Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19247 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19247 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 34269/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso di lui nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 2287/2019 della Corte d’Appello di Firenze, depositata il 30-9-2019,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4-72024 dal consigliere NOME COGNOME,
OGGETTO:
compravendita di cosa mobile
RG. NUMERO_DOCUMENTO
P.U. 4-7-2024
udito il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, uditi l’AVV_NOTAIO per la ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Prato, accogliendo il ricorso di RAGIONE_SOCIALE, ha emesso il decreto ingiuntivo n. 1360/2006 con il quale ha condannato NOME COGNOME al pagamento di Euro 27.500,00 a titolo di prezzo per la vendita di cavallo da corsa, in forza di fattura datata 31-122005 e dichiarazione indirizzata all’U .N.I.R.E. di Roma di data 9-1-2004 firmata da NOME COGNOME e dal socio della venditrice NOME COGNOME.
Avverso il decreto ingiuntivo ha proposto opposizione NOME COGNOME, contestando il credito e deducendo nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ. di essere stata d’accordo con i soci della società per apparire l’intestataria del cavallo, così da poter dichiarare all’RAGIONE_SOCIALE di esserne proprietaria, in quanto per potere gareggiare nelle corse doveva risultare proprietaria del cavallo.
Il Tribunale di Prato ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo con sentenza n. 208/2010 depositata il 9-2-2010 e avverso la sentenza ha proposto appello NOME COGNOME.
2. La Corte d’appello di Firenze, dopo avere ammesso le prove orali riproposte dall’appellante e che non erano state ammesse dal giudice di primo grado, ha rigettato l’appello e condannato l’appellante alla rifusione a favore della società appellata delle spese del grado.
La sentenza ha dichiarato che le prove orali dedotte dall’opponente appellante erano state ammesse al fine di consentire alla stessa di provare la nullità del contratto, in quanto i relativi fatti erano stati
tempestivamente dedotti; ha dichiarato che l’esito delle prove non consentiva di accogliere la tesi dell’appellante, sulla quale incombeva l’onere di dimostrare la simulazione e, esaminate le dichiarazioni dei testimoni e il contenuto dei documenti, ha concluso che rimaneva anomala la circostanza che la vendita fosse avvenuta a titolo gratuito, senza corrispettivo, a fronte dell’impegno di NOME COGNOME di girare i premi al socio NOME COGNOME. Ha dichiarato che la vendita a titolo gratuito non era nulla e non andava confusa né con la donazione né con l’atto di liberalità; ha aggiunto che la circostanza non consentiva di revocare il decreto ingiuntivo, perché l’assenza di corrispettivo era stata allegata dall’appellante solo come causa di nullità del contratto e non vi era invece alcuna richiesta di accertamento del corrispettivo pattuito tra le parti. Infine la sentenza ha rigettato i motivi di appello relativi alla mancanza del potere di rappresentanza della società in capo a NOME COGNOME, il quale aveva sottoscritto la dichiarazione di vendita del cavallo a NOME COGNOME, dichiarando che la ratifica dell’attività svolta era possibile in quanto il contratto di vendita del cavallo non era nullo e l’eccezione del difetto di rappresentanza poteva essere sollevata solo dal falso rappresentato.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Reeeb di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 4-7-2024 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, svolto deducendo vizio ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 112, 342, 345, 112 cod. proc.
civ. per omessa pronuncia, ultrapetizione e contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la ricorrente evidenzia che la Corte d’appello ha ritenuto il contratto una vendita senza corrispettivo valida e lamenta che, nonostante ciò, non abbia revocato il decreto ingiuntivo, senza considerare che l’appellante chiedeva di accertare l’inesistenza dell’obbligazione di pagamento.
2.Con il secondo motivo, svolto deducendo vizio ex art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1418 e 1470 cod. civ., la ricorrente lamenta che la sentenza abbia rigettato la domanda di accertamento della nullità del contratto di compravendita per mancanza di accordo sul prezzo, per avere violato il principio secondo il quale la mancanza del prezzo determina la nullità della vendita per mancanza di uno dei suoi requisiti essenziali.
3.Con il terzo motivo, svolto deducendo vizio ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ. sull’onere della prova, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata, dopo avere qualificato il negozio a titolo gratuito, non abbia revocato il decreto ingiuntivo, senza considerare che l’opponente aveva chiesto di accertare l’inesistenza dell’obbligazione di pagamento. La ricorrente evidenzia che, anche a ritenere che l’ assenza di corrispettivo non comportasse la nullità del negozio, rimaneva il dato di fatto che, se il negozio era qualificato a titolo gratuito, non era consentito il coevo accoglimento della domanda di pagamento del corrispettivo, in quanto a quel punto il credito non poteva dirsi provato. Richiama i principi secondo i quali nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore ad avere la veste sostanziale di attore e a soggiacere ai relativi oneri probatori ed evidenzia che, poiché la società aveva sostenuto di avere venduto il cavallo, era obbligata a dimostrare il proprio diritto al pagamento. Aggiunge che la giustificazione posta dalla sentenza a fondamento della statuizione, riferita al fatto che non vi era
stata richiesta di accertamento del corrispettivo, oltre a non considerare che l’onere della prova era a carico del creditore, non aveva neppure considerato che l’appellante aveva chiesto anche di accertare che nulla doveva alla società ingiungente.
4.Con il quarto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. per vizio di motivazione e ai sensi dell’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. per omesso esame di fatto decisivo, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello sia giunta alla con clusione di escludere la simulazione attraverso una disamina delle prove viziata; ciò in quanto la mancanza del prezzo e la mancanza dell’ animus donandi erano le prove regine della simulazione e dall’istruttoria era emerso che non si era trattato di una vendita effettiva.
5. Con il quinto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 1398 cod. civ., la ricorrente lamenta che sia stato rigettato il suo motivo di appello con il quale aveva dedotto che la società non potesse ratificare la condotta del falsus procurator; evidenzia che la gratuità della cessione rendeva nullo il contratto di vendita e perciò il contratto non poteva essere ratificato; aggiunge che, qualora la mancanza del potere rappresentativo sia acquisita agli atti, il giudice può tenerne conto anche in assenza di specifica deduzione della parte interessata.
6.Con il sesto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 112 cod. proc. civ. per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e per omessa pronuncia, la ricorrente lamenta che, a fronte della richiesta di accertare l’inesistenza dell’obbligazione di pagamento, la Corte abbia dichiarato che la richiesta non era presente in atti.
7.Il terzo motivo, esaminato logicamente per primo, è ammissibile in quanto, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, individua in modo specifico la violazione di legge attribuita alla
sentenza impugnata senza richiedere una ricostruzione in fatto diversa da quella eseguita dalla sentenza impugnata. Il motivo è altresì fondato, con conseguente assorbimento di tutti gli altri motivi.
La sentenza impugnata ha accertato che le parti avevano concluso un contratto, che ha qualificato ‘vendita’ , ‘a titolo gratuito, senza corrispettivo, a fronte dell’impegno di NOME COGNOME di girare i premi a NOME COGNOME‘ . Diversamente da quanto sostenuto dalla società controricorrente, la sentenza svolge tale accertamento di fatto in modo chiaro e inequivocabile e senza recepire il diverso accertamento che era stato svolto dal giudice di primo grado, in quanto giunge a questa esplicita conclusione (pag. 7 in fine) dopo avere esaminato tutte le risultanze istruttorie, dando atto che vi era tale ‘anomala circostanza, accreditata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME; di seguito la sentenza dichiara che la vendita a titolo gratuito non è nulla e dichiara di non potere revocare il decreto ingiuntivo perché l’assenza di corrispettivo era stata allegata dall’appellante solo come causa di nullità del contratto e perché l’appellante non aveva chiesto l’accertamento del corrispettivo pattuito.
Posti questi dati, non risulta necessaria la disamina delle questioni sollevate dalla ricorrente con il secondo motivo, in ordine alla nullità della vendita in mancanza di prezzo, in quanto è evidente che nell’intento della sentenza impugnata l’utilizzo del termine ‘vendita’ indica ‘contratto che ha trasferito la proprietà’ e ‘a titolo gratuito’ indica ‘senza obbligazione di pagamento del prezzo’, perché la stessa sentenza dà pure atto che il soggetto che acquistava la proprietà si obbligava a versare al socio della società i premi che avrebbe vinto con il cavallo da corsa oggetto del negozio.
Quindi la sentenza, accertando la conclusione di contratto avente questo contenuto, ha accertato l’esistenza di un accordo che non comportava l’obbligo a carico del soggetto che acquistava la proprietà
di pagare prezzo, ma comportava l’obbligo di versare i premi eventualmente vinti al socio della società che trasferiva la proprietà dell’animale . Ciò necessariamente ha comportato che la società creditrice, la quale aveva agito per ottenere il pagamento del prezzo del bene compravenduto, non aveva assolto all’onere probatorio su di essa gravante, non avendo dimostrato il suo diritto al pagamento del prezzo. E’ principio acquisito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perché è il creditore opposto ad avere la veste sostanziale di attore e a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto al quale compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito; quindi, le difese con le quali l’opponente miri a evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato dalla controparte non si collocano sul versante della domanda, che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione (Cass. Sez. 3 24-11-2005 n. 24815 Rv. 585590-01, Cass. Sez. 1 3-2-2006 n. 2421 Rv. 586808-01, per tutte). Nella fattispecie la società ingiungente ha agito sostenendo di avere diritto al pagamento del prezzo e fin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo l’opponente ha contestato di essere obbligata a tale pagamento; quindi la Corte d’appello, nel momento in cui ha accertato , sulla base delle risultanze probatorie, che il contratto concluso dalle parti non prevedeva il pagamento del prezzo richiesto dalla società, doveva prendere atto del fatto che l’attrice non aveva assolto all’onere probatorio su di essa gravante, accogliendo l’appello e revocando il decreto ingiuntivo. La giustificazione posta dalla sentenza impugnata alla mancata revoca del decreto ingiuntivo, riferita al fatto che ‘l’assenza di corrispettivo è stata allegata dall’appellante soltanto come causa di nullità’ e non vi era ‘alcuna r ichiesta di accertamento del
corrispettivo pattuito tra le parti’ è evidentemente errata, anche a prescindere dalla considerazione che l’appellante aveva chiesto l’accertamento di nulla dovere; ciò per la ragione che l’affermazione si è risolta nel riconoscere alla società appellata il diritto a trattenere un prezzo che non solo non aveva dimostrato di avere diritto di richiedere, ma era stato accertato in causa non essere dovuto.
8.Dalle ragioni svolte consegue anche che sussistono i presupposti per decidere la causa nel merito ex art. 384 co. 2 cod. proc. civ., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto. Poiché la società ingiungente non ha dimostrato il diritto al pagamento del prezzo richiesto, deve essere accolta l’opposizione proposta da NOME COGNOME, revocando il decreto ingiuntivo emesso a suo carico dal Tribunale di Prato e condannando la società ingiungente alla rifusione a suo favore delle spese di lite di primo e di secondo grado, in applicazione del principio della soccombenza.
In applicazione del principio della soccombenza la società controricorrente deve essere condannata anche alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, in dispositivo liquidate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta da NOME COGNOME e revoca il decreto ingiuntivo opposto; condanna RAGIONE_SOCIALE alla rifusione a favore di NOME COGNOME delle spese di lite di primo grado liquidate per compensi in Euro 4.500,00 e di secondo grado liquidate in Euro per compensi 6.000,00, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna la controricorrente alla rifusione a favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per
esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione