LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Onere della prova vendita: chi dimostra il difetto?

Una società venditrice di macchinari industriali si è vista contestare la risoluzione unilaterale di un contratto di acquisto da parte di una società di leasing. Il motivo era la presunta non conformità del bene, in particolare una data di fabbricazione sulla marcatura CE ritenuta non veritiera. La Corte di Cassazione ha chiarito che, in un caso del genere, l’onere della prova vendita spetta al venditore. Se il venditore contesta la risoluzione stragiudiziale dell’acquirente, è il venditore stesso a dover dimostrare di aver adempiuto correttamente alla propria obbligazione, fornendo un bene conforme a quanto pattuito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Onere della prova vendita: la Cassazione chiarisce chi deve dimostrare il difetto

Quando si acquista un bene, specialmente se di valore elevato come un macchinario industriale, la conformità a quanto pattuito è essenziale. Ma cosa succede se l’acquirente contesta un difetto e risolve il contratto? Su chi grava l’onere della prova vendita? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un’ipotesi particolare: quella in cui non è l’acquirente a fare causa, ma il venditore che contesta la legittimità della risoluzione stragiudiziale. La decisione ribalta l’onere probatorio, ponendolo a carico del venditore che deve dimostrare di aver consegnato un bene esente da vizi.

I fatti del caso: la vendita di un macchinario contestato

Una società specializzata nella vendita di macchinari industriali vendeva a una società di leasing una pressa cesoia per un valore di oltre 300.000 euro. Il contratto prevedeva il pagamento entro 15 giorni dalla ricezione della documentazione. Tuttavia, la società acquirente, dopo aver ricevuto il bene, comunicava di non voler procedere all’acquisto e di considerare il contratto risolto. La ragione risiedeva nella scoperta che il macchinario non era conforme ai requisiti richiesti, in particolare perché la data di fabbricazione riportata sulla targhetta di marcatura CE (anno 2006) era risultata non veritiera.

La società venditrice, ritenendo la risoluzione illegittima, citava in giudizio l’acquirente per ottenere il risarcimento dei danni. In primo grado, il Tribunale dava ragione alla venditrice, ma la Corte d’Appello ribaltava la decisione, accogliendo le ragioni della società di leasing.

L’inversione dell’onere della prova vendita

Il fulcro della controversia legale riguardava l’onere della prova vendita. La società venditrice sosteneva che, secondo un noto orientamento giurisprudenziale, spetta al compratore che agisce per la risoluzione del contratto dimostrare l’esistenza dei vizi del bene. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che tale principio non si applica al caso di specie.

La situazione era infatti differente: non era stata l’acquirente a iniziare la causa per chiedere la risoluzione, bensì la venditrice a contestare la legittimità della risoluzione già avvenuta in via stragiudiziale. In questo scenario, i ruoli processuali e l’onere probatorio si invertono.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società venditrice, confermando la sentenza d’appello e stabilendo un principio chiaro in materia di onere della prova vendita.

le motivazioni

I giudici hanno spiegato che quando un debitore (in questo caso, l’acquirente che doveva pagare il prezzo) si avvale dell’eccezione di inadempimento per giustificare la mancata esecuzione della sua prestazione, i ruoli si invertono. È il creditore (la venditrice che agisce in giudizio) a dover provare il corretto adempimento della propria obbligazione.

In altre parole, poiché la società acquirente aveva risolto il contratto perché il bene era viziato (data di fabbricazione falsa), e la venditrice contestava questa risoluzione, era onere della venditrice stessa dimostrare che il macchinario consegnato era perfettamente conforme a quello pattuito, ovvero che fosse stato realmente fabbricato nel 2006. Non essendo stata fornita tale prova, la risoluzione operata dall’acquirente è stata ritenuta legittima.

La Corte ha inoltre sottolineato la gravità del vizio. Una data di fabbricazione non veritiera sulla marcatura CE non è un difetto di poco conto, ma una violazione che incide sulla conformità e sulla legittima circolazione del bene, in contrasto con le direttive comunitarie che impongono di indicare l’anno effettivo di conclusione del processo di fabbricazione.

le conclusioni

L’ordinanza stabilisce un importante principio a tutela dell’acquirente. Se un compratore risolve unilateralmente un contratto per un grave inadempimento del venditore (come la consegna di un bene non conforme), e il venditore lo cita in giudizio contestando tale risoluzione, spetta al venditore dimostrare la fonte del suo diritto e il suo esatto adempimento. L’acquirente convenuto in giudizio dovrà semplicemente allegare l’inadempimento della controparte. Questa decisione rafforza la posizione di chi subisce un inadempimento contrattuale, chiarendo le dinamiche processuali sull’onere della prova in caso di vendita di beni difformi.

Se l’acquirente risolve un contratto fuori dal tribunale per un difetto del bene, e il venditore fa causa, chi deve provare cosa?
Secondo la Corte, in questo caso l’onere della prova si inverte. È il venditore che ha iniziato la causa a dover dimostrare di aver adempiuto correttamente al contratto, cioè di aver consegnato un bene privo di vizi e conforme a quanto pattuito.

Una data di fabbricazione errata sulla marcatura CE è un difetto abbastanza grave da giustificare la risoluzione del contratto?
Sì. La Corte ha ritenuto che una data di fabbricazione non veritiera su una marcatura CE costituisce un inadempimento rilevante. Questo vizio non solo rende il bene non conforme a quello ordinato, ma ne compromette anche la legittima circolabilità, violando normative specifiche.

Qual è la differenza tra l’azione di risoluzione avviata dal compratore e la contestazione della risoluzione stragiudiziale da parte del venditore?
Nel primo caso, è il compratore che agisce in giudizio a dover provare l’esistenza del difetto. Nel secondo caso, quando è il venditore a contestare la risoluzione già comunicata dal compratore, è il venditore stesso a dover provare di aver adempiuto correttamente, poiché sta cercando di far valere il suo diritto al pagamento del prezzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati