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Opponibilità contratti concordato: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20180/2025, ha stabilito che l’opponibilità dei contratti in un concordato preventivo non richiede la ‘data certa’. Il caso riguardava una società in concordato che chiedeva a un istituto di credito la restituzione di somme, compensate dalla banca sulla base di accordi precedenti. La Corte ha rigettato il ricorso della società, chiarendo che il commissario giudiziale agisce in nome della società stessa e non come terzo. Pertanto, la banca può legittimamente far valere i contratti preesistenti, anche se privi di data certa, come avrebbe potuto fare direttamente con la società prima della procedura.

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Opponibilità dei Contratti nel Concordato Preventivo: La Cassazione Fa Chiarezza sulla Data Certa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per le imprese in crisi e i loro creditori: l’opponibilità contratti concordato preventivo. La questione centrale è se un accordo stipulato prima dell’avvio della procedura, come un contratto di conto corrente con patto di compensazione, possa essere fatto valere dalla banca anche se il documento non possiede una ‘data certa’ anteriore. La Corte ha fornito una risposta chiara, consolidando un principio fondamentale sul ruolo degli organi della procedura.

I Fatti di Causa

Una società, ammessa alla procedura di concordato preventivo, aveva citato in giudizio un istituto di credito. L’obiettivo era ottenere la restituzione di alcune somme incassate dalla banca dopo la pubblicazione del ricorso per l’ammissione al concordato. Tali somme, provenienti da clienti della società, erano confluite su un conto corrente acceso presso l’istituto.

La banca si era difesa sostenendo di aver legittimamente operato una compensazione tra il suo credito verso la società e le somme accreditate sul conto, in virtù di un patto di compensazione contrattualmente previsto e preesistente alla crisi.

La società ricorrente, tuttavia, contestava tale operazione, argomentando che i contratti bancari contenenti il patto di compensazione non fossero opponibili alla massa dei creditori. Il motivo? Mancavano di una ‘data certa’ anteriore all’iscrizione della domanda di concordato nel registro delle imprese, come richiesto, a suo dire, dall’art. 2704 del Codice Civile.

La Questione Giuridica: È Necessaria la Data Certa?

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione e applicazione dell’articolo 2704 c.c. nell’ambito delle procedure concorsuali. Questa norma stabilisce che, per essere opponibile a terzi, una scrittura privata deve avere una data certa.

La società in concordato sosteneva che, agendo tramite i suoi liquidatori (sociale e giudiziale) per tutelare la par condicio creditorum, si poneva come ‘terzo’ rispetto al rapporto contrattuale originario con la banca. Di conseguenza, il contratto privo di data certa non poteva pregiudicare gli interessi della massa dei creditori.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se questa tesi fosse fondata e se, quindi, l’opponibilità contratti concordato fosse subordinata al rigido requisito formale della data certa.

Le Motivazioni della Cassazione sull’Opponibilità Contratti Concordato

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della società, ritenendo la sua doglianza infondata. Il ragionamento dei giudici è dirimente e si basa sulla corretta qualificazione della posizione giuridica di chi agisce in nome della società in concordato.

Il punto centrale della decisione è che la società, agendo tramite il liquidatore e il commissario giudiziale per la ripetizione di somme, non agisce come un soggetto terzo. Al contrario, si colloca nella medesima posizione, sostanziale e processuale, dell’imprenditore debitore. L’azione esercitata è un’azione che era già presente nel patrimonio della società prima della crisi e non un’azione specifica nata per tutelare la massa dei creditori (come, ad esempio, un’azione revocatoria).

Di conseguenza, se il commissario non è ‘terzo’, la norma posta a tutela dei terzi – l’art. 2704 c.c. – non può trovare applicazione. La Corte afferma che il convenuto (in questo caso, la banca) può legittimamente opporre all’attore (la società in concordato) tutte le eccezioni e le prove documentali che avrebbe potuto opporre all’imprenditore prima dell’avvio della procedura, senza i limiti previsti per la protezione dei terzi.

La Cassazione sottolinea inoltre che questo principio, già consolidato in materia di fallimento, vale a maggior ragione nel concordato preventivo, dove l’imprenditore mantiene un ruolo attivo nella gestione dell’impresa.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

La pronuncia ha importanti conseguenze pratiche. Essa rafforza la posizione dei creditori, in particolare delle banche, che hanno in essere rapporti contrattuali di durata con imprese che successivamente entrano in crisi. Viene chiarito che i diritti derivanti da tali contratti (come le clausole di compensazione) sono pienamente efficaci e opponibili alla procedura, anche se i documenti non sono stati formalizzati con una ‘data certa’.

Questa decisione conferma che l’avvio di una procedura di concordato preventivo non ‘cancella’ i rapporti contrattuali pregressi. La società in concordato, quando esercita diritti propri del suo patrimonio, continua a essere vincolata dagli accordi che aveva liberamente stipulato, e i suoi creditori contrattuali possono farli valere pienamente in giudizio.

Un contratto senza ‘data certa’ può essere fatto valere da una banca contro una società in concordato preventivo?
Sì. Secondo la Cassazione, il requisito della data certa previsto dall’art. 2704 c.c. non si applica quando l’azione è promossa dalla società in concordato, poiché questa non è considerata un ‘terzo’ rispetto al rapporto contrattuale originario con la banca.

Perché il commissario che agisce per la società in concordato non è considerato un ‘terzo’?
La Corte chiarisce che il commissario, quando agisce per recuperare una somma per conto della società, si colloca nella stessa posizione giuridica, sostanziale e processuale, della società debitrice. Esercita un’azione che faceva già parte del patrimonio dell’impresa e non un’azione specifica a tutela della massa dei creditori.

Questa regola vale anche nel fallimento?
Sì. La sentenza richiama precedenti pronunce secondo cui lo stesso principio si applica anche al curatore fallimentare quando esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio del fallito. La Corte specifica che tale principio vale ‘a maggior ragione’ nel concordato preventivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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