degli aventi causa di una delle parti nei cui confronti è stata pronunciata una
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sentenza, quando con detta opposizione gli aventi causa fanno valere un proprio diritto, non derivante dalla situazione o dal rapporto su cui abbia pronunciato la sentenza emessa nei confronti del dante causa;
1.2 -con il secondo motivo si denuncia la v iolazione o falsa applicazione dell’art. 833 c.c. , in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non aver la Corte territoriale affrontato la relativa domanda e ritenuto quindi la sussistenza di atti emulativi nel comportamento dei FavaliBussolati, con riguardo all’azione da loro proposta;
1.3 -con il terzo motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello confermato la condanna di essi ricorrenti per lite temeraria, benché tale condotta non possa rinvenirsi nella mera infondatezza o inammissibilità della domanda;
2.1 -il primo motivo del ricorso è inammissibile, per difetto di specificità; invero, i ricorrenti muovono le descritte censure senza affatto confrontarsi col ragionamento seguito dalla Corte felsinea, per cui nessuno tra loro è legittimato a proporre l’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c.: né la RAGIONE_SOCIALE, parte originaria del giudizio poi definito dal giudicato della sentenza del Tribunale di Parma del 6.11.2001 (e dunque giammai legittimata ad opporvisi, sia pure per solidarietà con gli acquirenti, come paventato in memoria), né gli altri odierni ricorrenti, perché subentrati nei diritti dominicali della RAGIONE_SOCIALE venditrice già nel corso dello stesso giudizio di primo grado e quindi, in buona sostanza, parti sostanziali dello stesso giudizio in quanto
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effettivi titolari dei diritti in contestazione, tanto da poter essere eventualmente destinatari della stessa impugnazione proposta dall’avversario del cedente ; in altre parole, la Corte territoriale, con detto percorso argomentativo, ha tout court escluso l’ascrivibilità ai ricorrenti della stessa qualità di terzo, in quanto incompatibile con quella di parte ( lato sensu intesa) già dagli stessi rivestita nel giudizio a quo : gli effetti di detto giudicato, nei loro confronti, non discendono dunque dall’essere aventi causa della parte, ex art. 2909 c.c. , ma proprio dall’essere essi stessi parte del giudizio (nel senso prima descritto); ed è proprio per tale ragione che -al fine di escludere la spendibilità con l’opposizione ex art. 404, comma 1, c.p.c., di un preteso diritto autonomo degli appellanti, diverso da (e incompatibile con) quello riconosciuto in sentenza a carico della Cooperativa -la Corte felsinea ne ha rimarcato la sovrapponibilità con le questioni già delibate dalla sentenza del Tribunale di Parma del 6.11.2001, in quanto essi appellanti ‘ potevano far valere compiutamente le proprie ragioni intervenendo nel giudizio o impugnando la sentenza … ‘ (così la decisione impugnata, p. 4): la Corte felsinea ha inteso così evidenziare che ogni questione circa l ‘estensione e la fruibilità in concreto delle servitù ex adverso vantate avrebbe potuto e dovuto essere veicolata nel giudizio a quo , sicché il non averlo fatto non può che precludere la proposizione in altra sede di ogni ulteriore domanda (ad eccezione di quelle strettamente attinenti all’esecuzione ex art. 612 c.p.c., da far valere in quell’ambito : non essendo giammai ammessa, in sede di opposizione esecutiva, la contestazione del merito del titolo esecutivo giudiziale), in buona sostanza richiamando la regola per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (principio su cui, da ultimo, v. Cass. n. 1259/2024);
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il primo motivo, quindi, è inammissibile perché non è stata colta la ratio decidendi dell’impugnata decisione;
3.1 -anche il secondo motivo è inammissibile;
la questione del preteso carattere emulativo dell’azione spiegata dai COGNOME –COGNOME (in effetti paventata dalla sentenza del Tribunale di Parma del 6.11.2001) è coperta proprio da quel giudicato: non si sarebbe potuto ordinare la demolizione delle opere o la riduzione in pristino se si fosse effettivamente accertata la natura abusiva della loro pretesa;
ancora in ragione del suddetto giudicato, dunque, la Corte d’appello non ha esplicitamente affrontato il tema in questione, sull’implicito presupposto per cui ‘ La pretesa del proprietario di un terreno di difendere il proprio diritto reale esclude la configurabilità del presupposto, necessario ex art. 833 c.c. per aversi atto emulativo, dell’assenza di qualsiasi utilità in capo al proprietario ‘ (Cass. n. 27916/2018): in altre parole, la Corte ha implicitamente ritenuto la superfluità della statuizione, giacché la valutazione circa la effettiva utilità dell’azione per i COGNOME era stata già vagliata nel giudizio a quo (nonostante quanto pur manifestato dallo stesso Tribunale), donde la non spendibilità della questione in questo giudizio;
4.1 -del pari inammissibile è il terzo motivo;
con esso, i ricorrenti invocano sostanzialmente un ribaltamento di prospettiva rispetto alla ritenuta responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c. (giustificata, secondo il giudice d’appello, dalla manifesta inammissibilità dell’opposizione, dalla lunga durata della vicenda processuale e dalla pendenza di un procedimento ex art. 612 c.p.c.), ma sulla base di una mera
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contrapposizione dialettica con il decisum , senza affatto allegare, in questa sede di legittimità, in cosa sarebbe consistito l’ error in iudicando pure imputato alla Corte felsinea, fatta eccezione per il richiamo di una massima giurisprudenziale, non contestualizzata;
da tanto discende, dunque, anche l’inammissibilità del mezzo in esame;
5.1 le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
ritiene infine la Corte meritevole di accoglimento la domanda proposta dai controricorrenti ex art. 96, comma 3, c.p.c.;
infatti, costituisce ormai ius receptum il principio per cui ‘ In tema di responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., costituisce indice di mala fede o colpa grave – e, quindi, di abuso del diritto di impugnazione – la proposizione di un ricorso per cassazione con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione, ovvero senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione, non compiendo alcuno sforzo interpretativo, deduttivo ed argomentativo per mettere in discussione, con criteri e metodo di scientificità, il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, sia pure solo con riferimento alla fattispecie concreta ‘ (Cass., Sez. Un., n. 32001/2022) ;
per quanto prima detto, risulta evidente come il ricorso qui in esame sia stato improntato a grave superficialità (ben superiore rispetto a quella collegata alla mera proposizione di una domanda inammissibile), essendosi perpetuata una impostazione processuale -ed evidentemente, al solo fine di procrastinare l’esecuzione di una sentenza passata in giudicato -non solo disattesa da due pronunce di merito (e dopo l’esaurimento di un precedente giudizio) , ma senza
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neppure dimostrare di aver compiuto il ‘necessario sforzo interpretativo’ per superare le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, anzi improntando l’iniziativa a prescindere da lle pur rilevanti cause ostative all’ammissibilità dell’azione (fondatamente) evidenziate dal giudice d’appello ;
stante l’abuso dello strumento impugnatorio da parte degli odierni ricorrenti, si ritiene equo parametrare l’importo della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., ad una somma pari all’importo delle spese di lite infra liquidate;
in relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228);
per questi motivi
la Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese di lite in favore dei controricorrenti, che liquida in € 5.100,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge;
-condanna altresì i ricorrenti, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento della somma di € 5.100,00 in favore dei controricorrenti, oltre interessi legali da oggi al soddisfo;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti ed al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di
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contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data