Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33847 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33847 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29272 R.G. anno 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE. 2 di Prato , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliato presso l’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall ‘avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato
NOME COGNOME controricorrente nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimata
avverso la sentenza n.2242/2022 della Corte di appello di Firenze, pubblicata l’11 ottobre 2022
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 novembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ Il Tribunale di Prato, con sentenza del 13 settembre 2016, ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da RAGIONE_SOCIALE e revocato il provvedimento monitorio ottenuto, su ricorso del Consorzio RAGIONE_SOCIALE di Prato e in danno di essa opponente, per la somma di euro 190.855,59: l’ importo ingiunto era stato domandato come quota degli oneri consortili maturati al 30 giugno 2013 e riferiti a una convenzione di lottizzazione che prevedeva l’esecuzione di opere e servizi di urbanizzazione da parte del nominato Consorzio.
Il Tribunale ha rilevato che le dette spese facevano carico ai soggetti cui erano stati trasferite le porzioni immobiliari già appartenenti a RAGIONE_SOCIALE. Il giudizio di primo grado ha visto la partecipazione di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; il Tribunale ha ritenuto che queste società, che erano state chiamate in causa, non fossero tenute al pagamento degli oneri consortili in assenza della prova di un loro acquisto degli immobili in questione.
2. ─ Il gravame proposto dal RAGIONE_SOCIALE è stato respinto dalla Corte di appello di Firenze con sentenza pubblicata l’11 ottobre 2022.
La Corte distrettuale ha rilevato, in sintesi, essere pacifico che RAGIONE_SOCIALE avesse cessato di essere consorziata nel periodo successivo al 2001 : da quest’ultima circostanza ha desunto che la mancata impugnazione della delibera adottata all’esito dell’assemblea del 3 maggio 2013, in cui era stato approvato il riparto degli oneri tra i
consorziati, era irrilevante, posto che la delibera poteva avere efficacia verso i consorziati, ma non verso i terzi. Il Giudice distrettuale ha poi osservato che i predetti oneri non potevano far carico all’appellata, in quanto i medesimi concernevano spese relative a beni di cui RAGIONE_SOCIALE non era più proprietaria: spese che erano state deliberate successivamente all’anno 2001, dopo, quindi, il trasferimento dei cespiti immobiliari che facevano originariamente capo alla società. La Corte di merito ha infine richiamato l’art. 2 dello statuto consortile, evidenziando come lo stesso desse ragione dell’ambulatorietà passiva degli oneri, e ha escluso che il cedente la proprietà immobiliare potesse ritenersi «obbligato anche per gli oneri successivi al trasferimento in una sorta di solidarietà passiva con l’acquirente».
Ricorre, per la cassazione della pronuncia di appello, il Consorzio. Al ricorso, fondato su di un solo motivo, resistono, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -E’ denunciata la violazione o errata applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c. e dell’art. 113 c.p.c., con riguardo all’applicazione degli artt. 2, 18, 19, e 35 dello statuto consortile. Si assume non rispondere al vero che Immobiliare COGNOME avesse dedotto di non essere più proprietaria di terreni ricompresi nel Consorzio; viene dedotto, in particolare, che la stessa avrebbe sostenuto, in appello «di non essere più consorziata unicamente in relazione ai beni ceduti: la Corte territoriale non si sarebbe quindi avveduta che l’ingiunta aveva «contestato la sua posizione debitoria nei confronti del Consorzio limitatamente ai terreni venduti, ma non ha mai affermato nelle sue difese di non essere debitrice in quanto non più proprietaria in senso totale dei beni del Consorzio». La ricorrente rileva, inoltre, che l’esame dei contratti operato dalla Corte di appello risulterebbe «assolutamente
carente in quanto, se la stessa ne avesse esaminato con la dovuta attenzione l’oggetto, avrebbe rilevato» che in essi era «chiaramente indicata la circostanza che, anche una volta trasferiti quei terreni, Immobiliare COGNOME sarebbe rimasta proprietaria di altre aree ricomprese nel Consorzio». Secondo l’istante, a lla luce delle risultanze di causa avrebbe dovuto quindi ritenersi che Immobiliare COGNOME era ancora proprietaria di terreni compresi nel Consorzio, onde era legittimata a partecipare all’assemblea il 3 maggio 2013 e obbligata a corrispondere i pertinenti oneri consortili.
– Il motivo è inammissibile , così il ricorso.
Non possono avere ingresso, in questa sede, le due doglianze vertenti, rispettivamente, sul significato da attribuirsi all’ eccezione proposta da Immobiliare COGNOME e sul reale portato delle risultanze probatorie acquisite al giudizio.
Sotto il primo riflesso deve premettersi che il Consorzio ricorrente ha proposto una censura ex art. 360, n. 3, c.p.c., come è dato di desumere fin dalla rubrica del motivo. Ebbene, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546; cfr. pure Cass. 13 luglio 1965, n. 1479).
Sotto il secondo riflesso occorre rammentare che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa: ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza
impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 28 novembre 2014, n. 25332).
Nella rubrica del motivo, come si è rilevato, è fatta menzione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e di alcune clausole dello statuto consortile. Deve tuttavia escludersi che il Consorzio ricorrente abbia proposto una rituale censura fondata sull’ errata applicazione delle richiamate norme ermeneutiche.
Una siffatta doglianza risulta, anzitutto, carente di autosufficienza, posto che il ricorrente non ha riprodotto il contenuto delle disposizioni pattizie richiamate in rubrica. Ove venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma contrattuale, il ricorrente per cassazione è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative: Cass. 8 marzo 2019, n. 6735; Cass. 11 luglio 2007, n. 15489).
In secondo luogo, nel ricorso non è spiegato in che modo la sentenza impugnata abbia mancato di prestare osservanza alle richiamate regole interpretative. L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.: pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di
argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 16 gennaio 2019, n. 873).
3. Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione