Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34700 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34700 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19495/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliati in COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di MONZA n. 5529/2021 depositato il 29/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 29.6.2022, il Tribunale di Monza ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del RAGIONE_SOCIALE aveva ammesso al passivo, in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 3 c.c. il minor credito di € 3.120,00, per l’attività professionale svolta nella procedura esecutiva n. 1345/2016, in via chirografaria, il credito di € 686,40 per IVA, con esclusione dell’importo di € 177.837,60 richiesto per l’attività stragiudiziale di consulenza ed assistenza posta in essere dai professionisti per transigere le posizioni debitorie con la Banca Popolare di Milano, in relazione agli immobili siti in Muggio, INDIRIZZO e, Monza, INDIRIZZO e in Lissone, INDIRIZZO
Il giudice di primo grado ha osservato che gli opponenti non avevano assolto l’onere di provare, e puntualmente allegare, l’avvenuta esecuzione dei mandati, essendosi limitati ad una produzione documentale alquanto rinfusa e solo parzialmente afferente l’oggetto dell’incarico (come emerge dall’esame del doc. 14, denominato accordi RAGIONE_SOCIALE costituito da e-mail, senza rispetto della cronologia, in cui si parla, peraltro, di un immobile sito in Vimercate, INDIRIZZO evidentemente estraneo ai mandati, e dai docc. 15 e 16). Gli opponenti si erano, infatti, limitati ad una allegazione del tutto insufficiente con un richiamo generico agli
accordi con BPM ed al doc. 14, senza ulteriore specificazione, difettando, pertanto, l’atto introduttivo del giudizio di precisi riferimenti volti ad indicare quali fossero state le attività svolte dai professionisti con riguardo ai tre mandati. Né, infine, il difetto di allegazione, ossia di introduzione in giudizio dei fatti costitutivi della pretesa azionata, poteva essere sanato dalla produzione di documenti che, proprio in quanto non sorretti da alcuna indicazione delle circostanze che gli stessi avrebbero dovuto provare, risultavano irrilevanti ed inutilizzabili.
Quanto alla procedura esecutiva, il Tribunale di Monza ha osservato che l’importo di € 3.000,00 liquidato era addirittura superiore ai parametri medi dello scaglione da € 52.000 a € 260.000,00, con la conseguenza che il mancato riconoscimento delle spese generali doveva ritenersi assorbito dal maggior compenso liquidato.
Avverso il predetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione gli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.. ed ha formulato un’istanza di discussione della causa in pubblica udienza non motivata, avendo evidenziato una imprecisata ‘necessità’.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
Lamentano i ricorrenti l’erroneità del decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto non provata l’esecuzione dei mandati conferiti, potendosi evincere, in maniera inequivocabile, dalla mera disamina della documentazione prodotta nel giudizio di opposizione che gli
stessi avevano espletato in favore della RAGIONE_SOCIALE gli incarichi di assistenza stragiudiziale di cui ai contratti in atti.
In particolare, il giudice di primo grado, nell’affermare che i documenti allegati non provavano la pretesa, ‘in quanto non sorretti da alcuna indicazione delle circostanze che essi dovrebbero provare, risultano pertanto irrilevanti ed inutilizzabili’, non aveva considerato che nei tre conferimenti di incarico di cui all’allegato 2 del ricorso in opposizione, relativi agli immobili di INDIRIZZO a Lissone (MB), INDIRIZZO angolo INDIRIZZO a Monza, INDIRIZZO in Muggiò, era stato concordato tra le parti, sotto la voce ‘Caratteristiche dell’incarico’, che ‘ L’attività di assistenza e consulenza sarà diretta e finalizzata all’attività transattiva relativa al contratto di mutuo con la Banca Popolare di Milano relativamente al fabbricato sito nel Comune di (con specifica indicazione in ogni contratto del diverso immobile). L’avv. COGNOME potrà fornire alla banca Popolare di Milano tutti i documenti che la RAGIONE_SOCIALE fornirà e che la Banca richiederà, quali atto di provenienza, perizia di stima, proposte di acquisto di terzi, preliminari di compravendita ed atti pubblici quali permesso di costruire ed altro’.
Inoltre, l’allegato doc. 14, diversamente da quanto affermato dal Giudice di prime cure, provava inequivocabilmente l’assistenza stragiudiziale espletata dagli avv.ti COGNOME in favore della Settembre s.a.s. nei rapporti con la Banca BPM, in relazione a tutti e tre i suddetti incarichi, contenendo, infatti, il piano globale stilato dall’avv. COGNOME e relativo ai tre immobili, nonché le e -mail e comunicazioni scambiate con il funzionario della detta Banca, dott. NOME COGNOME.
Nel ricorso in opposizione la documentazione era stata allegata con l’indicazione della pratica e della posizione alla quale si riferiva e la pronuncia impugnata era senza dubbio erronea per la mancata valutazione, in sede di opposizione, di plurimi documenti il cui attento esame avrebbe dovuto indurre il tribunale a ritenere
provato il conferimento degli incarichi professionali, il loro oggetto, le prestazioni delle parti, il compenso dovuto e, dunque, il credito complessivo vantato.
Il motivo è inammissibile, in primo luogo, perché non aggredisce efficacemente la ratio decidendi.
Come già evidenziato in narrativa, il giudice di primo grado ha, in primo luogo, ritenuto che gli opponenti si erano limitati, nell’atto introduttivo, ad una allegazione del tutto insufficiente con un richiamo generico agli accordi con BPM ed al doc. 14, senza ulteriore specificazione; difettando, quindi, il ricorso ex art. 98 L.F. di precisi riferimenti volti ad indicare quali fossero state le attività svolte dai professionisti con riguardo ai tre mandati. Ciò premesso, il Tribunale di Monza ha osservato che il difetto di allegazione, ossia di introduzione in giudizio dei fatti costitutivi della pretesa azionata, non poteva essere sanato dalla produzione di documenti che, proprio in quanto non sorretti da alcuna indicazione delle circostanze che gli stessi avrebbero dovuto provare, risultavano irrilevanti ed inutilizzabili.
Non vi è dubbio che il giudice, con tali affermazioni, oltre ad aver compiuto una valutazione di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti della nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. (vizio non dedotto), non abbia fatto altro che applicare correttamente i principi in materia di preclusioni nel rito civile, avendo implicitamente ribadito che la definizione del thema probandum costituisce nel sistema processuale un momento successivo, dal punto di vista logico, rispetto alla definizione del thema decidendum , con la conseguenza che la prova non può essere offerta su fatti diversi rispetto a quelli specificamente allegati, e costitutivi della pretesa, quindi estranei al thema decidendum.
Dovendo quindi gli elementi costitutivi della domanda essere specificamente enunciati nell’atto introduttivo, è escluso che le
produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l’effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l’individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell’atto introduttivo (sul punto vedi Cass. n. 3022/2018).
Le censure dei ricorrenti, per altri profili, sono anche prive di specificità ed autosufficienza. Infatti i ricorrenti, a fronte della precisa affermazione della Corte d’Appello secondo cui i documenti allegati non erano sorretti da alcuna indicazione delle circostanze che avrebbero dovuto provare, si sono limitati a dedurre genericamente che ‘nel ricorso in opposizione la documentazione è stata allegata con l’indicazione della pratica e della posizione alla quale si riferiva ‘, senza precisare, quindi, di aver specificamente illustrato nel ricorso ex art. 98 L.F. il contenuto delle singole pratiche elencate e delle attività svolte per ciascuna e, comunque, ‘dove’ e ‘come’ tali allegazioni fossero state eventualmente svolte. Peraltro, se è pur vero che nel ricorso per cassazione è stato analiticamente descritto il contenuto dei tre conferimenti di incarico (di cui allegato 2 del ricorso in opposizione) e le attività svolte per ciascuno di essi, i ricorrenti non hanno dimostrato di aver fatto altrettanto nel ricorso in opposizione ex art. 98 L.F.
In conclusione, del tutto improprio è il richiamo alla violazione dell’art. 115 c.p.c., avendo i ricorrenti offerto prove documentali su circostanze non specificamente allegate, e quindi non rientranti tra i fatti costitutivi della loro pretesa, come tali estranee al thema decidendum.
In ogni caso, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020, hanno enunciato il principio di diritto, secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma,
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’.
Con il secondo motivo è stata dedotta violazione o falsa applicazione del DM 55/2014 e dell’art. 112 c.p.c.
Gli odierni ricorrenti espongono di aver denunciato in primo grado la mancata liquidazione dei compensi spettanti per l’attività di transazione espletata in ordine alla procedura n. 1345/2016 R.G.E. del Tribunale di Monza contro il Fallimento, conclusa con un accordo tra le parti.
Il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che la domanda fosse volta solo ad ottenere un maggiore compenso per la fase di trattazione e di studio della procedura esecutiva, non pronunciandosi sull’effettiva domanda avanzata dai ricorrenti.
Anche tale motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza. Posto che nel provvedimento impugnato non vi è traccia della questione relativa al compenso per l’attività di transazione, è principio consolidato di questa Corte quello secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430; Cass. n. 28060/2018; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per
cassazione siano prospettate -come nel caso di specie – questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e il modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno adempiuto a tale onere di allegazione.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 93 e 99 L.F., 2697 c.c.
Espongono i ricorrenti di aver documentato e provato il credito di € 177.837,60, per il quale erano state presentate le istanze di ammissione al passivo, per l’attività stragiudiziale svolta per sette anni in favore della società fallita, mediante la produzione di copiosa documentazione, oltre ai conferimenti di incarico professionale. In particolare, tali attività erano consistite in svariati incontri di consulenza con il rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE presso lo studio, con il delegato della Banca Popolare di Milano, dott. COGNOME con tecnici, con legali e con possibili acquirenti.
Il motivo è assorbito per effetto della declaratoria di inammissibilità del primo motivo.
Con il quarto motivo è stata dedotta violazione degli artt. 93 e 99 L.F., del D.M. 55/2014 in relazione ai compensi relativi alla procedura n. 1345/2016 R.G.E. del Tribunale di Monza.
Espongono i ricorrenti che per l’attività espletata nell’ambito della procedura esecutiva n. 1345/2016 R.G.E. del Tribunale di Monza, il Giudice Delegato li aveva ammessi al passivo del fallimento in via privilegiata per la somma di € 3.120,00, a fronte di una domanda di ammissione al passivo per la somma complessiva di € 8.754,72,
di cui € 6.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese, IVA e CPA, in forza di quanto stabilito dalla tabella 18 del D.M. n. 55/2014 per le cause di valore non superiore ad € 260.000,00.
Rilevano che, in pendenza della procedura esecutiva, avevano raggiunto un accordo con il RAGIONE_SOCIALE prevedendo la corresponsione di € 45.000,00 a titolo di saldo e stralcio sulla maggior somma di € 150.000,00.
Il compenso richiesto per l’attività di transazione rientra, pertanto, nei parametri di legge e deve, conseguentemente, essere riconosciuto nella misura di € 3.000,00, che addirittura è inferiore al valore medio previsto dal DM 55/2014.
Infine, i ricorrenti contestano il mancato riconoscimento del rimborso forfettario spese del 15 % previsto dalla legge sui compensi riconosciuti (€ 3.000,00), e pari ad € 450,00, sul rilievo che non vi sono ragioni per ritenere assorbito il rimborso forfettario dal maggior compenso liquidato.
8. Il motivo è assorbito per effetto della declaratoria resa sul secondo motivo, quanto alla doglianza relativa al mancato riconoscimento del compenso per l’attività di transazione.
Quanto alla censura riguardante il rimborso forfettario, il motivo è inammissibile per genericità, per non essere stato sufficientemente illustrato, essendosi i ricorrenti limitati a dedurre in modo tautologico che ‘ non vi sono ragioni per ritenere assorbito il rimborso forfettario dal maggiore compenso liquidato’, senza aver indicato argomentazioni contrapposte volte ad incrinare il fondamento logico giuridico di tale statuizione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 7.700,00, di cui
€ 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 6.11.2024