Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3248 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3248 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
Ordinanza
sul ricorso n. 14033/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, difesa da ll’ avvocato NOME AVV_NOTAIO;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 19/2019 del 2/01/2019.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Nel 2005 l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di Venezia la committente RAGIONE_SOCIALE per la condanna al pagamento del corrispettivo del contratto di appalto (stipulato nell’aprile 2003 e integrato alla fine dell ‘ anno: oggetto originario ne erano due attrezzature da spiaggia, denominate «pennelli » , cui se ne erano aggiunte altre quattro con l’integrazione del dicembre 2003), degli oneri di sicurezza, nonché del
risarcimento del danno da aggravio dei costi di cantiere causato dal protrarsi dei lavori oltre i termini contrattuali, imputato al difetto di cooperazione della committente. La convenuta chiedeva il rigetto. Nel 2010 il Tribunale di Venezia condannava la committente convenuta al pagamento di € 30.000 (saldo di due fatture del 2004), oltre alla metà delle spese del giudizio (€ 12.50 0). In secondo grado, ferma la condanna a € 30.000, in parziale riforma su appello dell’attrice, si è aggiunta la condanna dell a convenuta agli interessi moratori ex art. 4 d.lgs. 231/02, nonché a ulteriori € 130.491 circa (cifra risultante dalla somma di tre importi: per il corrispettivo delle opere in variante, per la revisione dei prezzi e per i danni discendenti dal ritardo), nonché la condanna alle spese dei due gradi di giudizio.
Ricorre in cassazione la committente convenuta con tre motivi, illustrati da memoria. Resiste l’appaltatrice attrice (della quale la ricorrente ha comunicato la dichiarazione di fallimento nelle more del ricorso) con controricorso.
Ragioni della decisione
1. -Con il primo motivo (p. 10 ss.) la committente si duole che la Corte di appello (p. 810) abbia ritenuto che la sottoscrizione da parte dell’appaltatrice dei certificati di regolare esecuzione dei lavori non abbia valore confessorio o comunque non abbia alcun valore giuridico. Denunciata è la violazione degli artt. 2702 e 2735 c.c., con riferimento all’art. 1665 c.c.
Le censure sono sintetizzabili come segue. Discende dalla corretta interpretazione dell’art. 2702 c.c. che la sottoscrizione dell’appaltatrice in calce al verbale delle attività di verifica, eseguite in contradditorio tra le parti, comporta il riconoscimento e la condivisione dei risultati della verifica. Ne segue il rigetto di domande basate su fatti contrari a quelli risultanti dal verbale, rigetto basantesi altresì sul principio nemo potest venire contra factum proprium. Tale principio trova espressione, ad esempio, negli artt. 1359 e 1426 c.c. e 157 e 705 c.p.c. e riconoscimento giurisprudenziale in materia di abuso del processo e di efficacia di clausole contrattuali
predisposte da una parte. Inoltre, la verifica e l’accettazione dell’opera da parte del committente sono due attività distinte (art. 1665 c.c.).
Il motivo non è fondato.
La sottoscrizione apposta da ll’appaltat ore in calce al certificato di regolare esecuzione dei lavori non implica la rinuncia da parte di questi ai diritti che discendono dal contratto e dalla sua esecuzione, potendosi riconoscere tale effetto abdicativo solo ove il certificato rechi occasionalmente, in aggiunta rispetto alle dichiarazioni di scienza che realizzano la sua funzione tipica, una espressa dichiarazione di volontà in tal senso, che l ‘appaltatore faccia propria attraverso la sottoscrizione del documento nel suo complesso. Come accertato dalla Corte di appello, non si è data un’aggiunta in tal senso nel caso di specie. Per la stessa ragione il certificato sottoscritto non ha valore di confessione che non sono dovuti maggiori importi (poi in effetti richiesti). Quanto alla distinzione tra verifica ed accettazione dell’opera, richiamata dalla ricorrente insieme alla correlativa giurisprudenza di legittimità, essa è svolta con riguardo ad un passaggio aggiuntivo della motivazione della sentenza, che non incide direttamente sul punto rilevante.
Il primo motivo è rigettato.
– Il secondo motivo (p. 15 ss.), articolato in due profili, denuncia la violazione (a) dell’art. 115 c.p.c. e (b) dell’art. 167 c.p.c., in relazione all’art. 1661 c.c. per avere la Corte di appello – quantificando il compenso per le opere compiute in variante ritenuto dovuto all’appaltatrice il corrispettivo richiesto (€ 63.450), in quanto non specificamente contestato dalla committente.
Nella parte censurata, la sentenza impugnata (p. 11-13) argomenta in sintesi come segue. «Circa il corrispettivo delle opere in variante, quantificato in € 63.450 da RAGIONE_SOCIALE, esso è riferito alla realizzazione di vasche in acciaio inox anziché in calcestruzzo, alla modifica dei 48 soffioni e alla installazione di 48 pulsanti a terra in acciaio inox. Le stesse deposizioni dei testi di parte convenuta hanno messo in evidenza la effettiva
esecuzione delle opere in variante appena descritte: il teste NOME COGNOME, il quale aveva fatto parte del CdA di RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti, ha riferito che ; il teste NOME COGNOME, progettista e direttore dei lavori, a sua volta, ha confermato che le vasche furono realizzate in acciaio inox, scelta a cui il teste aveva aderito trattandosi di materiale più pregiato, e che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto la installazione di soffioni di tipo diverso da quello dei pennelli ‘ pilota ‘ perché si era accorta che i primi non funzionavano bene. . Del resto, anche il certificato di regolare esecuzione dei lavori contiene un riferimento alla effettiva esistenza di varianti approvate e una tale espressione sarebbe priva di senso se tali varianti non ci fossero state. Ne consegue che deve ritenersi dovuto da RAGIONE_SOCIALE il maggior importo di €.63.450 pari al corrispettivo, non specificamente contestato da RAGIONE_SOCIALE, per la realizzazione delle vasche inox e per i soffioni di produzione della RAGIONE_SOCIALE e relativi pulsanti».
Le censure sono sintetizzabili come segue. In primo luogo, la ricorrente fa valere che non è applicabile ratione temporis l’art. 115 c.p.c. nella versione modificata dalla l. 69/2009 con la esplicitazione del principio di non contestazione. Ritiene infatti la ricorrente che prima della novella del 2009 non sussistesse in generale un onere di contestazione specifica e che i fatti allegati da una parte potessero essere posti a fondamento della decisione solo qualora fossero stati espressamente ammessi dalla controparte oppure quando questa, pur non avendoli contestati, avesse assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione. Per questi motivi ha pertanto errato la Corte di appello nel porre a base della propria decisione una circostanza (mai provata) solo perché non specificatamente contestata. In secondo luogo, la ricorrente nega che la conclusione raggiunta dalla Corte di appello possa essere appoggiata sull’art. 167 c.p.c. In particolare, si argomenta che il compenso supplementare ex art. 1661 c.c. cui l’appaltatore ha diritto per variazioni ordinate dal committente è da quantificare nel maggior costo delle opere effettivamente eseguite rispetto
a quello delle opere inizialmente pattuite (e nel caso di specie già pagate dal committente). L’onere di provare l’entità ed il costo sia delle opere eseguite a seguito delle variazioni che delle opere progettate inizialmente incombe sull’appaltatore con l a conseguenza che, in mancanza di detta prova, il supplemento richiesto non può essere attribuito. Si argomenta inoltre che l’allegazione dell’appaltatrice della quantificazione del compenso per i lavori in variante non ha le caratteristiche semantiche e logico-giuridiche per essere considerata una allegazione di un «fatto posto a fondamento della domanda», in quanto tale oggetto dell’onere di specifica contestazione. Infine, la parte ricorrente allega di aver contestato nella comparsa di costituzione le deduzioni e le domande attoree, nonché l’an e il quantum dei maggiori compensi e delle richieste di risarcimento danni contenute nell’atto di significazione, cui l’atto di citazione faceva riferimento.
Il secondo motivo non è fondato.
In primo luogo, il principio di non contestazione non è stato introdotto ex novo nel nostro ordinamento con la modifica dell’art. 115 c.p.c. adottata nel 2009. In materia di processi relativi a diritti disponibili, esso era pacificamente accreditato in dottrina e in giurisprudenza, pur con diversità di punti di vista su taluni profili (a partire dalle differenti tesi sul suo fondamento ed i suoi limiti in ipotesi specifiche). A parte ciò, il richiamo all’omesso carattere specifico della contestazione da parte della RAGIONE_SOCIALE (come appare evidente dalla sintesi della parte rilevante della sentenza riportata indietro) gioca un ruolo aggiuntivo, limitato alla quantificazione e non serve a mettere fuori dal thema probandum i fatti costitutivi del diritto al corrispettivo per le opere eseguite in variante. Infatti, l’apprezzamento della Corte di appello, pur muovendo dalla quantificazione allegata della RAGIONE_SOCIALE, fa ritorno ad essa in conclusione passando per la via di una valutazione consonante del compendio probatorio, che non presta il fianco a censure spendibili in sede di legittimità (il prudente apprezzamento in materia probatoria è -e rimane anche dopo il vaglio di legittimità -quello
proprio del giudice di merito : cfr. l’aggettivo possessivo «suo» , impiegato nell’art. 116 co. 1 c.p.c.).
Il secondo motivo è rigettato.
3. – Il terzo motivo (p. 21 ss.), articolato in due profili, denuncia la violazione (a) dell’art. 115 c.p.c. e (b) dell’art. 167 c.p.c., con riferimento al capo della sentenza che liquida i danni discendenti dal protrarsi nel tempo della esecuzione dei lavori, addebitato a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in termini di spese generali, nella misura richiesta di € 51.641 circ a, da ritenersi pacifica in causa in mancanza di specifica contestazione.
Nella parte censurata, la sentenza (p.13-15) ritiene che: «circa i danni discendenti dal ritardo, quantificati in €144.672, questi vanno riconosciuti nella misura in cui risultino provati nell’an e nel quantum». Quanto al primo profilo, si esclude che il ritardo sia imputabile all’appaltatrice. In relazione alla quantificazione, la Corte di appello si limita ad argomentare: «i l protrarsi del cantiere comportato l’assunzione di oneri corrispondenti a spese generali, calcolabili in proporzione al tempo del prolungamento dei lavori rispetto al valore del contratto, ed a spese per la polizza assicurativa, ragion per cui, trattandosi di pregiudizi che normalmente conseguono alla protrazione dei lavori, la mancata puntuale contestazione delle corrispondenti singole voci, ne consente l’accoglimento per complessi vi € 51.641,49».
Il terzo motivo è fondato.
La struttura delle censure articolate nel terzo motivo di ricorso è analoga a quella del secondo motivo. Per quanto riguarda i profili specifici del terzo motivo, la ricorrente si duole che: «Le spese generali sono quei costi di struttura sostenuti da un’impresa, non riconducibili ad una specifica attività e variabili in funzione delle singole attività svolte, quali, a solo titolo di esempio (perché le strutture aziendali sono l’una diversa dall’altra), i costi di gestione, anche amministrativa, dell’aziend a, i costi del personale non riducibile, i costi di manutenzione degli immobili e dei macchinari, i costi
finanziari, etc. Qualora si debba imputare ad una singola attività i relativi costi generali occorre determinare la quota di struttura aziendale che è impegnata in quella singola attività frazionando i costi generali per il tasso di occupazione di struttur a delle varie diverse attività che l’impresa ha in corso di esecuzione. Questi sarebbero i fatti che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto allegare a fondamento della richiesta di € 51.641,49 a titolo di rimborso delle spese generali e questi fatti avrebbero potuto e dovuto, allora sì, essere contestati da RAGIONE_SOCIALE. Ma anche in questo caso, come nel capo della sentenza oggetto del secondo motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE si è trovata di fronte ad una cifra indicata da RAGIONE_SOCIALE senza alcun fondamento fattuale e che ha potuto solamente contestare come infondata. Ed infatti nella propria comparsa di costituzione e risposta, RAGIONE_SOCIALE oltre ad aver diffusamente e specificatamente contestato l’an del preteso danno ha contestato come infondat e in fatto e diritto le deduzioni e domande attoree, ha contestato l’an della pretesa deducendo che il ritardo nella consegna dei lavori era da attribuirsi interamente a RAGIONE_SOCIALE ed ha contestato integralmente le quantificazioni contenute nell’atto di significazione notificato il 3/3/2005. In nessun atto anche successivo alla citazione, neanche nelle memorie ex art. 184 c.p.c. RAGIONE_SOCIALE si è curata di allegare i fatti a sostegno della propria quantificazione ed a richiederne la prova. Per poter contestare specificamente le allegazioni attoree in materia di quantificazione di tale danno RAGIONE_SOCIALE avrebbe allora dovuto acquisire di propria iniziativa i bilanci di RAGIONE_SOCIALE, assumere informazioni su quali altri cantieri ed appalti avesse in corso e su quanto personale e mezzi e quanti giorni avesse dedicato all’appalto per RAGIONE_SOCIALE e sulla base di tali dati contestare la quantificazione delle spese generali risarcibili per il preteso ritardo operata da RAGIONE_SOCIALE. Un tale onere sarebbe contrario al disposto dell’art. 2697 c.c. ed al principio della vicinanza della prova». Fin qui la ricorrente.
Tranne che nel parallelismo istituito con il secondo motivo , l’argomentazione sviluppata dalla ricorrente e riassunta nel capoverso precedente è fondamentalmente condivisa dal Collegio. Non regge il parallelo con il secondo motivo a cagione della diversa consistenza delle due parti di motivazione che le due censure traggono rispettivamente a bersaglio. Mentre la parte colpita dal secondo motivo resiste alla censura, poiché è pur sempre intessuta da una sufficiente valutazione del compendio probatorio, la parte colpita dal terzo motivo non è sostenuta se non da un ragionamento presuntivo esile ed insufficiente. Corrispondentemente, mentre nel primo caso l’inadempimento dell’onere di contestazione specifica ha quel ruolo delimitato e proporzionato che si è delineato a suo luogo (cfr. indietro, paragrafo 2), in questo caso esso finisce fondamentalmente con il realizzare quella funzione di generale relevatio ab onere probandi, che è tanto più insostenibile in quanto essa ha ad oggetto fatti e circostanze che non sono certo vicini alla parte cui è imputato l’onere di contestarli specificamente.
Il terzo motivo è accolto.
-È accolto il terzo motivo, sono rigettati i restanti motivi, è cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, è rinviata la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma il 18/01/2024.