Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26525 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29252/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO – DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO -DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
INTESA
contro
SANPAOLO
PROVIS
SPA
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 1580/2022 depositata il 22/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La società RAGIONE_SOCIALE, ora in liquidazione, ha stipulato due contratti di RAGIONE_SOCIALE immobiliare con l’allora società RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE.
La società di RAGIONE_SOCIALE ha domandato la risoluzione dei contratti per inadempimento della società utilizzatrice, con condanna della medesima alla restituzione degli immobili oggetto del contratto.
La società RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’applicazione dell’articolo 1526 del codice civile, con conseguente restituzione dei canoni pagati, nonché l’accertamento della nullità del finanziamento a causa del superamento dei tassi soglia, e dunque della natura usuraria del prestito.
1.2.- Il Tribunale di Firenze ha qualificato il contratto come RAGIONE_SOCIALE traslativo, con conseguente applicazione dell’articolo 1526 del codice civile; ha dunque riconosciuto un credito alla società utilizzatrice relativo ai canoni corrisposti e lo ha compensato con il debito di quest’ultima verso la concedente, sia per il deterioramento del bene, sia per il canone di occupazione successivo alla risoluzione, sia infine per l’equo compenso per il godimento del bene.
1.3.- Ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE, contestando il valore di deprezzamento del bene come accertato dal CTU, ribadendo che il contratto è affetto da nullità per violazione delle norme antiusura.
1.4.La corte d ‘ appello ha solo parzialmente accolto l’impugnazione, riconoscendo un importo inferiore alla società RAGIONE_SOCIALE per via della duplicazione effettuata in primo grado tra deprezzamento e decremento di valore del bene, rigettando per il resto l’impugnazione.
1.5.- Avverso la decisione della corte di merito propone ora ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, affidato a quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del credito, che ha presentato anche memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1.- Con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione dell’articolo 1526 del codice civile.
Si duole della valutazione operata dal CTU relativamente al deprezzamento del bene.
Lamenta che la corte di merito ha violato i criteri legali d’interpretazione sulla base dei quali va operata la stima de qua , da effettuarsi in base al valore di mercato, come previsto dall’articolo 1526 del codice civile.
Si duole altresì che il giudice di appello di non abbia proceduto alla rinnovazione della CTU.
Il motivo è inammissibile.
Atteso che l’articolo 1526 cc non prevede affatto un criterio di valutazione del deprezzamento, tantomeno basato su valori di mercato, va osservato che la censura si risolve in una critica ai criteri utilizzati dal consulente tecnico, che già il giudice di merito ha ritenuto generici a smentire la valutazione fatta dal consulente d’ufficio circa il deprezzamento dell’immobile. Con
la conseguenza che risulta proposta una censura concernente un accertamento tecnico, e dunque un giudizio di fatto, inammissibile nella presente sede di legittimità.
Senza sottacersi che la corte di merito ha invero motivato in ordine alla prestata adesione alla CTU, ravvisando corretti i criteri cui il CTU ha fatto nella specie ricorso.
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente prospetta violazione degli articoli 183 del codice di procedura civile, dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815 del codice civile.
Nel giudizio di merito è stata posta la questione della nullità del contratto per violazione delle norme antiusura, e sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno rigettato la relativa domanda riconvenzionale ritenendola non provata.
I giudici di appello hanno tra l’altro osservato che il tasso soglia non potesse essere considerarsi quale fatto notorio, trattandosi di un tasso stabilito dai decreti ministeriali di volta in volta diversi.
Hanno altresì posto in rilievo che la ricorrente ha erroneamente dedotto il superamento del tasso soglia attraverso la somma degli interessi moratori e di quelli corrispettivi, essendo altresì provato che gli interessi moratori non sono mai stati corrisposti; e che la mera allegazione di una perizia di parte non può di per sé costituire prova esclusiva o sufficiente della natura usuraria degli interessi.
Questa ratio è contestata dalla ricorrente sostenendo che, una volta allegato il fatto, l’accertamento della nullità, e dunque del superamento del tasso soglia deve essere compiuto d’ufficio da parte del giudice d’appello , ovvero comportare la rimessione a quello di primo grado per l’espletamento della CTU; e che il tasso soglia è fatto notorio proprio perché individuato da decreti ministeriali
Il motivo è infondato.
Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare, ‘Nelle controversie relative alla spettanza e alla misura degli interessi moratori, l’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che il debitore che intenda dimostrare l’entità usuraria degli stessi è tenuto a dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale relativa agli interessi moratori e quelli applicati in concreto, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato e gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento, mentre la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto’ (Cass. sez. un. 19597/ 2020).
Ne consegue che correttamente il giudice di merito ha ritenuto da parte attrice nella specie non adeguatamente provata la natura usuraria, non avendo rispettato tale onere probatorio, senza nemmeno dedurre quale fosse il tasso soglia indicato dai decreti ministeriali.
Vero è che i decreti ministeriali, insieme a una perizia di parte, sono stati depositati in appello, ma è altresì vero che tale produzione è stata dalla corte d’appello correttamente considerata tardiva, nell’osservare che seppure non tardiva la contestazione della CTU in secondo grado- nulla era stato invece eccepito nel giudizio precedente- la parte è comunque incorsa nelle preclusioni proprie del giudizio d ‘ appello quanto alla produzione di documenti nuovi.
Il diritto della parte, che non abbia rispettato i termini imposti dal giudice per le osservazioni alla CTU, di fare tali osservazioni in appello, vale ovviamente quanto agli argomenti difensivi, ossia alle osservazioni previste dall’articolo 195 , 3^ comma, cpc (Cass. sez. Un. 5624/ 2022), e non alla produzione di prove, volte anch ‘ esse a contestare la consulenza, non prodotte nei termini.
Va precisato al riguardo che, proprio perché il tasso soglia risulta da quei decreti, non può essere oggetto di un fatto notorio, che è un fatto di conoscenza pubblica e non già un fatto che risulta da fonti amministrative o regolamentari specifiche; né può dirsi che il tasso soglia deve essere oggetto di conoscenza da parte del giudice secondo il principio iura novit curia in quanto i decreti ministeriali, che contengono quelle indicazioni, non sono atti normativi di cui il giudice debba avere conoscenza.
2.3.- Con il terzo motivo la ricorrente prospetta violazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815 del codice civile.
Il giudice di appello ha ritenuto non provata o comunque infondata la domanda di nullità del finanziamento per superamento del tasso soglia.
La ricorrente censura questa ratio sostenendo di non avere mai prospettato di dover sommare gli interessi moratori a quelli corrispettivi ma semplicemente di avere chiesto la verifica del tasso effettivo globale, cioè comprensivo di spese commissioni ed altri ed altre remunerazioni.
Il motivo è inammissibile.
Il giudice d ‘ appello ha ritenuto di non dover accogliere la domanda di nullità per violazione delle norme antiusura per via del fatto che la stessa non era adeguatamente supportata da sufficienti allegazioni circa il superamento del tasso.
E questa ratio è rimasta priva di idonea doglianza, in quanto, a prescindere dalla circostanza che la ricorrente abbia o meno fatto riferimento al tasso di mora, nella formulata censura non risulta invero indicato come è stato calcolato il tasso effettivo globale, quello che si assume essere invero il tasso da prendere a riferimento ai fini del calcolo e della verifica della usura.
La circostanza che, come riportato in ricorso nei precedenti atti di causa, il tasso effettivo globale fosse dell’ 8,606% è invero dato privo di riscontro, non risultando chiarito come a tale dato sia dato pervenire. Come del pari deve dirsi con riferimento a tutte le altre voci indicate nella domanda di nullità del contratto, dovendo ribadirsi che la produzione documentale fatta in appello a supporto di detti calcoli è stata correttamente ritenuta tardiva dal giudice di merito.
2.4.- Con il quarto motivo la ricorrente prospetta violazione degli articoli 2043 2059 codice civile.
Si duole che non sia stato dalla corte di merito riconosciuto il danno subìto, sia di natura patrimoniale che non patrimoniale, a cagione della violazione delle norme antiusura.
Il motivo è infondato come conseguenza della infondatezza dunque dei motivi precedenti.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.00,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/05/2024.