Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30289 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30289 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 32239 – 2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE -c.f. CODICE_FISCALE/P_IVA.iP_IVA. P_IVA -in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta su foglio separato congiunto al ricorso, dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO.
RICORRENTE
contro
RAGIONE_SOCIALE –P_IVA – in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso il suo studio.
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 5440/2019 del la Corte d’Appello di Roma, depositata in data 10/9/2019, udita la relazione nella camera di consiglio del 28 ottobre 2025 del AVV_NOTAIO NOME COGNOME ,
RILEVATO CHE:
Il 16/3/1999 veniva stipulato contratto d’appalto tra la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE, per la realizzazione, al fine della soppressione di un passaggio a livello, di un sottovia veicolare oltre allo spostamento e al ripristino dei sottoservizi relativi ad energia elettrica e falda acquifera.
In precedenza, la RAGIONE_SOCIALE aveva formulato l’offerta il 16/12/1997, accettata dalla RAGIONE_SOCIALE l’11/6/1998.
Il verbale di ricognizione veniva redatto il 22/9/1998.
I lavori venivano consegnati il 18/2/1999 senza apposizione di riserve.
Successivamente venivano iscritte cinque riserve: la prima, per euro 155.632,02, concerneva maggiori oneri per spese generali nel periodo tra l’offerta del 16/12/1997 e l’1/3/1999, data di inizio dei lavori; la seconda, per euro 239.879,99, relativa alle proroghe dei lavori, in relazione ai maggiori oneri da anomalo andamento degli stessi; la terza, per euro 218.735,86, per l’aumento dei costi della materia prima e dei semilavorati; la quarta , per euro 17.267,52, per l’aumento dei costi del carburante e NOME rificanti; la quinta, per euro 236.849,54, per il ritardo nel collaudo a seguito delle proroghe.
Con atto di citazione notificato il 23/8/2003 la RAGIONE_SOCIALE esponeva che era stata costretta a subire notevoli ritardi nell’esecuzione dei lavori e che l’anomalo andamento dell’appalto era da imputarsi esclusivamente a fatto e colpa della stazione appaltante che, senza addurre alcuna ragione,
aveva ritardato la consegna dei lavori di otto mesi rispetto alla formale accettazione del contratto.
Inoltre, la società deduceva anche che il regolare andamento dei lavori era stato compromesso dalle interferenze rappresentate da sottoservizi, non rimossi tempestivamente.
Pertanto, chiedeva il pagamento delle somme di cui alle riserve. In via subordinata, «accertare e dichiarare il diritto dell’impresa RAGIONE_SOCIALE a vedersi riconosciute le somme quanto meno a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. ovvero in ulteriore subordine a titolo risarcitorio ex art. 2043 c.c.».
3. Si costituiva RAGIONE_SOCIALE.
Chiedeva, preliminarmente, «accertare e dichiarare che controparte è decaduta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 44 del Condizioni Generali di Contratto vigente inter partes , dal diritto di formulare contestazioni, domande o riserve ed è conseguentemente decaduta dal diritto di farle valere successivamente in questa o in altra sede e pertanto, dichiari l’inammissibilità delle riserve n. 1, del 5/16.3.1999, nn . 2, 3 e 4 del 30.11/5.12.2001 e della riserva n. 5 del 23/27.5.2003».
Nel merito, chiedeva il rigetto di tutte le domande perché infondate.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 19275/2012, accoglieva la domanda subordinata formulata dall’attrice, condannando RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni quantificati in euro 484.962,30; dichiarava invece inammissibili le riserve numeri 2, 3, 4 e 5.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale RAGIONE_SOCIALE.
Proponeva appello incidentale la RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 5440/2019, depositata il 10/9/2019, rigettava sia l’appello principale sia l’appello incidentale.
7.1. In particolare, per quel che ancora rileva, con riferimento all’appello principale, reputava non fondato il primo motivo, relativo alla riserva n. 1, che riteneva tempestiva.
Premetteva -la corte -che a giudizio del l’appellante (principale) la riserva doveva essere formulata entro il 5/3/1999 e soggiungeva che «il giudice di primo grado correttamente ritenuto che con la nota del direttore dei lavori di rigetto della riserva in data 11 marzo 1999, doveva ritenersi provata la ricezione di detta riserva prima di tale data, sicché la procedura di invio a mezzo di raccomandata poteva considerarsi superflua, ai fini della valutazione della tempestività della stessa».
Indi – la corte -evidenziava che « tale considerazione, l’appellante (principale) non sostanzialmente risposto, essendosi limitata a rilevare che la raccomandata della impresa appaltatrice fosse priva di data certa».
Ed evidenziava, altresì, che il rilievo dell’appellante principale non teneva conto «della circostanza che la nota del direttore dei lavori non che riferirsi alla raccomandata del 5 marzo 1999 dell’impresa», risultando «del tutto ininfluente la data in cui la raccomandata è stata ricevuta».
7.2. Con riferimento al secondo motivo dell ‘appello principale, la Corte d i Roma lo reputava non fondato.
Per il giudice di secondo grado, era evidente che il tribunale, pur avendo ritenuto intempestive le riserve, aveva però accolto la domanda subordinata di risarcimento del danno, che non era stata in alcun modo contrastata dall’appellante principale.
Per la Corte territoriale, dunque, «nel censurare la sentenza, l’appellante ha totalmente omesso di considerare la parte di motivazione nella quale il primo giudice ha espressamente affermato che le somme riconosciute per le riserve in questione, seppure d ichiarare intempestive, erano riconducibili all’accoglimento della domanda subordinata di risarcimento del danno da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. proposta in via subordinata dall’attrice».
Inoltre, l’appellante principale ave va «totalmente omesso di censurare tale decisione sotto il profilo dell’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della suddetta domanda risarcitoria»; ovvero aveva dimenticato «totalmente la parte di motivazione in cui il tribunale ha accolto le pretese risarcitorie per responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 c.c., come richiesto dall’attrice in via subordinata».
7.3. La Corte d’appello reputava non fondato anche il terzo motivo di appello principale, formulato a censura della parte del primo dictum ove erano state parzialmente accolte le riserve n. 2, n. 3 e n. 4, «nonostante lo stesso tribunale le abbia ritenute non tempestivamente proposte dall’impresa appaltatrice».
Per la Corte territoriale il motivo, «nel complesso, prescinde totalmente dalla motivazione impugnata in relazione alle suddette riserve n. 2, 3 e 4».
7.3.1. Con riferimento alla riserva n. 2, in relazione alla quale il tribunale aveva «liquidato, conformemente alle conclusioni del CTU, un risarcimento del danno di euro 350.564,50, la motivazione del tribunale si sarebbe soffermata sull’argomento sviluppato nella CTU e ripreso dal primo giudice, totalmente omesso nella censura pocanzi riportata».
Per il CTU, infatti, il progetto originario predisposto dalla stazione appaltante doveva essere definito come progetto di massima, ma non costituiva progetto
esecutivo dell’opera, né conteneva alcuna informazione in merito alla situazione dei sottoservizi.
Era vero che, in base al contratto, l’appaltatrice avrebbe dovuto provvedere alla redazione della progettazione esecutiva, previa indagine sui servizi, tuttavia l’ausiliare aveva rimesso al giudice la decisione, di carattere giuridico, se all’epoca della gara d’appalto fosse in vigore il contenuto della legge n. 109 del 1994, art. 16, ovvero se tale normativa dovesse ritenersi superata dall’accettazione dell’impresa, circa la mancata risp ondenza degli elaborati grafici progettuali forniti dalla committente.
Ebbene -proseguiva la corte – il tribunale aveva nondimeno preso posizione al riguardo, opinando per l’applicabilità della normativa richiamata e riportando il principio espresso dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 8779/2012, a mente della quale la committente aveva l’obbligo pubblicistico, integrativo delle pattuizioni contrattuali e intrasferibi le all’appaltatore, di predisporre un progetto esecutivo immediatamente cantierabile, non bisognoso, cioè, di ulteriori specificazioni.
Sarebbe stato dunque -soggiungeva la corte – onere della stazione appaltante, al di là delle specifiche previsioni contrattuali, predisporre i progetti esecutivi di tutte le opere.
L’appellante principale quindi puntualizzava, ancora, la corte – avrebbe «dovuto contrastare l’affermazione del Tribunale secondo la quale, in forza delle previsioni di cui alla legge 109/94 articolo 16, non poteva, fuori dei casi stabiliti, demandarsi all’appaltatore la progettazione esecutiva».
7.3.2. Con riferimento alle riserve numeri 3 e 4, a giudizio della Corte d’appello, il tribunale si era adeguato alle conclusioni del CTU.
Con riguardo ai danni derivanti dall’anomalo ritardato andamento dell’appalto, il CTU, a fronte di una domanda per un ritardo di 440 giorni, aveva riconosciuto viceversa un ritardo di 330 giorni non imputabile alla responsabilità dell’appaltatrice. Il ritardo di 330 giorni infatti si era determinato, giacché taluni degli enti chiamati ad intervenire per lo spostamento dei sottoservizi, avevano operato con tempi più lunghi di quelli previsti inizialmente.
Ne derivava dunque che era superflua la parte di motivo riguardante la richiesta dell’appaltatrice d i ristoro dei maggiori oneri per la ritardata consegna dei lavori, «dal momento che, come si è visto, detti oneri non sono stati riconosciuti dall’ausiliare e dal Tribunale».
Per il resto, il CTU aveva richiamato le conclusioni relative alla riserva n. 2, «circa la mancata predisposizione, da parte della committente, della progettazione esecutiva».
Concludeva pertanto la Corte che «la mancata censura da parte dell’appellante circa le ragioni poste a fondamento del ragionamento condotto dall’ausiliare rendono il motivo incompleto nella parte fondamentale, ossia la responsabilità dell’appaltante per non aver eseguito la p rogettazione esecutiva».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, del pari illustrato da memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 165 d.P.R. n. 554/1999; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.: in ogni caso violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 434 c.p.c. e 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360 n. 4, c.p.c., in quanto il motivo di appello era specifico e pertinente e andava esaminato nel merito e non dichiarato inconferente/incompleto».
Premette che il primo motivo d’appello concerneva, per un verso, la riserva n. 1 e, per altro verso, le riserve numeri 2, 3 e 4.
Ebbene, in ordine alla riserva n. 1, deduce che il Tribunale di Roma aveva ritenuto tempestiva la riserva, in quanto la sua ricezione era «incontestabilmente dimostrata dalla circostanza che il direttore dei lavori respingeva la richiesta con nota del giorno 11/3/1999».
E tuttavia -soggiunge – tale conclusione «è stata specificamente censurata da RAGIONE_SOCIALE nella parte in cui, a pag. 14 dell’atto d’appello» , aveva preso puntuale posizione circa tale erronea affermazione.
Ebbene, in ordine alle riserve n. 2, n. 3 e n. 4, deduce che i l motivo d’appello era parimenti specifico.
Deduce, segnatamente, che il tribunale aveva ritenuto tardive le riserve n. 2 e n. 4, in quanto l’iscrizione tempestiva sarebbe dovuta avvenire entro 15 giorni dalla data di ultimazione dei lavori, ossia dal 2/4/2001.
Deduce, segnatamente, che il tribunale aveva ritenuto intempestiva la riserva n. 3, in quanto il termine di consegna dei lavori risaliva al 18/2/1999.
Or dunque – adduce in dipendenza dell’acclarata tardività delle riserve anzidette il tribunale prima e la corte d’appello poi avrebbero «dovuto pronunciare necessariamente l’inammissibilità delle pretese in esse contenute, astenendosi dall’esame nel merito» , siccome «la tardività della iscrizione comporta la decadenza del diritto oggetto della riserva e priva il giudice del potere di decidere sulla fondatezza o meno delle ragioni dell’ Appaltatrice».
Conclude, pertanto, che la gravata decisione contrasta con gli artt. 342, 434 e 112 c.p.c., siccome della Corte d’appello negli enunciati termini ha omesso qualunque decisione in merito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la «nullità della sentenza e del procedimento: violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 434 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 in quanto il motivo di appello era specifico e pertinente andava esaminato nel merito e non dichiarato inconferente/incompleto; Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, dell’art. 133 del d.P.R. 554/1999 e degli articoli 24 e 25 del D.M. 145/2000, nonché dell’art. 2043 c.c., in relazione al motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in ogni caso».
Deduce, «fermo restando il valore assorbente del precedente mezzo di gravame», che, contrariamente a ll’assunto della Corte territoriale, ha censurato specificamente le parti del primo dictum «relative al merito delle riserve nn. 2, 3 e 4» e, dunque ha «contestato specificamente anche il risarcimento a titolo di danno extracontrattuale e le conclusioni del CTU» e tanto alla stregua del rilievo per cui l’onere di iscrizione «riveste carattere generale ed include, quindi, tutte le richieste tali da incidere su l compenso spettante all’imprenditore, quali che siano i titoli ed i componenti, nonché la ragione giustificatrice».
Deduce in ogni caso, con riferimento alle pretese azionate dall’appaltatrice con la riserva n. 3, ossia ai maggiori oneri correlati all’asserito notevole lasso di tempo trascorso tra la data di presentazione dell’offerta e quella di effettiva consegna dei lavori, che siffatte pretese sono destituite di fondamento, ‘in fatto’ « poiché la consegna dei lavori (…) è avvenuta nel rispetto dei termini contrattualmente convenuti» , ‘in diritto’, poiché « l’intempestiva consegna
conferisce all’Impresa il diritto al risarcimento dei danni solo nel caso che abbia espressamente manifestato la volontà di recedere dal contratto (…) ».
Deduce in ogni caso, con riferimento alle pretese azionate dall’appaltatrice con la riserva n. 2, ossia ai maggiori oneri per la maggiore durata dei lavori e per l’andamento anomalo dell’appalto, e con riferimento alle pretese azionate dall’appaltatrice con la riserva n. 4, ossia ai maggiori oneri per l’incremento del costo dei carburanti, lubrificanti e bitumati conseguente al maggior tempo occorso per l’ultimazione delle opere, che « la ritardata esecuzione dell’opera e l’anomalo andamento dell’appalto son o da imputarsi esclusivamente a fatto e colpa della ditta appaltatrice».
I motivi di ricorso sono evidentemente connessi; il che ne giustifica la disamina congiunta; in ogni caso, i medesimi mezzi di impugnazione sono fondati e meritevoli di accoglimento nei termini che seguono.
Questa Corte ha già da tempo puntualizzato quanto segue.
<> (così in motivazione Cass. 3.3.2006, n. 4702. Cfr. altresì Cass. 28.2.2018, n. 4718, secondo cui, in tema di appalto pubblico, la riserva concerne ogni pretesa di maggiori compensi, rimborsi o indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera; in particolare, dal combinato disposto degli artt. 53, 54 e 64 del r.d. n. 350 del 1895 si ricava la regola secondo cui l ‘ appaltatore, ove intenda contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’Amministrazione e avanzare pretese a maggiori compensi o indennizzi e danni, a qualsiasi titolo, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità, o in altri documenti, e ad esporre, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa nel titolo e nelle somme e, infine, a confermare la riserva all ‘ atto della sottoscrizione del conto finale. Infatti, la riserva non è prevista dal legislatore in funzione di mere esigenze contabili, bensì in ragione della tutela della RAGIONE_SOCIALE, che, nell ‘ esercizio della sua attività
discrezionale, deve essere posta in grado di esercitare prontamente ogni necessaria verifica e deve inoltre poter valutare, in ogni momento, l ‘ opportunità del mantenimento del rapporto di appalto ovvero del recesso dal contratto, in relazione al perseguimento dei fini di interesse pubblico) .
Su tale scorta non può che opinarsi nei termini seguenti.
Da un canto, ha errato senza dubbio la Corte di Roma allorché, in ordine al secondo motivo dell’appello principale, concernente le riserve n. 2, n. 3 e n. 4, ha affermato, benché abbia dato atto che «RFI focalizzato la doglianza solo in relazione alla responsabilità contrattuale, esclusa, come ritenuto dal primo giudice, stante l’intempestività nella proposizione delle tre riserve », che il secondo mezzo dell’appello principale fosse «carente quanto alla censura della motivazione del giudice nel suo complesso», giacché il principale appellante aveva dimenticato «totalmente la parte di motivazione in cui il Tribunale ha accolto le pretese risarcitorie per responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., come richiesto dall’attrice in via subordinata »
D’altro canto, si accredita senza dubbio la censura della ricorrente alla cui stregua l’ « acclarata tardività delle predette riserve (…) comporta, infatti, la decadenza del diritto oggetto della riserva (…) »; ed alla cui stregua « l’onere riguarda quindi tutte le pretese che siano ricollegabili all’esecuzione dell’opera, ivi compresi eventuali indennizzi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale originario (…) ».
Si rimarca, sotto altro profilo, che giusta l’elaborazione di questa Corte gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134 del 2012 ed applicabile ratione temporis nel caso di specie (si veda l’art. 54, 2° co., del d.l. cit.; la sentenza di primo grado è stata depositata il 15.10.2012 e l’appello è stato iscritto a ruolo nel 2013) , vanno
interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della pe rmanente natura di ‘ revisio prioris instantiae ‘ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., sez. 1, n. 3327 del 2023; Cass., Sez. U., 16 novembre 2017, n. 27199; Cass., sez. 6-3, 17 dicembre 2021, n. 40560; Cass., sez. 6-3, 30 maggio 2018, n. 13535).
Da ultimo, i medesimi principi sono stati estesi da questa Corte (Cass., Sez. U., 13 dicembre 2022, n. 36481) anche all’impugnazione avverso le pronunce del tribunale regionale delle acque pubbliche (TRAP) dinanzi al tribunale superiore delle acque pubbliche (TSAP).
Si è anche aggiunto che, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass., sez. 2, 28 ottobre 2020, n. 23781).
Trattandosi di error in procedendo è consentito a questa Corte l’accesso agli atti del fascicolo di merito, avendo la ricorrente provveduto a trascrivere,
almeno per stralci, il contenuto dell’atto di appello da essa redatto, nei passaggi in cui ha criticato la sentenza impugnata.
Pertanto, esaminando l’appello della RAGIONE_SOCIALE, per come riportato nel motivo di ricorso per cassazione, emerge che le argomentazioni del giudice di prime cure sono state tutte compiutamente censurate.
Con riferimento alla riserva n. 1, per la somma di euro 155.622,25, relativa ai maggiori oneri per spese generali determinati dal ritardo nella consegna dei lavori, la Corte d’appello ha ritenuto il motivo dell’appello principale privo dei requisiti di specificità ex art. 342 c.p.c.
Dall’atto d’appello emerge , viceversa, che la sentenza del tribunale, in relazione appunto alla riserva n. 1, era stata censurata in modo specifico dalla pagina 10 a pagina 15 del gravame.
Il Tribunale di Roma, infatti, aveva ritenuto la riserva tempestivamente proposta «atteso che la sua ricezione entro i termini stabiliti dall’art. 44 delle condizioni generali di contratto (decorrenti dalla data di consegna dei lavori) è incontestabilmente dimostrato dalla circostanza che il direttore dei lavori respingeva la richiesta con la nota del giorno 11/3/1999».
Tale passaggio era riprodotto a pagina 10 dell’atto d’appello.
A pagina 14 dell’appello principale si censura va specificamente la motivazione del tribunale, con riferimento alla riserva n. 1, e si affermava: «con la riserva n. 1 l’Impresa ha chiesto il riconoscimento di maggiori oneri per l’improduttivo esborso delle spese generali, per l’improduttivo vincolo dell’apparato produttivo e per l’aumento del costo delle materie prime in conseguenza del mutamento dell e condizioni di mercato tra la data di formulazione dell’offerta 16/12/1997 e l’inizio dei lavori 1/3/1999. I l verbale di consegna dei lavori del 18/1999 è stato
sottoscritto dall’impresa senza riserva benché i danni collegati al dedotto ritardo nella consegna fossero già ben conoscibili dall’impresa, per tali ragioni la riserva n. 1 deve ritenersi inammissibile».
Si aggiungeva poi che «in ogni caso, tale riserva doveva essere esplicitata entro 15 giorni dalla consegna dei lavori e dunque entro il 5/3/1999; al contrario, sebbene datata 5/3/1999, è stata ricevuta dalla Committente solamente in data 16/3/1999 a termini decadenziali già maturati. La circostanza evidenziata in sentenza secondo cui ‘il direttore dei lavori respingeva la richiesta con la nota del giorno 11/3/1999’, non prova in alcun modo che sia stata formulata tempestivamente entro il 5/3/1999 posto che non può certo considerarsi data certa quella ‘indicata’ dall’Impresa sulla riserva».
La Corte d’appello, provvedendo su tale primo motivo di appello principale, l’ha ritenuto non specifico , affermando che «il giudice di primo grado ha correttamente ritenuto che con la nota del direttore dei lavori di rigetto della riserva in data 11 marzo 1999, doveva ritenersi provata la ricezione diretta riserva prima di tale data, sicché la procedura di invio a mezzo di raccomandata poteva considerarsi superflua, ai fini della valutazione della tempestività della stessa».
