Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28643 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28643 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5337/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del Consiglio d’amministrazione, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, incorporante per fusione di RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE d’appello di FIRENZE n. 2293/2020, depositata il 16/12/2020 e notificata il 18/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti per brevità CeG) conveniva la RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata da RAGIONE_SOCIALE, a sua volta incorporata per fusione da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per avere la stessa risolto unilateralmente il contratto di acquisto di una pressa cesoia completa di accessori, il cui corrispettivo, comprensivo di IVA, era stato fissato in euro 309.600,00.
Il contratto prevedeva il pagamento del corrispettivo entro 15 giorni dal ricevimento della documentazione relativa al bene acquistato; la CeG, atteso l’inutile decorso di detto termine, sollecitava il pagamento alla convenuta; quest’ultima comunicava per iscritto che non intendeva procedere all’acquisto e di considerare risolto il contratto, avendo riscontrato che il bene non era compatibile coi requisiti richiesti.
La pressa veniva successivamente alienata alla società RAGIONE_SOCIALE per il corrispettivo complessivo di euro 309.600,00, la RAGIONE_SOCIALE agiva contro la RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al risarcimento del danno che quantificava in euro 20.635,68, dolendosi del fatto che la convenuta avesse dichiarato di non volere adempiere senza alcuna motivazione.
La società di leasing, costituitasi in giudizio, evidenziava che la ragione del suo rifiuto era da individuarsi nella accertata contraffazione del numero di matricola e dell’anno di costruzione del macchinario e nella inesattezza della Dichiarazione CE in quanto
le direttive cui essa faceva riferimento erano state abrogate all’epoca della messa in commercio del bene.
Disposta C.T.U., il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1622/2017, accoglieva la domanda attorea, ritenendo, sulla scorta delle risultanze della C.T.U. oltre che dal raffronto delle fotografie presenti in atti, che il macchinario non presentava alcuna contraffazione e che anche la dichiarazione di conformità non conteneva inesattezze; accertava l’inadempimento della convenuta che aveva causato all’attrice una perdita finanziaria di euro 20.635,68 per essere stata costretta a ricorrere ad un finanziamento.
La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza n. 2293/2020, depositata il 16/12/2020 e notificata il 18/12/2020, ha accolto l’appello della RAGIONE_SOCIALE, reputando, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, che l’appellata aveva l’onere di dimostrare l’anno di costruzione del macchinario e l’autenticità della targhetta di identificazione e che detta prova non era stata fornita. Ha concluso quindi che la risoluzione unilaterale del contratto da parte della RAGIONE_SOCIALE era legittima, non essendo stato provato che la pressa-cesoia era stata fabbricata nel 2006 ed essendo la targhetta di marcatura CE risultata non contraffatta, ma viziata dalla inveritiera indicazione della data di fabbricazione.
La CeG ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi, illustrati con memoria.
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunziano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1476, 1490 e 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La società ricorrente imputa alla corte territoriale di non avere fatto corretta applicazione della distribuzione dell’onere della prova e, in particolare, di avere deciso in contrasto con Cass., Sez. Un., n. 11748/2019, secondo cui il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo, per vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 cod.civ., è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei suddetti vizi.
Aggiunge che l’eventuale fabbricazione del macchinario in data antecedente al 2006 non avrebbe consentito di ritenere integrata la ipotesi di vendita di aliud pro alio , non essendo stata fornita alcuna prova in corso di causa circa l’essenzialità della data di costruzione del bene rispetto alla sua idoneità a svolgere la funzione cui era destinato, anche in considerazione del fatto che oggetto della vendita, risalente al 2011, era un bene usato e oggetto di aggiornamento, di verifica e di collaudo da parte della fornitrice.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta «la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1° n. 3 c.p.c. in riferimento agli artt. 132 c.p.c.,1476, 1490 e 2697 c.c.».
Sostiene che, con motivazione meramente apparente, la corte d’appello l’abbia ritenuta inadempiente, muovendo dall’insussistenza della prova della data di costruzione del macchinario per inferirne che era stato costruito prima del 2006 e che i dati riportati nella targhetta originariamente apposta sul macchinario erano falsi.
Aggiunge che, trattandosi di vendita di un bene usato, il fatto che esso fosse stato costruito prima del 2006 potrebbe «al massimo costituire vizio della cosa venduta, ma non certo comportare l’assoluta inidoneità del bene all’uso cui è destinato; di
conseguenza considera errato l’assunto secondo cui «l’esatto adempimento da parte di CeG postulava la corrispondenza delle caratteristiche del bene a quelle dell’ordine», perché l’acquirente avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza dei vizi e la loro rilevanza.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, sono infondati.
Innanzitutto, non è pertinente il richiamo di Cass. n. 11748/2019, perché nella specie non era stata l’acquirente ad agire in giudizio per invocare la risoluzione per inadempimento del contratto, bensì l’odierna ricorrente a contestare la legittimità della risoluzione stragiudiziale del contratto, sicché era suo l’onere di dimostrare l’esatto adempimento.
Non costituisce motivo per ritenere diversamente il fatto che solo in sede giudiziale la società acquirente avesse esplicitato le ragioni per cui aveva ritenuto di sciogliersi dagli obblighi assunti unilateralmente con contratto, dovendosi intendere eccepito da parte sua l’inadempimento della CeG.
Sul punto è utile richiamare i granitici principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riparto degli oneri probatori ex art. 2697 cod.civ.: in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Nell’ipotesi in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod.civ. sono invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare
l’altrui inadempimento, ed il creditore agente avrà l’onere di dimostrare il proprio adempimento.
Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533).
Le restanti censure si muovono sul crinale degli accertamenti merituali, trattandosi di tentativi di contestare che la data di costruzione del bene non fosse determinante atteso che il bene era usato, senza contestare che nella nota di accettazione dell’ordine si facesse riferimento al 2006 come anno di costruzione e vieppiù senza confronto alcuno con l’affermazione contenuta in sentenza che non poteva esservi equivalenza tra la vendita di un bene costruito nel 2006 e quella di un bene revisionato nel 2006 o con quella di un bene con data di costruzione e di revisione totalmente incerta (p. 11) .
Il percorso argomentativo che ha portato il giudice a quo a ritenere legittimamente risolto il contratto si comprende e quindi resiste alla censura sotto il profilo motivazionale mossagli dalla ricorrente: il bene venduto è risultato non conforme a quello acquistato e non legittimamente circolabile (p. 12 della sentenza), perché la pressa-cesoia era stata fabbricata prima del 2006 e la targhetta CE, benché non contraffatta, non riportava veritieramente la data di fabbricazione, ma verosimilmente quella di revisione, in contrasto con l’allegato 1, punto 1.7.3 della Dir. 2006/41/CE che impone che le indicazioni di marcatura riferiscano l’anno di costruzione, cioè l’anno in cui si è concluso il processo di fabbricazione, e fa divieto di antedatare o postdatare la data di costruzione della macchina al momento dell’apposizione della marcatura CE.
I riferiti snodi argomentativi dimostrano che il giudice a quo ha ritenuto sussistenti i presupposti per risolvere il contratto e che quindi ha valutato, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, l’inadempimento dell’odierna ricorrente come solutoriamente rilevante.
In altri termini, la corte d’appello ha ritenuto che la pressa consegnata, oltre ad essere diversa da quello oggetto dell’accordo intercorso tra le parti, era anche sprovvista di una valida marcatura CE incidente sulla attitudine ad assolvere la sua funzione economico-sociale assicurandone, così, la circolabilità. Ha implicitamente escluso che nel caso di specie ricorresse un mero vizio nell’esecuzione del contratto costituente inesatto adempimento delle obbligazioni assunte dal venditore, individuando, invece, una violazione dell’accordo, rilevante ai sensi dell’art. 1455 cod.civ., che ha legittimato la parte acquirente a sciogliersi unilateralmente dal contratto.
3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; il giudice a quo avrebbe omesso di considerare che nella sua comparsa di risposta la compratrice aveva affermato di aver risolto unilateralmente il contratto perché il suo perito di parte aveva ritenuto la cesoia non vendibile, non noleggiabile non concedibile in uso e che la targa CE era stata contraffatta, in quanto la cesoia non era conforme alle normative in materia di sicurezza, e che la non conformità era stata smentita con la produzione del documento NUMERO_DOCUMENTO che faceva espresso riferimento alla normativa anche comunitaria vigente al momento della vendita corrispondente in tutto e per tutto a quella indicata all’atto della formulazione dell’ordine.
Il motivo è infondato.
Innanzitutto, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, il giudice a quo ha tenuto conto del fatto che la RAGIONE_SOCIALE aveva specificato le ragioni per cui aveva inteso risolvere il
contratto solo costituendosi in giudizio, limitandosi in precedenza a indicazioni generiche in ordine alla non vendibilità della pressocesoia, tant’è che ha compensato per questa ragione le spese di lite del primo grado e della C.T.U.
Inoltre, pur non ritenendo la targhetta CE contraffatta (cioè illegittimamente corretta), l’ha considerata non conforme alle prescrizioni della dir. n. 2006/41/CE, in quanto essa non recava veritieramente la data di fabbricazione del bene.
Della consegna del documento nNUMERO_DOCUMENTO in sostituzione di quello di quello recante il nNUMERO_DOCUMENTO, asseritamente diverso da quello esaminato dal perito di parte, non si fa menzione da parte del giudice, ma ciò non ne inficia il ragionamento, per la ragione assorbente che non dimostra che la presso-cesoia consegnata alla RAGIONE_SOCIALE fosse conforme a quella oggetto del contratto né che la marcatura CE indicasse quale data di fabbricazione il 2006. Ciò non consente di attribuire al fatto asseritamente omesso i caratteri del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass 20/06/2024, n. 17005; Cass. 23/04/2025, n. 10726; Cass. 27/04/2025, n. 11036).
All’inammissibilità e all’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate, in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00 ( di cui euro 3.000,00 per onorari ), oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 30 settembre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME