Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8448 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8448 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 7178/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso il suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n.4377/2020 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 17-12-2020,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7-32024 dal consigliere NOME COGNOME, udito il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso,
OGGETTO:
vizi della cosa compravenduta
NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO
P.U. 7-3-2024
udito l’AVV_NOTAIO per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 2134/2014 depositata il 7-6-2014 il Tribunale di Santa Maria Capua Venere, in parziale accoglimento della domanda dell ‘ acquirente RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato la risoluzione del contratto di compravendita avente a oggetto partite di calcestruzzo fornite a febbraio 2006, per l’inadempimento della venditrice società RAGIONE_SOCIALE riferito a vizi del prodotto; ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dall’acquirente e ha condannato la venditrice alla rifusione delle spese di lite.
2.Ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE, che la Corte d’appello di Napoli ha deciso con sentenza n. 4377 del 17 -12-2020, rigettando la domanda di risoluzione del contratto e compensando le spese di lite di entrambi i gradi.
La Corte d’appello ha dichiarato che la sentenza impugnata risentiva dell’applicazione dei principi posti da Cass. Sez. U. 13533/2001 e Cass. 3373/2010, che facevano carico al convenuto n ell’azione redibitoria dell’onere probatorio di avere fornito prodotto esente da vizi; ha richiamato Cass. Sez. U. 11748/2019, secondo cui era il compratore che esercita l’azione di risoluzione a dovere provare i vizi lamentati. Ha considerato che il giudice di primo grado aveva preso in esame gli esiti delle indagini chimiche sul calcestruzzo eseguite unilateralmente dalla compratrice prima dell’instaurazione del giudizio e ha rilevato che la perizia stragiudiziale non aveva valore di prova, ma al più di mero indizio; ha aggiunto che non era utile disporre c.t.u. finalizzata a verificare quanto rilevato dal perito di parte, in quanto l’appellante venditrice contestava la genuinità dei campioni sui quali era stata fatta eseguire l’indagine dall’acquirente e sarebbe stata discutibile l’attendibilità degli esiti di indagine disposta a distanza di così considerevole lasso di tempo.
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di unico motivo.
Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale e con ordinanza interlocutoria n. 10607/2022, ritenuto che non ricorressero le ipotesi di cui all’art. 375 co.1 n. 1 e 5 cod. proc. civ., la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.
Nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. per la pubblica udienza del 7-3-2024 il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e ha depositato memoria illustrativa la controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli articoli 1490, 1495, 2967 c.c. in relazione all’art. 360 comma numero 3 c.p.c. Erronea interpretazione della Corte d’appello di Napoli, in ordine alla sentenza delle Sez. Un. 3-52019 n. 11748’ la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata abbia dato al materiale processuale un’interpretazione inaccettabile . Riconosce che il compratore che agisce ex art. 1492 cod. civ. è gravato dall’onere di dare prova dei vizi ed evidenzia che il giudice di primo grado aveva chiarito che la società compratrice aveva denunciato i vizi, che i vizi erano provati da due relazioni tecniche, che le prove testimoniali avevano dimostrato che il prodotto fornito non era idoneo all’uso, che la venditrice era stata invitata a ll’esecuzione di prove di laboratorio per un accertamento in contraddittorio con i tecnici della compratrice e non aveva incaricato un suo perito. Quindi evidenzia che la venditrice era sfuggita alla sua fondamentale obbligazione di consegnare un prodotto che fosse idoneo all’uso , rileva che la prova contraria che deve fornire il venditore, richiesta anche da Cass. Sez. U. 11748/2019, non è stata fornita e la Corte territoriale non se ne è avveduta; sostiene che perciò c’era stato un inadempimento della venditrice e aggiunge che tale
inadempimento è stato provato sia dalle testimonianze sia dalle numerose transazioni che la società RAGIONE_SOCIALE è stata costretta a redigere con i terzi per evitare nei suoi confronti azioni di danni.
2.Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Il motivo è infondato perché, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la sentenza impugnata non ha né violato né fatto erronea applicazione dei principi sull’onere probatorio in materia di azione di risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa venduta, in quanto ha dichiarato che l’onere della prova dei vizi era in capo al compratore e che nella fattispecie il compratore non aveva dato la relativa prova. In questo modo la sentenza ha richiamato e fatto esatta applicazione del principio posto da Cass. Sez. U-, Sentenza n. 11748 del 3-5-2019 (Rv. 653791-01) secondo la quale, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 cod. civ., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 cod. civ. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’e sistenza dei vizi. Non è corretto quanto deduce la ricorrente in ordine alla ‘prova contraria’ in capo al venditore richiesta dalle Sezioni Unite, in quanto le Sezioni Unite hanno dichiarato che la disciplina della compravendita non pone a carico del venditore nessun obbligo di prestazione relativa all’immunità della cosa da vizi e quindi non è possibile concepire la garanzia per vizi come oggetto di un dovere di prestazione; hanno dichiarato che l’art. 1476 cod. civ., laddove qualifica la garanzia per i vi zi come oggetto di un’obbligazione, va inteso non nel senso che il venditore assuma una obbligazione circa i modi di essere attuali della cosa, ma nel senso che egli è legalmente assoggettato all’applicazione dei rimedi in cui si sostanzia la garanzia; quindi hanno evidenziato che lo schema concettuale al quale ricondurre l’ipotesi che la cosa venduta risulti viziata non è quello dell’inadempimento di una obbligazione e la questione del riparto
dell’onere della prova deve essere risolta alla stregua del principio posto dall’art. 2967 cod. civ., secondo il quale chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; poiché il diritto alla risoluzione del contratto di compravendita che vuole fare valere il compratore che esperisca le azioni di cui all’art. 1492 cod. civ. si fonda sull’esistenza dei vizi, la prova di tale esistenza grava sul compratore.
Quindi, avendo la sentenza impugnata esattamente dichiarato che spetta al compratore provare i vizi della cosa venduta e avendo escluso che la prova fosse stata data, non sussiste il vizio lamentato ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. , ma la questione rimane nell’ambito della valutazione del materiale probatorio spettante al giudice di merito. Non sussiste il vizio di violazione di legge, che consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; non sussiste neppure il vizio di falsa applicazione di legge, che consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata- non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la corretta interpretazione; invece non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della disposizione e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 14-1-2019 n. 640 Rv. 652398-01, Rv. 652398-01, Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-03, Cass. Sez. L. 11-1-2016 n. 195 Rv. 638425-01).
La sentenza ha altresì ritenuto che nella fattispecie il compratore non avesse fornito la prova dell’esistenza dei vizi, ma le relative statuizioni non possono essere censurate con la proposizione di motivo ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 2697 cod. civ. Infatti, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod . civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma e non quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, perché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. L 19-8-2020 n. 17313 Rv. 658541-01, Cass. Sez. 3 29-52018 n. 13395 Rv. 649038-01). Nelle fattispecie la ricorrente, seppure deduca che la compratrice aveva dimostrato l’esistenza dei vizi, non formula il motivo di ricorso nel rispetto dei requisiti p osti dall’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., individuando il fatto o i fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti dei quali la sentenza impugnata avrebbe omesso l’esame e che avrebbero dimostrato i vizi della cosa venduta; quindi le sue deduzioni sono inammissibili, in quanto si risolvono in una mera proposta di diversa valutazione del materiale probatorio che, al contrario, non può essere oggetto di nuovo apprezzamento in sede di legittimità.
3.All’integrale rigetto del ricorso consegue, in applicazione del principio della soccombenza, la condanna della ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite relative al giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege. Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione