Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15061 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15061 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20922/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e di fesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentata e di fesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
contro
ricorrente – per la cassazione della sentenza n. 2036/2022 della CORTE d’APPELLO di Milano pubblicata il 9.6.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.3.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Somministrazione di servizi telefonici -Fatture Rilevazione dei consumi -Efficacia probatoria
RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE) , quale incorporante della RAGIONE_SOCIALE, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 9660/2017 emesso dal Tribunale di Milano, con cui le era stato ingiunto il pagamento di euro 28.349,02, oltre interessi, in favore di RAGIONE_SOCIALE (innanzi indicata come RAGIONE_SOCIALE) Deduceva l’opponente, tra le altre, l’inadempimento contrattuale dell’opposta conseguente al malfunzionamento o al mancato funzionamento per parecchi mesi di tutte le linee telefoniche, mobili e internet.
Con sentenza pubblicata il 15.5.2019 il Tribunale di Milano dichiarava l’improponibilità della domanda per il mancato preventivo esperimento del tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM e revocava il decreto ingiuntivo opposto, gravando l’opposta delle spese di lite.
La Corte d’Appello di Milano con ordinanza del 17.1.2022 disponeva l’esperimento del tentativo di conciliazione e con sentenza pubblicata il 9.6.2022, in accoglimento dell’impugnazione proposta da Vodafone Italia s.p.a., confermava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’appellata alla rifusione delle spese di lite dei due gradi.
Notava la Corte d’appello che l’esclusione del previo esperimento del tentativo di conciliazione in relazione alla fase monitoria non impediva il suo svolgimento nella fase di opposizione. Conseguentemente il Tribunale avrebbe dovuto sospendere il giudizio, per consentirne lo svolgimento, e non dichiarare l’improponibilità della domanda e revocare il decreto ingiuntivo.
Nel merito, osservava la Corte d’appello, le fatture di cui all’estratto conto prodotto dall’appellante nella fase monitoria erano state contestate dall’appellata sulla base di lamentati disservizi tali da costringere (l’allora RAGIONE_SOCIALE) a migrare verso altro gestore. Tuttavia, l’appellante aveva assolto l’onere della prova mediante la produzione delle fatture, così dimostrando tanto il contenuto degli accordi (somministrazione di servizi di telefonia pura; acquisto di SIM prepagate; acquisto e noleggio di apparecchi
telefonici e connessioni a internet), quanto la corrispondenza del traffico rilevato alle risultanze del contatore centrale. L’appellata, invece, aveva dimostrato che solo in relazione a tre linee telefoniche fisse c’ era stata la migrazione verso diverso gestore telefonico, limitandosi poi a una generica contestazione dei disservizi e senza offrire una dettagliata relazione tecnica apprezzabile quale principio di prova.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ricorre RAGIONE_SOCIALE, sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso Vodafone.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 183, comma settimo, cod. proc. civ.
La ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia deciso nel merito il giudizio senza provvedere all’ammissione dei mezzi di prova orale debitamente richiesti in primo grado, e reiterati in sede di impugnazione, al fine di dimostrare che l’inadempimento contestato a Vodafone aveva determinato la paralisi della sua attività con perdita di clientela, tanto da indurla a svolgere domanda di risoluzione del contratto. Sennonché, il giudice di secondo grado, per un verso, non ha ammesso la prova testimoniale, diretta a dimostrare per l’appunto che tra giugno e dicembre 2013 le linee telefoniche e internet avevano funzionato in modo irregolare, per l’altro, ha ritenuto che fosse stata provata soltanto la migrazione di tre linee telefoniche fisse verso diverso gestore e che non sarebbe stata offerta una dettagliata relazione tecnica su quanto occorso.
Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’errata applicazione dell’art. 115 cod. civ., nonché la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 2697 cod. civ.
La ricorrente censura la sentenza, là dove è stato ritenuto assolto l’onere della prova da parte dell’appellante mediante la produzione delle fatture, da cui è stata ricavata la prova del contenuto degli accordi e la corrispondenza del traffico rilevato alle risultanze del contatore centrale. Per converso, la fattura quale atto di carattere unilaterale e partecipativo, anche se annotata nelle scritture contabili, non ha valore di prova, neanche indiziaria, circa la corrispondenza della prestazione al pattuito, qualora sia contestata: la fattura AD12162287 era stata contestata perché relativa a un periodo in cui il servizio era stato irregolare; le fatture successive riferite al periodo 2014/2016 erano successive alla disdetta intimata il 3.10.2013.
Nel contesto contrattuale, data la conformazione dell’art. 1218 cod. civ., Hardnex era onerata della prova del titolo contrattuale e dell’allegazione dell’inadempimento, nonché della prova del danno, mentre Vodafone sarebbe stata onerata dalla prova dell’effettuato ad empimento o dell’impossibilità della prestazione per causa non imputabile.
Hardnex nega che sia stata dimostrata la corrispondenza del traffico alle risultanze del contatore centrale. Vodafone si era limitata produrre le bollette con l’indicazione del traffico, che al pari delle fatture, hanno natura di atto comunicativo delle prestazioni eseguite, sì che, in caso di co ntestazione, l’operatore telefonico è tenuto a dimostrare il corretto funzionamento del contatore centrale e la corrispondenza con quanto riportato in fattura. Sta di fatto che Vodafone non aveva affatto provato detta corrispondenza, né prodotte le rilevazioni fotografiche mensili del contatore centrale. Tuttavia, anche le rilevazioni del contatore centrale, quand’anche prodotte, possono avere piena efficacia probatoria solo in caso di mancata contestazione della conformità ai sensi dell’art. 2712 cod. civ. Contestazione, quest’ultima, che RAGIONE_SOCIALE avrebbe fatto se prodott e le indicate registrazioni.
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per violazione dell’art.
132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 356 e 183, comma settimo, cod. proc. civ.
La ricorrente prospetta la nullità della sentenza là dove la Corte d’appello, da un lato, ha imputato all’appellata la genericità delle contestazioni e dell’offerta probatoria riportata nella comparsa di costituzione in appello, dall’altro non ha ammesso l a prova testimoniale articolata nella memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ., senza tuttavia esplicitare le ragioni di tale mancata ammissione, posto che nella sentenza ‘non si trovano esposte le ragioni che supporterebbero il rigetto dell e istanze istruttorie offerte al giudicante’. Dette istanze, se ammesse, sarebbero risultante determinanti ai fini del giudizio, perché atte a comprovare i disservizi patiti proprio mediante l’escussione del promotore Vodafone, il quale, vanamente, era intervenuto per porre rimedio alle disfunzioni.
Il primo ed il terzo motivo, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
4.1. Il primo motivo è infondato.
Secondo un indirizzo consolidato espresso da questa Corte, ‘la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 cod. proc. civ. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 cod. proc. civ. ‘ (v. Cass. , sez. III, 26 ottobre 2000, n. 14135, sez. III, 27 aprile 2011, n. 9410; sez. II, 27 giugno 2012, n. 10748; sez. III, 5 febbraio 2019, n. 3229).
Peraltro, è stato altresì affermato che l’art. 346 cod. proc. civ. concerne la posizione della parte vittoriosa e non l’appellante , il quale impugnando ‘ in toto la sentenza di primo grado, insistendo per
l’accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quanto detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande; diversamente, la parte appellata, vittoriosa in primo grado, poiché, ovviamente, non ripropone alcuna richiesta di riesame della sentenza a essa favorevole, deve espressamente chiedere al giudice del gravame il riesame delle proprie istanze istruttorie ‘ (v. sez. lav., 22 agosto 2003, n. 12366; 11 febbraio 2011, n. 3376; 23 marzo 1999, n. 2756; in senso analogo, v. Cass., 14135/2000, cit.; 25 novembre 2002, n. 16573; sez. II, 4 aprile 2003, n. 5308).
A maggior ragione, data la conformazione del giudizio di appello quale mero strumento di controllo della decisione impugnata impressa dal D.L. 83/2012 e la conseguente limitata portata della cognizione del giudice dell’appello ai soli punti specificati dalle parti mediante la denuncia di errori o, in caso di assorbimento, la riproposizione di domande, eccezioni, istanze, questioni ed argomenti, le parti sono tenute a prospettare tutto quanto ritenuto utile alle loro difese, comprese le istanze istruttorie.
Nelle conclusioni dell’appellata in via istruttoria, come riportato nella sentenza impugnata (v. pagina 3), si legge: ‘si chiede l’ammissione di prova per testi, riservando sin d’ora l’indicazione dei capitoli di prova e dei testimoni, indicando già il tec nico RAGIONE_SOCIALE sig. COGNOME, con riserva di ogni ulteriore istanza istruttoria’. Indicazione, quest’ultima, peraltro pienamente coincidente con quanto riportato in ricorso (v. pagina 11). Da ciò, deriva che in sede di appello COGNOME non ha affatto richiamato in modo specifico la richiesta di prova testimoniale articolata in primo grado, ma, appunto si è limitata a insistere nella sua ammissione con riserva d’indicazione dei capitoli . Formula del tutto aspecifica ben compatibile con quanto si legge in sentenza ‘ parimenti generica offerta probatoria, come si evince dalla semplice disamina delle istanze richiamate nella comparsa di costituzione’ (v. pagina 12).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che (onestamente) definisce ‘certamente infelice sotto il profilo formale’ l’espressione usata, non basta la generica manifestazione della volontà ripropositiva dell’istanza di prova, ma occorre che questa sia specifica, diversamente opinando il giudice dell’appello dovrebbe d’ufficio veri ficare quali tra i mezzi istruttori richiesti in primo grado possano, o no, essere ammessi. Conclusivamente, l’appellata non avendo riproposto espressamente le istanze istruttorie svolte in primo grado ha implicitamente rinunciato ad esse.
Soluzione, quest’ultima, pienamente compatibile con i principi eurounitari e con gli artt. 24 e 111 Cost., posto che ‘ l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 cod. proc. civ., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di “difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato’ (v. Cass. 10748/2012 cit.; 3229/2019 cit.).
Per le stesse ragioni anche il terzo motivo non è meritevole di accoglimento.
4.2. Del pari infondato è anche il secondo motivo d’appello. L’esito dello scrutinio del primo motivo condiziona in modo determinante anche quello del secondo.
Come già detto, la ricorrente prospetta la nullità della sentenza là dove la Corte d’appello, da un lato, ha imputato all’appellata la genericità delle contestazioni e dell’offerta probatoria riportata nella comparsa di costituzione in appello, dall’altro non ha ammesso la prova testimoniale articolata nella memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ., senza tuttavia esplicitare le ragioni di tale mancata ammissione.
Sta di fatto che, non avendo l’appellata riproposto in modo specifico le istanze istruttorie (sostanzialmente la prova testimoniale), non può dolersi dell’asserito vizio motivazionale, peraltro soggiacente al rispetto del c.d. «minimo costituzionale» (v. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054) , per essersi espressa la Corte d’appello nei termini indicati : ‘parimenti generica offerta probatoria, come si evince dalla semplice disamina delle istanze richiamate nella comparsa di costituzione’.
Né tantomeno la Corte d’appello sarebbe stata tenuta , come si duole ancora la ricorrente, a vagliare il contenuto della memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2, cod. proc. civ., poiché le istanze lì indicate, in quanto non riproposte in appello, dovevano intendersi come rinunciate.
Con il secondo motivo la ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto assolto l’onere della prova da parte di Vodafone mediante la sola produzione delle fatture in contestazione, sul presupposto che da esse emergeva ‘la corrispondenza di quanto chiesto in pagamento : sia al contenuto degli accordi contrattuali intercorsi con le parti (non solo in relazione alla somministrazione di servizi di telefonia pura, ma in relazione all’a cquisto di numerosissime SIM prepagate ed all’ acquisto e/o noleggio di apparecchi telefonici e connessioni ad internet); sia alla corrispondenza del traffico rilevato alle risultanze del contatore centrale (Cass. 10313/2004) ‘ .
Per converso, si legge ancora in sentenza, l ‘appellata aveva dimostrato che solo in relazione a tre linee telefoniche fisse vi era stata la migrazione verso diverso gestore telefonico, limitandosi per il resto RAGIONE_SOCIALE a una generica contestazione dei disservizi e ‘non ha offerto in comunicazione al giudicante alcuna dettagliata relazione (anche di tecnico
specializzato) apprezzabile, quantomeno a livello di principio di prova, ai fini di ritenere comprovate le asserzioni difensive’.
Correttamente la ricorrente richiama l’indirizzo consolidato secondo cui ‘l a fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, s’inquadra tra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, e si struttura secondo le forme di una dichiarazione, indirizzata all’altra parte, avente ad oggetto fatti concernenti un rapporto già costituito, onde, quando tale rapporto, per la sua natura o per il suo contenuto, sia oggetto di contestazione tra le parti stesse, la fattura, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può, attese le sue caratteristiche genetiche (formazione ad opera della stessa parte che intende avvalersene), assurgere a prova del contratto, ma, al più, rappresentare un mero indizio della stipulazione di quest’ultimo e dell’esecuzione della prestazione indicata, mentre nessun valore, nemmeno indiziario, le si può riconoscere tanto in ordine alla corrispondenza della prestazione indicata con quella pattuita, quanto in relazione agli altri elementi costitutivi del contratto tant’è che, contro ed in aggiunta al contenuto della fattura, sono ammissibili prove anche testimoniali dirette a dimostrare eventuali convenzioni non risultanti dall’atto, ovvero ad esso sottostanti ‘ (v. Cass. , sez. II, 28 aprile 2004, n. 8126; sez. III, 18 luglio 2002, n. 10434; sez. I, 6 novembre 2006, n. 23676; sez. I, 15 gennaio 2009, n. 806).
Sennonché, con riferimento allo specifico ambito del contratto di somministrazione di servizi di telefonia con la produzione delle fatture recanti le registrazioni del traffico telefonico (a pagina 19 del ricorso si legge ‘il gestore … si è limitato a produrre le bollette con l’indicazione del traffico telefonico’) corrispondenti al contatore centrale si esaurisce l’onere della prova a carico dell’ opposta. Infatti, ‘ con la dimostrazione della corrispondenza delle registrazioni riportate nella bolletta a quelle del contatore centrale si esaurisce l’onere probatorio della società telefonica, salvo che non venga specificamente dedotto il cattivo funzionamento del
contatore ‘ (così Cass., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10313, non massimata sul punto, ma espressamente in motivazione).
Detta statuizione segue quanto enunciato da Cass., sez. III, 2 dicembre 2002, n. 17041: ‘ l’obbligo del gestore di effettuare gli addebiti di traffico sulla base delle indicazioni del contatore centrale non si può risolvere in un privilegio probatorio fondato sulla non contestabilità del dato recato in bolletta, sicché l’utente ha il diritto di contestazione ed il gestore è tenuto a dimostrare il corretto funzionamento del contatore centrale e la corrispondenza tra il dato fornito da esso e quello trascritto nella bolletta ‘.
Più di recente, tuttavia, è stato sostenuto da questa Corte che ‘ in tema di contratti di somministrazione, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l’eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un’attenta custodia dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi ‘ (v., Cass., sez. III, 22 novembre 2016, n. 23699; 15 dicembre 2017, n. 30290).
Sta di fatto che nella presente vicenda la contestazione non riguardava l’addebito eccessivo dei consumi , assumendo la ricorrente di aver intimato in data 3.10.2023 la disdetta del contratto con Vodafone, a cui avrebbe fatto seguito la trasmigrazione di tutte le linee telefoniche presso un diverso gestore telefonico. In questo contesto, tuttavia, la Corte d’appello ha argomentato: ‘RAGIONE_SOCIALE ha dimostrato che solt anto in relazione a n. 3 linee telefoniche (NUMERO_CARTA) vi è stata la migrazione verso altro gestore ‘, ed ha aggiunto ‘COGNOME si è limitata alla generica contestazione dei disservizi e non ha offerto in comunicazione al giudicante alcuna dettagliata relazione (anche di tecnico specializzato)
apprezzabile, quanto meno a livello di principio di prova, ai fini di ritenere comprovate le proprie asserzioni’.
Così argomentando, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei su indicati principi di diritto, posto che, a fronte del valore presuntivo ricollegabile alle risultanze del contatore e in assenza di una previa specifica contestazione , l’allora opponente non ha fornito elementi a supporto delle proprie allegazioni, risultate generiche e prive di sostegno probatorio quanto ai prospettati disservizi, e rimaste circoscritte alla trasmigrazione di tre linee telefoniche fisse.
Risulta così intempestiva l’odierna deduzione in merito alla mancata produzione dei tabulati e delle rilevazioni fotografiche mensili del contatore, poiché non è stato dedotto nel corso del giudizio, né risulta dalla sentenza impugnata, che sia mai stato lamentato da RAGIONE_SOCIALE il malfunzionamento del sistema di rilevazione dei consumi, né di non aver effettuato una o più chiamate riportate nelle fatture prodotte. Negli indicati termini, la doglianza si apprezza come nuova, sì che, trattandosi prospettazione basata su circostanze fattuali, è palese che si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 2.700,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della