La Corte territoriale ha poi aggiunto che «a tale considerazione, l’appellante non ha sostanzialmente risposto, essendosi limitata a rilevare che la raccomandata dell’impresa appaltatrice fosse priva di data certa».
Al contrario, il motivo d’appello, come riportato anche nel ricorso per cassazione sia pure per stralcio, ma evincibile dalla lettura del gravame, teneva conto proprio del fatto che la raccomandata del 5/3/1999 «è stata ricevuta dalla committente solamente in data 16/3/1999 a termini decadenziali già maturati».
In ordine alla data del 5/3/1999, poi, non poteva – per la appellante principale «certo considerarsi data certa quella ‘indicata’ dall’Impresa sulla riserva».
-In conclusione, il motivo di appello principale è del tutto specifico.
Altrettanto specifico risulta anche il motivo d’appello in ordine, da un lato, alla non tempestività delle riserve n. 2, 3 e 4; in ordine, dall’altro, alla non fondatezza delle domande di risarcimento del danno avanzata in via subordinata ex art. 2043 c.c. E tanto a prescindere -ben vero, con specifico riferimento alle riserve n. 2, n. 3 e n. 4 -dal rilievo del ricorrente «fermo restando il valore assorbente del precedente mezzo di gravame »,
Il tribunale, con una motivazione del tutto contraddittoria, aveva, da un lato, ritenuto non tempestive le riserve di cui ai numeri 2, 3 e 4, ed aveva , dall’altro, ritenuto fondate le domande di risarcimento del danno prospettate sulla base delle medesime ragioni, ex art. 2043 c.c.
Il tribunale, infatti, come risulta dall’atto d’appello di RAGIONE_SOCIALE, aveva ritenuto, con riferimento alle riserve n. 2 e n. 4, che «l’iscrizione tempestiva della riserva sarebbe dovuta avvenire entro 15 giorni dalla data di ultimazione dei lavori (2/4/2001), potendosi a tale data riconoscere all’impresa un sufficiente grado di conoscenza degli eventi lamentati».
Con riferimento alla riserva n. 3 avev a sottolineato che «ai sensi dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto, atteso che il termine di consegna dei lavori risale al 18/2/1999, sicché è da tale termine che l’impresa poteva lamentare il danno collegato al ritardo nella consegna».
Ma subito dopo lo stesso tribunale aveva accolto la domanda subordinata di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.
Ebbene, n ell’atto d’appello si censura va espressamente tale passaggio della motivazione, rilevando che «alla acclarata tardività delle predette riserve il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare necessariamente l’inammissibilità delle pretese in esse contenute, astenendosi dall’esame nel merito: la tardività della iscrizione comporta, infatti, la decadenza del diritto oggetto della riserva e priva il Giudice del potere di decidere sulla fondatezza o meno delle ragioni dell’Appaltatrice».
Nell’atto d’appello era riportata anche la pronuncia di questa Corte n. 4702 del 3/3/2006 ove si chiarisce che «in tema di appalto pubblico, la riserva concerne ogni pretesa di maggiori compensi, rimborsi o indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi situazione ne l corso dell’esecuzione dell’opera».
Con l’ulteriore precisazione che «lla luce delle suesposte argomentazioni l’impugnata sentenza si appalesa del tutto errata e contraddittoria poiché sebbene abbia chiaramente accertato e dichiarato la tardività delle riserve non ha conseguentemente pron unciato l’inammissibilità e/o la decadenza dei diritti fatti valere dall’Appaltatrice» (cfr. pagg. 16 e 17 dell’atto di appello di RAGIONE_SOCIALE).
Ciò sarebbe già sufficiente a far ritenere specifico l’atto d’appello principale.
In ogni caso, a pagina 37 dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE si prendeva posizione pur in ordine alla domanda subordinata di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Roma.
Si legge, infatti: «Richieste risarcitorie. In considerazione dei fatti innanzi esposti e dei principi normativi che regolano la materia de qua le risposte fornite dal CTU in primo grado i quesiti quinto e sesto, condivise dal Giudice a quo , appaiono del tutto errate e fuorvianti: alcun danno e alcuna maggiore onerosità,
infatti, è riconoscibile all’Impresa Appaltatrice in conseguenza del prolungamento dei lavori. In ogni caso, poi, è errato il calcolo dei giorni di ritardo effettuato dal CTU, così come correttamente rilevato dal consulente tecnico di parte nominato da RAGIONE_SOCIALE. Il CTU, invero, ha quantificato gli avversi danni recependo acriticamente le pretese attoree senza fornire chiarimento alcuno in ordine alla fondatezza e correttezza di tali importi».
Nell’atto d’appello si prosegu iva affermando che «er quanto attiene alla richiesta di vedersi riconosciuti ‘maggiori oneri derivanti dall’imprevista ed imprevedibile sfavorevole aumento dei cambi, e dell’incremento dei derivati del petrolio del cemento e dei materiali ferrosi’ si osserva che, fermo restando che il rischio dell’eventuale aumento del costo dei materiali era contrattualmente posto a carico dell’appaltatore, la Giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’eventuale indennizzo deve essere ‘subor dinato al duplice accertamento che vi sia stato un aumento dei costi dei materiali e della manodopera impiegati nella specifica attività considerata in misura superiore al decimo del prezzo convenuto e che tali aumenti non siano prevedibili in relazione al precedente andamento di quei prezzi e dalla vario atteggiamento della complessa svalutazione monetaria non è necessariamente legata nei suoi fattori causali valore di mercato’ Ebbene non v’è dubbio che l’assoluta carenza probatoria che ha accompagnato le domande dell’Impresa appaltatrice non può che comportare rigetto».
Sono state, quindi, adeguatamente e specificamente censurate anche le affermazioni del tribunale, con cui erano state riconosciute le voci di danno ex art. 2043 c.c., nonostante fossero state ritenute non tempestive le riserve relative proprio a tali voci di danno.
Non v’è dubbio, infatti, che le riserve altro non s ono che domande che l’appaltatore può proporre, in modo tempestivo, quando viene a conoscenza di
determinate circostanze foriere di danno oppure quando tali situazioni siano conoscibili, in base a criteri di media diligenza.
Cosicché -lo si è detto all’interno delle riserve possono essere inserite non solo voci contrattuali relative all’espletamento dell’appalto ma anche voci di danno ex art. 2043 c.c. derivate dall’esecuzione dell’appalto stesso.
Per questa Corte, infatti, l’appaltatore di opera pubblica, ove voglia contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’amministrazione oppure avanzare pretese comunque idonee ad incidere sul compenso complessivo spettantegli, è tenuto ad iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità (Cass., sez. 1, 22/5/2007, n. 11852); e ciò riguarda dunque -lo si è anticipato – anche maggiori compensi, indennizzi, rimborsi o danni (Cass., sez. 1, 12/6/2008, n. 15693; Cass., sez. 1, 3/3/2006, n. 4702; Cass., sez. 1, 28/2/2018, n. 4718).
È evidente, quindi, l’errore in cui è incorsa la Corte d’appello di Roma che, con riferimento alle riserve di cui ai numeri 2, 3 e 4, ha ritenuto che il motivo d’appello articolato da RAGIONE_SOCIALE non si fosse soffermato in alcun modo sulla domanda subordinata di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., la cui fondatezza era stata riconosciuta dal tribunale di Roma.
La Corte territoriale, infatti, ha osservato che «isulta evidente, pertanto, che il Tribunale, come dimostrato dal riferimento al ‘titolo risarcitorio’, ha accolto la domanda subordinata di risarcimento del danno da fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., proposta in via subordinata dalla società attrice. Com’è noto, la responsabilità contrattuale può concorrere con la responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., salva la prova, da parte del preteso danneggiato, del dolo o della colpa del preteso danneggiato, del danno ingiusto cagionato e del nesso causale».
Di qui, la Corte d’appello erroneamente afferma che «rbene, nel censurare la sentenza, l’appellante ha totalmente omesso di considerare la parte di motivazione nella quale il primo giudice ha espressamente affermato che le somme riconosciute per le riserve in questione, seppure dichiarate intempestive, erano riconducibili all’accoglimento della domanda subordinata di risarcimento del danno da fatto illecito cui all’art. 2043 c.c. proposta in via subordinata all’attrice».
Sempre in modo erroneo la Corte territoriale ha aggiunto che «arimenti, l’appellante ha totalmente omesso di censurare tale decisione sotto il profilo dell’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della suddetta domanda risarcitoria», sicché «n conclusione, il motivo è carente quanto alla censura della motivazione del giudice nel suo complesso, mentre RAGIONE_SOCIALE ha focalizzato la doglianza solo in relazione alla responsabilità contrattuale, esclusa, come ritenuto dal primo giudice, stante l’intempest ività nella proposizione delle tre riserve menzionate, dimenticando totalmente la parte di motivazione in cui il Tribunale ha accolto le pretese risarcitorie per responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., come richiesto dall’attrice in via subordi nata».
Come detto, invece, il motivo era particolarmente specifico, senza considerare che l’appello principale articolato dall’RFI è stato redatto persino rispettando il nuovo contenuto dell’art. 342 c.p.c., con l’indicazione del le «parti del provvedimento che si intendono appellare» (da pagina 10 a pagina 13), con l’ «indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata: inammissibilità delle riserve numeri 1, 2, 3 e 4» (da pagina 13 a pagina 17), con l’indicazione delle «modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado: accertamento della decadenza del diritto di parte
attrice» (pagina 18), con l’ «indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata: infondatezza delle pretese fatte valere nelle riserve numeri 2,3 e 4» (da pagina 18 a pagina 39), con l’indicazione delle «modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado: accertamento dell’infondatezza delle pretese dell’impresa appaltatrice» (pagina 39).
Peraltro, nell’atto d’appello risulta censurato anche il merito delle domande avanzate dall’appaltatrice, in via subordinata, ex art. 2043 c.c.
Si ribadisce che «la consegna dei lavori è avvenuta nel rispetto dei tempi concordati, atteso che la comunicazione della formale accettazione è stata ricevuta dall’appaltatrice in data 11/6/1998 e la consegna dei lavori avvenuta in data 18/2/1999» (pag ina 21 dell’appello).
Le richieste di danni vengono censurate anche con riferimento alla richiamata giurisprudenza di legittimità per cui, in caso di consegna tardiva dei lavori, è conferito all’appaltatore il diritto di recesso, per ottenere il rimborso dall’amministrazione appaltante delle spese. Spetta all’impresa il diritto al risarcimento dei danni «solo nel caso che abbia espressamente manifestato la volontà di recedere dal contratto (dichiarazione che ha valore di proposta di risoluzione del rapporto), mentre, in caso contrario, nulla può successivamente pretendere» (cfr. pagina 23 dell’atto d’appello).
Nell’atto d’appello si contesta anche l’affermazione del tribunale che, aderendo alle conseguenze del CTU «ha imputato alla stazione appaltante ritardi nell’esecuzione dell’opera per un presunto mancato dovere di cooperazione con l’appaltatore e, più in pa rticolare, per la mancata progettazione esecutiva connessa allo spostamento e al ripristino dei sottoservizi ed all’abbassamento della falda acquifera» (cfr. pagina 25 dell’appello).
L’appellante ha, infatti, dedotto che «nche tali conclusioni sono assolutamente errate atteso che la ritardata esecuzione dell’opera e l’anomalo andamento dell’appalto sono da imputarsi esclusivamente a fatto e colpa della ditta appaltatrice», con il richiamo anche agli articoli 1 e 12 lettera D del contratto ove si prevedeva che era precisione dell’impresa appaltatrice «provvedere alla ricerca e scopertura dei cavi elettrici, telefonici, di segnalamento, e simili, nonché di condotte idriche e di fluidi o cassa in genere» (pagina 25 dell’atto d’appello).
Con l’ulteriore precisazione per cui «nonostante tali attività rientrassero nella prestazione contrattuale a carico della ditta appaltatrice, la stazione appaltante, ancor prima di procedere alla consegna dei lavori, ha comunque reso edotta l’impresa di tutti gli elementi necessari all’individuazione dei sottoservizi interferenti con l’opera» (cfr. pagina 26).
Con l’aggiunta per cui nel verbale di ricognizione del 22/9/1998,6 mesi prima della consegna dei lavori, firmato dal legale rappresentante dell’appaltatrice senza eccezioni e riserve, «è stato precisato quanti e quali sottoservizi fossero presenti nella zona interessata dai lavori».
L’appello anche su questi punti risulta del tutto specifico.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME