Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5709 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2339/2021 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso da ll’
avv. NOME COGNOME ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 604/2020, depositata il 4 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, depositata il 4 giugno 2020, che, in riforma della sentenza del locale Tribunale, lo aveva condannato al
Oggetto: mutuo – usura
pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 103,694,44, in adempimento di un contratto di mutuo concluso dalla RAGIONE_SOCIALE della quale cui obbligazioni si era costituito fideiussore, nonché dell’ulteriore somma di euro 21.964,17, a titolo di interessi corrispettivi sulle singole rate, e agli interessi di mora sull’importo dovuto in linea capitale, al tasso convenzionale e nei limiti del tasso soglia ex l. 7 marzo 1998, n. 108;
-la Corte di appello ha riferito che il giudizio traeva origine dall’opposizione al decreto ingiuntivo proposta a ll’odierno ricorrente e che il giudice di primo grado aveva accolto tale opposizione, revocando il decreto ingiuntivo, in ragione del fatto che la banca, che non aveva esibito il fascicolo del procedimento monitorio, non aveva dato prova sufficiente del proprio credito, in particolare non aveva dato prova né dell’effettiva erogazione de l finanziamento, né della situazione debitoria della società mutuataria;
ha, quindi, accolto il gravame a seguito di una diversa valutazione degli elementi probatori, ivi inclusi quelli del fascicolo monitorio depositato nel grado di appello, previa reiezione del l’eccezione di prescrizione, ritene ndo priva di pregio l’allegazione di usurarietà del tasso di interesse pattuito;
ha, peraltro, affermato che gli interessi di mora dovessero essere versati sulla sola sorte capitale della rata non pagata e non sull ‘intero importo della rata, come invece previsto contrattualmente, stante il divieto di cui all’art. 1283 cod. civ. ;
il ricorso è affidato a quattro motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice della RAGIONE_SOCIALE, nelle more subentrata nel rapporto controverso;
-quest’ultima deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione de ll’art. 113 cod. proc. civ., per aver la Corte territoriale affermato che la mancata produzione dei decreti del Ministro dell’ Economia e delle Finanze di fissazione delle soglie rilevanti ai fini dell’applicazione della l. 7 marzo 1996, n. 108, ostasse alla possibilità di esaminare la dedotta questione della usurarietà degli interessi pattuiti, omettendo di considerare che tali decreti presentavano natura normativa e, in quanto tali, dovevano ritenersi conosciuti dal giudice; – con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 644 cod. pen. e 1815 cod. civ., per aver la sentenza impugnata i periodi si
ritenuto che fosse onere dell’appellato dedurre per qual sarebbe verificato l’allegato superamento del tasso soglia;
i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono il primo inammissibile e il secondo infondato;
il giudice di appello ha disatteso l’eccezione di usurarietà del dedotto contratto di mutuo sul duplice fondamento che l’ingiunto non aveva prodotto in giudizio i decreti attuativi della l.n. 108 del 1996 che si assumevano violati e che lo stesso non aveva indicato «rispetto a quali parametri e per quali periodi sarebbe avvenuta detta violazione»;
ha, dunque, rilevato sia il difetto di una puntuale allegazione dell’eccezione, mancando l’indicazione del tasso applicato e di quello soglia, nonché del periodo di riferimento, sia il mancato assolvimento dell’onere di provare l’assunto , avuto riguardo alla mancata produzione in giudizio dei decreti di fissazione delle soglie rilevanti;
così argomentato ha posto due distinte e autonome rationes decidendi a fondamento della statuizione resa sul punto;
sotto il primo aspetto, si osserva che nelle controversie relative alla spettanza e alla misura degli interessi moratori, l’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., si atteggia nel senso che il debitore che intenda dimostrare l’entità usuraria degli stessi è tenuto a dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale relativa agli interessi moratori
e quelli applicati in concreto, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato e gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento, mentre la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto (così, Cass., Sez. Un., 18 settembre 2020, n. 19597);
la puntuale allegazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere o del l’eccezione sollevata è, come noto, attività distinta rispetto alla richiesta dei mezzi di prova o alla produzione di documenti destinati alla dimostrazione di quanto allegato;
ne consegue che la decisione della Corte di appello, nella parte in cui ha posto a carico dell’appellato, mutuatario che aveva eccepito l’usurarietà dei tassi applicati per superamento delle soglie previste ai sensi della l.n. 108 del 1006, di indicare gli elementi di fatto relativi alla dedotta usurarietà -in particolare, i parametri e il periodo di riferimento -ha fatto corretta applicazione del richiamato principio di diritto;
-la resistenza della ratio decidendi consistente nel mancato assolvimento da parte dell’appellato dell’onere di puntuale allegazione dei fatti costitutivi dell’eccezione sollevata , articolata con il secondo motivo, osta all’e same della questione prospettata con il primo motivo, con cui si aggredisce la distinta ratio decidendi consistente nella mancata prova del contenuto dei pertinenti decreti emanati ai sensi della l.n. 108 del 1996, stante la definitività dell’autonoma motivazione non utilmente impugnata e, conseguentemente, l’impossibilità di tale questione, anche laddove ritenuta fondata, a condurre all’annullamento della sentenza (cfr., sul punto, Cass. 14 agosto 2020, n. 17182; Cass. 18 aprile 2019, n. 10815; Cass. 27 luglio 2017, n. 18641);
con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1339, 1419 e 1815 cod. civ. e della l. n. 108 del 1996, per aver la sentenza impugnata omesso di rilevare che
l’accertato anatocismo conseguente alla previsione contrattuale che riconosceva gli interessi di mora sulle rate scadute e a scadere, comprensive degli interessi corrispettivi, dava luogo a un importo complessivo degli interessi superiore al limite fissato dal tasso soglia applicabile;
il motivo è inammissibile;
esso, infatti, investe una questione, concernente il superamento del tasso soglia per effetto della pattuizione di interessi moratori (anche) sulla quota delle rate relative agli interessi corrispettivi, che non risulta essere stata trattata nella sentenza di appello;
in una siffatta evenienza è onere della parte ricorrente allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di poter verificare l’ammissibilità delle censure, sotto il profilo dell’assenza di novit à, oltre che la sua fondatezza, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
infatti, non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass. 9 luglio 2013, n. 17041; Cass. 30 marzo 2007, n. 7981), posto che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte (così, anche, Cass. 26 marzo 2012, n. 4787);
-con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello compensato (solo) nella misura di un terzo le spese del doppio grado di giudizio e posto a suo carico la frazione residua;
evidenzia che in tal modo la Corte territoriale avrebbe violato il
principio di causalità, condannando alla rifusione delle spese la parte che era stata costretta a innescare la lite in modo fondato, sia pure solo in parte;
il motivo è inammissibile;
il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421);
con particolare riferimento al procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo, si osserva che la valutazione di soccombenza, ai fini della condanna alle spese, va rapportata all’esito finale della lite anche nell’ipotesi di giudizio seguito ad opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., con la conseguenza che non viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. la sentenza che, in presenza di un accoglimento non integrale della domanda del ricorrente, lasci le stesse a carico della parte opponente rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite (cfr. Cass. 1° febbraio 2007, n. 2217);
corrispondentemente, il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto, sebbene in parte (quand’anche minima) rispetto a quanto richiesto ed ottenuto col monitorio, il proprio credito, se legittimamente subisce la revoca integrale del decreto ingiuntivo e, eventualmente, la condanna alla restituzione di quanto, eccedente rispetto al dovuto, percepito in dipendenza della sua provvisoria esecutività, non può qualificarsi soccombente ai fini del governo delle spese processuali (cfr. Cass. 21 luglio 2017, n. 18125; Cass. 12 maggio 2015, n. 9587);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 febbraio 2025.