Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6005 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6005 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28129/2022 r.g., proposto da: COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9 48/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata in data 18/05/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 4558/2012, con cui il Tribunale di Firenze gli aveva ingiunto il pagamento dell’importo di euro 82.830,17 in favore della RAGIONE_SOCIALE (ditta poi cancellata), a titolo di corrispettivo per lavori di ristrutturazione eseguiti da quest’ultima nell’appartamento del primo.
Il COGNOME deduceva che la RAGIONE_SOCIALE non aveva in realtà svolto alcuna prestazione, in quanto i lavori di ristrutturazione erano stati eseguiti direttamente a cura del medesimo opponente, e concludeva quindi per la revoca del monitorio.
Nella resistenza dell’opposta, il Tribunale di Firenze rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.
Sul gravame proposto dal COGNOME, la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, n. 948/2022, riformava integralmente la pronuncia di primo grado e, in accoglimento dell’impugnazione, revocava il decreto opposto.
Il collegio di seconde cure, per quel che ancora rileva nella presente sede di legittimità: a) respingeva l’eccezione , sollevata dall’appellata, di inammissibilità della domanda subordinata formulata dal COGNOME nell’atto di appello, volta a ridurre la propria condanna ‘ nei limiti del provato ‘, osservando che l’appellante aveva mantenuto ferma la propria difesa, secondo cui la D.L. RAGIONE_SOCIALE non aveva realizzato alcuna lavorazione, e che nella conclusione subordinata non poteva ravvisarsi alcun profilo di n ovità ‘ siccome già compresa nella originaria domanda di rigetto
della pretesa monitoria e costituente una mera limitazione della stessa ‘ (così a pag. 5 della sentenza); b) riteneva che dal compendio istruttorio non fosse emersa una prova adeguata e sufficiente delle prestazioni che la RAGIONE_SOCIALE sosteneva di aver eseguito, in quanto, benché la D.L. RAGIONE_SOCIALE risultasse indicata nella comunicazione di inizio dei lavori, non era emerso alcun riscontro probatorio che le opere fossero state poi effettivamente eseguite dalla ditta in questione. In particolare, la Corte distrettuale osservava che la deposizione del teste NOME COGNOME, il quale aveva riferito del restauro delle finestre ad opera dell’opposta , era stata smentita sia dalle fatture in atti prodotte dall’opponente, attestanti la fornitura di nuovi serramenti da parte di altra ditta, sia dalle dichiarazioni del direttore dei lavori, il quale, anch’egli escusso come teste, aveva appunto riferito che le finestre non avevano subito alcun restauro, ma erano state sostituite con nuovi infissi.
La Corte riteneva, inoltre, irrilevanti le dichiarazioni del teste COGNOME NOME (il quale si era limitato a riferire di aver accompagnato il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE presso la casa dell’appellante per la consegna di alcuni documenti che non aveva visionato), mentre escludeva di poter trarre elementi di convincimento dalla deposizione del teste COGNOME, direttore di banca (il quale aveva affermato di aver visto i lavori curati dalla RAGIONE_SOCIALE nella fase iniziale, intermedia e finale), sia perché le sue dichiarazioni erano generiche e comunque imprecise, per non aver in particolare il teste saputo confermare gli interventi indicati nel consuntivo in atti, e per aver affermato che l’appartamento ristrutturato si trovava al primo piano, anziché al terzo ove era effettivamente ubicato, sia perché le circostanze riferite erano state
contraddette dalla deposizione del direttore dei lavori, il quale, per un verso, aveva confermato che tutti i lavori erano stati eseguiti in economia direttamente dal RAGIONE_SOCIALE tramite altre ditte (circostanza confermata dalle copiose fatture prodotte dall’ opponente), ed aveva negato, per altro verso, che nell’appartamento fossero state eseguite, neppure da altre ditte, ulteriori lavorazioni per le quali l’opposta aveva domandato il corrispettivo. Di qui la revoca del decreto ingiuntivo e il rigetto di ogni domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, per difetto di prova dell’effettiva entità e quantità delle lavorazioni eseguite.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, affidandosi a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., le parti non hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 345 c.p.c. (art. 360, c. 1, n. 4 c.p.c.) ».
La COGNOME deduce che i giudici di merito avrebbero errato a non dichiarare inammissibile la domanda subordinata formulata dal
COGNOME nell’atto di appello : o sserva che in prime cure l’opponente non aveva sollevato alcuna contestazione in ordine al quantum ingiunto, ma si era limitato a sostenere che la ditta opposta non avesse svolto alcuna lavorazione. Secondo la ricorrente, la domanda di riduzione del credito nei limiti del provato, formulata solamente in secondo grado, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, siccome volta ad introdurre nuove eccezioni relative alla quantità e alla qualità delle lavorazioni svolte. D’al tra parte, prosegue la COGNOME, in assenza di contestazioni sul quantum , il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere sufficiente la prova dello svolgimento di lavori di ristrutturazione nell’appartamento del RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE , per riconoscere a quest’ultima l’intero credito ingiunto .
Il secondo motivo è così rubricato: « Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e/o violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (360, c. 1, nn. 4 e 5 c.p.c.) ».
La ricorrente lamenta l’omesso esame della deposizione d el teste ‘COGNOME‘, il quale aveva dato atto dell’esecuzione dei lavori da parte della RAGIONE_SOCIALE nell’appartamento del COGNOME . Circostanza, quest’ultima, dalla quale COGNOME conseguito il diritto dell’opposta al pagamento del credito ingiunto, in assenza di contestazioni sul quantum debeatur .
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. è del seguente tenore:
«Visto il ricorso proposto da NOME, quale titolare della ditta individuale -nelle more cancellata –RAGIONE_SOCIALE (R.G. n. 28129/2022) , avverso la sentenza della Corte
d’appello di Firenze n. 948/2022, pubblicata il 18 maggio 2022, contro COGNOME NOME, con la quale è stato accolto l’appello proposto da quest’ultimo e, per l’effetto, in totale riforma della pronuncia impugnata del Tribunale di Firenze n. 2628/2017, depositata il 19 luglio 2017, l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 4558/2012 per euro 82.830,17 è stata accolta e il provvedimento monitorio è stato revocato, senza la disposizione di alcuna condanna surrogatoria, in ragione della ritenuta inesistenza della pretesa creditoria vantata; rilevato che, con il primo motivo articolato, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile la richiesta formulata in via subordinata dall’appellante in ordine alla riduzione della condanna nei limiti del provato, escludendo la sussistenza di alcun profilo di novità, siccome essa COGNOME stata già compresa nell’originaria domanda di rigetto della pretesa monitoria, costituendo una mera limitazione di tale richiesta; per converso -ad avviso dell’istante l’appellante non avrebbe mai contestato il quantum della pretesa, sicché, a fronte della dimostrazione dell’esistenza dei lavori, sarebb e stata preclusa una diversa quantificazione; evidenziato che la censura si appalesa inammissibile, posto che la sentenza emessa in sede di gravame ha radicalmente escluso la realizzazione dei lavori a cura della RAGIONE_SOCIALE, in mancanza di alcuna dimostrazione della loro effettiva esecuzione alla luce del corredo probatorio in atti, sicché non vi è interesse alla verifica della novità della domanda di riduzione dell’importo dovuto a titolo di corrispettivo dell’appalto; posto che, con il secondo motivo svolto, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e/o la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale escluso che dall’istruttoria di primo grado fosse risultato dimostrato che la ditta RAGIONE_SOCIALE avesse mai svolto lavori di ristrutturazione nell’appartamento del COGNOME, omettendo di porre a fondamento della decisione il fatto pacificamente emerso dall’assunzione testimoniale avvenuta, corrispondente all’effet tivo svolgimento dei lavori di ristrutturazione, con particolare riguardo alle deposizioni rese da COGNOME, di cui la Corte distrettuale avrebbe valorizzato solo l’affermazione finale circa l’impossibilità di confermare tutti gli interventi indicati nel consuntivo; divisato che nessuna omissione di fatti rilevanti e dirimenti risulta avvenuta in ragione della pronuncia impugnata, avendo la Corte d’appello escluso la spettanza del compenso richiesto alla stregua dell’esclusione della ricorrenza di un rapporto di appalto tra le parti, argomentando tale conclusione alla luce: 1) del fatto che il DURC richiesto non fosse stato mai trasmesso; 2) del fatto che tra le parti non era stato mai redatto un contratto di appalto in forma scritta o un preventivo dei lavori, e ciò benché la ditta RAGIONE_SOCIALE fosse stata inizialmente indicata dal COGNOME quale ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori; 3) della smentita argomentata delle deposizioni del teste COGNOME NOME, quale fratello dell ‘amministratore della ditta RAGIONE_SOCIALE, come da documenti prodotti dall’appellante nel giudizio di primo grado quanto alla fornitura e posa in opera delle porte e delle finestre dell’appartamento; 4) della relazione del direttore dei lavori escusso come teste, secondo cui tutti i lavori erano stati eseguiti in
economia da parte del COGNOME; 5) dell’irrilevanza della deposizione del teste COGNOME; 6) e, quanto al teste COGNOME, del fatto valorizzato che, a fronte della dichiarazione in ordine alla circostanza di aver visto i lavori in fase iniziale, intermedia e finale, il teste ha altresì affermato di non ricordare e non essere in grado di confermare tutti gli interventi indicati nel consuntivo e ha erroneamente indicato il piano in cui si trovava questo appartamento (che non era il primo, bensì il secondo o terzo fuori terra); 7) dell’esecuzione dei lavori in economia, come sostenuto dal direttore dei lavori e riscontrato altresì dalle fatture della RAGIONE_SOCIALE, della ditta RAGIONE_SOCIALE per i materiali edili, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE per la fornitura di sanitari; considerato che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 6774/2022; Cass. n. 16016/2021; Cass. S.U. n. 20867/2020; Cass. n. 1229/2019); atteso, dunque, che il ricorso si profila manifestamente infondato; propone la definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c.».
Il Collegio condivide il contenuto della proposta ex art. 380bis cod. proc. civ.
La ricorrente non ha depositato memoria illustrativa e nell’istanza di decisione ex art. 380 -bis c.p.c. non ha offerto argomenti ulteriori rispetto a quelli contenuti nel ricorso.
Il Collegio ritiene comunque di dovere aggiungere, quanto al primo motivo, che l’opposizione a decreto ingiuntivo si configura come atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dal creditore opposto (che ha posizione sostanziale di attore), sul quale incombe pertanto l’o nere della prova dei fatti a sostegno della propria pretesa (cfr. ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 11417 del 17/11/1997, Rv. 510050). Si osserva, altresì, che la contestazione da parte dell’opponente della sussistenza stessa della pretesa creditoria, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non può comportare alcuna cristallizzazione del quantum ingiunto, in quanto la radicale negazione in ordine all’ an debeatur è idonea e sufficiente a mettere in discussione l’intera pretesa e, dunque, anche le singole parti che la compongono, secondo il principio logico per cui nel più è compreso il meno (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19870 del 15/09/2009, Rv. 610214).
Quanto al secondo motivo, il Collegio osserva che le deduzioni della ricorrente, secondo cui dalla deposizione del teste COGNOME COGNOME emersa la prova dell’esecuzione d ei lavori da parte della RAGIONE_SOCIALE nell’appartamento del COGNOME , oltre a non confrontarsi specificamente con le diverse ed articolate argomentazioni della Corte distrettuale, si risolvono in censure
all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite; profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 898 del 14/12/1999, Rv. 532151), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente, né affetta da irriducibile contrasto logico (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Va infatti ribadito che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 5802 dell’11/06/1998, Rv. 516348).
Il ricorso va, pertanto, dichiarato manifestamente infondato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5000,00 (cinquemila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì i l ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3000,00 (tremila) , nonché al pagamento della somma di euro 2000,00 (duemila) in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione