Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26944/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo procuratore, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente Vicario e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimate- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2219/2022, depositata il 04/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 975/13 veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE ed al suo fideiussore, NOME COGNOME il pagamento dell’importo complessivo di euro 1.076.834,17, di cui euro 310.000,00 garantiti da ipoteca, oltre al pagamento degli interessi come richiesti e delle spese della procedura monitoria in favore della Banca del Fucino S.p.A.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione, ritenendo illegittimamente emesso il decreto ingiuntivo, e domandava, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme addebitate e/o riscosse dall’ingiungente e la condanna al risarcimento dei danni patiti; chiedeva in aggiunta di essere autorizzata a chiamare in causa ed in garanzia la Regione Lazio, al fine di esserne manlevata in caso di rigetto dell’opposizione, in virtù della cessione alla Banca del Fucino S.p.A. del credito vantato nei confronti della Regione Lazio derivante dal contratto di appalto n. 5069/00 avente ad
oggetto i lavori edilizi nel complesso immobiliare sito in Frosinone, alla INDIRIZZO
La Regione Lazio, costituitasi, deduceva l’inefficacia della cessione del credito nei suoi confronti e, nel merito, l’insussistenza del preteso credito per avvenuta estinzione del debito, attraverso i pagamenti effettuati ai subappaltatori ed al fallimento RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 1000/2016, revocava il decreto ingiuntivo opposto, condannava la RAGIONE_SOCIALE a pagare in favore della Banca del Fucino S.p.A. la somma di euro 1.044.179,04, oltre agli interessi nella misura del 9% a decorrere dal 1° aprile 2013 e fino al soddisfo, rigettava le domande spiegate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca del Fucino S.p.A. nei confronti della Regione Lazio, regolava le spese di lite e di C.T.U.
ll giudizio di appello che ne era seguito, proposto, in via principale, dalla Banca del Fucino S.p.A. e, in via incidentale, dalla RAGIONE_SOCIALE, nel quale era intervenuta, ex art. 111 cod.proc.civ., la RAGIONE_SOCIALE in qualità di procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, cui nelle more del giudizio la Banca del Fucino aveva ceduto il credito per cui è causa, si è concluso con la pronuncia n. 2219/2022, pubblicata il 04.04.2022, con cui la Corte d’appello di Roma ha rigettato entrambi gli appelli e confermato la sentenza del tribunale.
La RAGIONE_SOCIALE divenuta per effetto di contratto di cessione pro soluto cessionaria del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
La Regione Lazione resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE, Banca RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non svolgono nessuna attività difensiva in questa sede.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., per avere la corte territoriale ritenuto il secondo e il terzo motivo di appello, formulati dalla Banca del Fucino S.p.A., e poi ripresi e fatti propri dalla Fucino RAGIONE_SOCIALE, inammissibili per difetto di interesse, in quanto la Banca del Fucino aveva (soltanto) dichiarato di voler profittare, mediante estensione automatica al terzo, della domanda di manleva spiegata dalla Centro Appalti contro la Regione Lazio senza proporre alcuna domanda nei confronti della Regione Lazio.
La ricorrente sostiene, al contrario, che la Banca del Fucino RAGIONE_SOCIALE aveva, sin dalla comparsa di costituzione in giudizio, esplicitamente chiesto (ribadendolo in tutti gli scritti successivi – nella memoria ex art 183 6° comma, n. 1 cod.proc.civ. del 4.4.2014, all’udienza del 19.01.2016 innanzi al Tribunale di Frosinone tenutasi per la precisazione delle conclusioni – la condanna diretta della Regione Lazio e che detta domanda era stata fatta propria dalla RAGIONE_SOCIALE nelle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione in appello.
A conferma di tanto, adduce il fatto che il tribunale, ritenuta ammissibile la domanda diretta nei confronti della Regione Lazio (fondata sulla cessione di credito) l’aveva rigettata, ritenendo non opponibile la cessione ed inapplicabile alla fattispecie la normativa posta dall’art. 117 del d.lgs.163/2006, c.d. Codice degli Appalti. Segnatamente, il tribunale aveva ritenuto che: i) la cessione dei crediti del 4.12.2008 nascenti da un contratto di appalto del 21.12.2009 ( rectius 21.12.2000) dovesse essere disciplinata dall’art. 26 comma 5 della L. 109/1994, che estende le disposizioni di cui alla L. 52/1991 ai crediti verso la pubblica amministrazione derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici; ii) alla cessione di crediti non si applicava la normativa di cui all’art. 117 del d.lgs.
163/2006 (c.d. Codice degli appalti) per effetto del regime transitorio previsto dal primo comma dell’art 253 del citato d.lgs., invocato, per inciso, per altri aspetti della vicenda dalla Regione Lazio; iii) la disciplina di cui all’art 1 della l. 52/1991 ha ad oggetto la cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo e si applica solo alle cessioni di credito con causa di scambio e non anche alle cessioni di credito in garanzia; iv) dalla cessione del 4.12.2008 si evinceva che i crediti vantati dalla RAGIONE_SOCIALEnei confronti della Regione Lazio in forza del contratto di appalto del 21.12.2000 erano stati ceduti a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Banca del Fucino S.p.A.; v) poiché la cessione di crediti di cui alla scrittura del 4.12.2008 non soddisfaceva i requisiti di cui alla l. 52/1991, alla stessa dovevano applicarsi le norme speciali che regolavano la cessione dei crediti nei confronti della P.A. prima dell’entrata in vigore della L. 109/1994; vi) la normativa applicabile era quindi quella prevista dall’art 9 dellalL. 20.3.1865 n. 2248 All . E (secondo cui la cessione del corrispettivo del contratto di appalto non ha effetto nei confronti dell’amministrazione interessata se quest’ultima non vi aderisca); vii) poiché nella fattispecie era pacifico che la Regione Lazio non vi aveva mai aderito, la cessione non aveva prodotto alcun effetto nei suoi confronti.
Sull’ammissibilità della domanda di pagamento diretta della Banca del Fucino S.p.A. nei confronti della Regione Lazio si sarebbe, dunque, formato il giudicato. Di conseguenza, la Corte d’Appello di Roma avrebbe dovuto verificare nel merito la fondatezza della domanda di condanna diretta proposta dalla Banca del Fucino S.p.A.nei confronti della Regione Lazio ovvero se e in virtù di quale norma la cessione di credito fosse opponibile alla stessa e non ritenerla inammissibile per difetto di interesse «sul presupposto (errato) che la stessa non avesse svolto alcuna domanda diretta e avesse solo dichiarato, in primo grado, di voler profittare ( della
domanda di manleva che RAGIONE_SOCIALE aveva svolto contro la Regione Lazio) mediante estensione automatica al terzo chiamato in causa della sua domanda di pagamento».
Pertanto, la sentenza impugnata sarebbe viziata per violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., avendo la corte territoriale letto la domanda posta dalla Banca del Fucino S.p.A. in modo incompleto e parziale senza tenere in considerazione l’intera formulazione delle richieste avanzate, come poi argomentate negli scritti difensivi.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
La RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto alla Banca del Fucino S.p.ARAGIONE_SOCIALE i crediti vantati nei confronti della Regione Lazio nascenti dal contratto di appalto del 21.12.2000 in essere tra la stessa società RAGIONE_SOCIALE (subentrata alla RAGIONE_SOCIALE in virtù del contratto di affitto di ramo d’azienda) e la Regione Lazio avente ad oggetto l’esecuzione delle opere di edificazione/ completamento del complesso immobiliare sito in Frosinone INDIRIZZOfino all’estinzione per capitale interessi e spese per le fatture che saranno anticipate o ogni altra esposizione»; detta cessione era stata notificata alla Regione Lazio in data 22.12.2008 ed era stata dalla stessa acquisita in data 9.1.2009 con prot. 156190.
Con nota del 15.12.2008, la Banca del Fucino Spa aveva comunicato alla Regione Lazio l’intervenuta cessione ed aveva quindi richiesto di far confluire sulla cessionaria tutti i pagamenti per anticipo delle fatture emesse in favore della Regione Lazio.
Con la citata nota del 9.1.2009, il Dirigente dell’Ufficio Contenzioso della Regione Lazio aveva trasmesso la cessione di credito al Direttore del Dipartimento Istituzionale della stessa Regione Lazio (e per conoscenza alla RAGIONE_SOCIALE per gli adempimenti necessari.
Non vi sarebbe dunque prova che detta cessione fosse stata rifiutata dalla Regione Lazio che, al contrario, aveva eseguito i primi pagamenti dei corrispettivi del citato contratto di appalto in forza della cessione di credito alla soc. RAGIONE_SOCIALE.p.A. e per essa alla Banca del Fucino S.p.A. tramite bonifici sul c/c 230251 di euro 137.788,66 il 20.05.2009 e il 26.6.2009, di euro 116.235,29 il 30.07.2009 e di euro 86.397,11 il 30.07.2009.
Con nota del 7.4.2010, acquisita al protocollo della Regione Lazio n. 25938 del 13.4.2010, la Banca del Fucino S.p.A. S.p.A., atteso che non riceveva più pagamenti ed evidenziando le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE in virtù del contratto di appalto e la cessione del credito intervenuta, ne aveva sollecitato il pagamento.
Con nota del 5.8.2010 prot. 73977 la Regione Lazio (ritenendo quindi valida ed efficace la cessione del credito del 4.12.2008) ed avendo di fatto aderito alla stessa, aveva chiesto alla società RAGIONE_SOCIALE e con riferimento alla predetta cessione del credito, la consegna della lettera di svincolo da parte della Banca del Fucino dovendo procedere al pagamento di alcuni subappaltatori come richiesto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE
La tesi della ricorrente è che il contratto di cessione dovesse essere regolato dalla normativa vigente al momento in cui era stato stipulato. Il tribunale, errando, aveva ritenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 26 della l. 104/1994 , la quale era stata abrogata dall’art 256 del d.lgs 163/2006 con la decorrenza indicata dal successivo art 257 dello stesso decreto e cioè dal sessantesimo giorno dopo la pubblicazione del decreto sulla G.U., avvenuta il 2.5.2006.
Alla fattispecie per cui è causa avrebbe dovuto essere applicato l’art. 117 del d.lgs. 163/2006, il cui 3° comma prevede che la cessione del credito da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibile alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non
le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione’ disciplina peraltro che la stessa Regione Lazio aveva ritenuto applicabile (v. Determina n. A4071 del 28.11.08, con cui era stato approvato il subentro della RAGIONE_SOCIALE quale mandataria dell’ATI al posto della RAGIONE_SOCIALE e comparsa di costituzione del 4/3/2014) o in subordine l’art 115 del d.pres. 21.12.1999 n.554, secondo cui il corrispettivo di appalto è efficace e opponibile alla P.A. qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2.
La ricorrente aggiunge che comunque la Regione Lazio aveva posto in essere atti qualificabili (secondo la disciplina codicistica) come di adesione di fatto a detta cessione da parte della PA e non vi è prova che vi sia stata nel termine o di quindici o di quarantacinque giorni successivi alla notifica della cessione, alcuna comunicazione di rifiuto da parte della Regione Lazio.
Evidenzia altresì che all’epoca della decisione e comunque dei pagamenti fatti ai terzi in divieto di detta cessione, non sussisteva più la causa di inefficacia della predetta cessione e quindi la deroga, prevista dall’art. 9 della l. 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, al principio della generale cedibilità anche senza il consenso del creditore di cui all’art. 1260 cod. civ., giustificata dal fatto che, durante l’esecuzione del contratto, possano venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della P.A; nel caso di specie essa era venuta meno in conseguenza dell’esaurirsi del rapporto contrattuale (cfr. Cass 5/2/2008 n. 2665 e Cass. 18/11/1994, n. 9789). In particolare, il rapporto contrattuale tra la RAGIONE_SOCIALE e la Regione Lazio si era esaurito a far data dal 10.1.2011, allorquando la Regione Lazio aveva ricevuto la nota del 28.12.2010 del Curatore della RAGIONE_SOCIALE con la quale era stata comunicata alla RAGIONE_SOCIALE
(e portata per conoscenza alla Regione Lazio) la risoluzione del predetto contratto di affitto di ramo d’azienda del 2.10.2008 ai sensi dell’art 72 L.F; risolto il contratto di affitto si era risolto anche il contratto di appalto; in alternativa, detto contratto si era esaurito il 22.2.2012, quando la Regione Lazio con Determina n AO1243 aveva comunicato « il recesso, ai sensi dell’art 37 comma 18 del d.lgs 163/2006 a seguito del fallimento del mandatario RAGIONE_SOCIALE».
Quindi il giudice di prime cure avrebbe dovuto verificare e dichiarare che, al momento della decisione, il contratto di appalto fonte del credito ceduto alla Banca del Fucino S.p.A. si era esaurito e non era più in corso e che, quindi, non sussisteva più la causa di inefficacia della cessione opposta dalla Regione Lazio.
Con il terzo motivo, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., la ricorrente lamenta la sussistenza di una motivazione apparente nonché l’omessa pronuncia su fatto controverso .
Ritiene che la corte d’appello abbia alterato l’elemento obiettivo della domanda e negato alla Banca del Fucino S.p.A. (ed ora alla RAGIONE_SOCIALE.p.A. cessionaria del credito di detto istituto) il bene richiesto: e lo avrebbe fatto o in violazione dell’art. 112 cod.proc.civ.
Merita di essere esaminato in via prioritaria il secondo motivo di ricorso, perché il suo mancato accoglimento renderebbe privo di interesse l’eventuale accoglimento del primo e del te rzo, i quali comunque presuppongono la opponibilità della cessione del credito alla Regione Lazio.
Deve muoversi dalla premessa che il motivo di ricorso deve essere formulato identificando specificamente (v.
), a pena d’inammissibilità della censura, ex art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, esaminandone il contenuto
precettivo e raffrontandolo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
La specificità del motivo insomma richiede che siano individuate le statuizioni che si assumono erronee, altrimenti il motivo è inidoneo al raggiungimento dello scopo, traducendosi in un non motivo.
Nella specie, la corte d’appello ha ritenuto che il motivo di appello con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva attinto la decisione del giudice di primo grado per non avere ritenuto opponibile la cessione dei crediti alla Regione Lazio, ritenendola erronea per la mancata applicazione dell’art. 117 del d.lgs. n. 163/2006, non avesse colto la ratio decidendi sulla quale si basava la pronuncia aggredita, in quanto il tribunale aveva escluso che alla cessione si dovesse applicare la disciplina invocata dall’appellante perché la stessa non era avvenuta ‘verso corrispettivo’, bensì in garanzia e sullo specifico punto niente era stato dedotto con l’appello incidentale.
In aggiunta, ha ritenuto inammissibile, per violazione dell’art. 345 cod.proc.civ., «il tema dell’adesione ‘di fatto’ della Regione alla cessione del credito ravvisata dall’appellante incidentale nel pagamento effettuato dall’ente pubblico alla Banca del Fucino spa e nella missiva a questa indirizzata del 5.8.2010» e non fatta oggetto di specifica censura la sentenza del tribunale nella parte in cui, a p. 10, aveva affermato «si deve pertanto escludere che la cessione del credito abbia prodotto effetti nei confronti della Regione Lazio, essendo pacifico che quest’ultima non abbia mai aderito alla cessione».
Dette rationes decidendi non sono state censurate dalla ricorrente, il cui complesso percorso argomentativo si indirizza, non a caso, interamente verso la sentenza del tribunale, limitandosi a svolgere nei confronti della decisione di appello un solo rilievo critico; il giudice a quo «con motivazione non condivisibile» aveva rigettato il motivo di gravame avverso la pronuncia del tribunale (p. 21).
Il che condanna il motivo all’inammissibilità. È pacifico presso la giurisprudenza di legittimità l’assunto secondo cui ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere all’annullamento della pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione.
Questa, infatti, è intesa all’annullamento della sentenza in toto , o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni passate in giudicato (v., tra le decisioni massimate più recenti, Cass. 26/02/2024, n. 5102).
In sostanza, quand’anche il primo ed il terzo motivo fossero fondati, ciò non gioverebbero all’odierna ricorrente che, comunque, non potrebbe avvalersene, stante il passaggio in giudicato della statuizione relativa all’inopponibilità della cessione del credito nei confronti della Regione Lazio.
Il ricorso è dunque inammissibile.
6) Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente che liquida in euro 4.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 29 novembre 2024 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME