Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27226 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27226 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5327/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO (EMAIL), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce allegata al controricorso.
–
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 1951/2020 depositata il 22/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere dr.sa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si opponeva al decreto ingiuntivo con cui RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, cessionaria di crediti dell’RAGIONE_SOCIALE a titolo di fornitura per energia elettrica e gas negli anni dal 2009 al 2012, gli intimava il pagamento delle somme dovute a titolo di corrispettivo, ed in particolare allegava: che per il periodo fino a tutto luglio 2012, esso RAGIONE_SOCIALE aveva già proceduto al pagamento, che erroneamente la controparte considerava come adempimento soltanto parziale; che per il periodo da agosto a novembre 2012 esso RAGIONE_SOCIALE invece non aveva pagato ed aveva contestato che le fatture riportavano un indebito aumento della tariffa pari al 60% in più rispetto a quella applicata nei periodi precedenti.
1.2. Con sentenza n. 9006 del 18 settembre 2018 il Tribunale di Milano revocava il decreto ingiuntivo opposto, per il periodo fino al luglio 2012 riconosceva integralmente satisfattivo il pagamento effettuato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per il periodo fino a luglio 2012, sul rilievo che la banca cessionaria non aveva dedotto i presupposti dell’inesatto adempimento; per il periodo successivo, a decorrere dall’agosto 2012, il Tribunale di Milano accertava invece che la banca non aveva mai prodotto alcun contratto stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da cui potesse desumersi la correttezza della maggiore tariffa applicata, ma contestata dal RAGIONE_SOCIALE e perveniva a riconoscere come dovuto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE un importo pari al 40% del complessivo importo fatturato.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avanti alla Corte d’Appello di Milano, in cui si costituiva resistendo il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE,
proponendo appello incidentale solo in ordine alla liquidazione delle spese processuali.
2.1. Con sentenza n. 1951 del 22 luglio 2020 la corte milanese, per quanto ancora rileva nella presente sede di giudizio, rigettava l’appello principale, confermando dunque i rapporti di dare avere tra le parti già accertati in primo grado.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, mentre la memoria depositata dal RAGIONE_SOCIALE resistente si limita a riportare le conclusioni assunte nonché l’istanza di distrazione delle spese processuali.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la banca ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione alla qualificazione della fattispecie e al d.l. 18 luglio 2007, n. 73, convertito in legge 125/2007’.
Lamenta che la Corte d’Appello, nell’affermare che la banca non avrebbe prodotto il contratto che costituirebbe la prova delle tariffe applicate, è incorsa nella violazione di quanto stabilito dal d.l. n. 73 del 2007 ed ha errato nell’attribuire alla forni tura oggetto di causa un titolo contrattuale, anziché legale, dato che era stato dimostrato ed accertato che le relative fatture erano state emesse da RAGIONE_SOCIALE per prestazioni svolte in regime di salvaguardia.
Conclusivamente, dunque, non esisteva alcun contratto che la banca poteva produrre, dal momento che l’erogazione di energia in regime di salvaguardia e l’applicazione delle relative tariffe, trova la sua fonte unicamente nel d.l. 18 luglio 2007, n. 73, come anche riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (vengono citate Cass. n. 32819/2021 e Cass. n. 23478/2018).
Con il secondo motivo la banca ricorrente denuncia ‘Omesso esame del contenuto sostanziale ed effettivo della pretesa in merito alla qualificazione della domanda principale di banca sistema. violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione agli a rtt. 99, 112,113,115 e 183 cod. proc. civ.’.
Lamenta che, là dove ha ritenuto che i crediti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dovessero necessariamente trarre origine da una fonte convenzionale, che invece la banca ha sempre espressamente contestato, la Corte d’Appello è incorsa nella violazione dei principi di diritto in tema di qualificazione e interpretazione della domanda e della causa petendi .
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 cod. civ., per aver indebitamente invertito gli oneri probatori’.
Lamenta che la Corte d’Appello ha violato il principio della ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., dato che, siccome essa banca creditrice aveva indicato la fonte legale dei suoi crediti, era onere della controparte provare l’ esistenza di una diversa fonte contrattuale; invece, la corte territoriale ha inspiegabilmente addossato alla banca un onere probatorio che non le competeva.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Censura l’impugnata sentenza là dove ha affermato che ‘nella fattispecie in esame risulta pacifico (in quanto non contestato) che anche nel periodo da agosto a novembre 2012 tra il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era efficace un contratto in esecuzione del quale quest’ultima aveva effettivamente fornito al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE il quantitativo di energia riportato nelle fatture in contestazione’ (v. p. 10) ed ha, erroneamente, ritenuto pacifica una circostanza l’esistenza di un contratto tra le parti – che era invece contestata, data la fonte legale del credito di RAGIONE_SOCIALE, poi ceduto.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per vizio di extrapetizione.
Censura l’impugnata sentenza là dove ha assunto che la pretesa creditoria trarrebbe origine da una tariffazione di natura contrattuale e dunque
convenzionale, senza tener conto della contestazione della banca e pervenendo ad alterare gli elementi costitutivi della domanda di pagamento del corrispettivo della fornitura avente fonte legale, formulata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione alle tariffe di cui al d.l. 18 luglio 2007, n. 73, convertito in legge 125/2007’.
Prospetta questo motivo come il corollario e la naturale conseguenza di quelli precedenti e, sul presupposto della fondatezza di essi, censura l’applicazione, da parte della corte territoriale, di una tariffa diversa e inferiore del 60% rispetto a quella a pplicabile, che è quella di cui al ‘regime di salvaguardia’ determinata ai sensi del D.L. 18 luglio 2007 n. 73, convertito in Legge 125/2007.
I primi due motivi, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Deducono delle questioni di cui l’impugnata sentenza non fa menzione alcuna e non specificano se, dove e quando siano state fatte valere nei precedenti gradi di giudizio e finiscono in ultima analisi per inammissibilmente sottoporre a questa Suprema Corte delle questioni nuove.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., 27/09/2021, n. 26147; Cass., 27/04/2020, n. 8036).
Il terzo motivo è infondato.
Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che, sul rilievo dell’esistenza di un rapporto di somministrazione fra le parti avente natura contrattuale, la
corte di merito ha correttamente applicato la regola di riparto dell’onere della prova, anche espressamente citando gli insegnamenti di cui alla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13533 del 2001.
9. Il quarto motivo è inammissibile.
Censura un isolato passaggio della motivazione della sentenza impugnata, che invece si fonda sulla precisa -ma qui affatto censurataratio decidendi per cui RAGIONE_SOCIALE non ha mai prodotto alcun contratto stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE da cui potesse desumersi la correttezza della tariffa applicata per la fornitura riportata nelle fatture in contestazione (v. p. 11 sentenza).
Come questa Corte ha già avuto modo più volte di affermare, quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di essere rende definitiva l’auto noma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’ann ullamento della sentenza (Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 27/07/2017, n. 18641; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 03/11/2011, n. 22753).
10. Il quinto motivo è infondato.
E’ vero che questa Suprema Corte afferma (v. Cass., 15002/2023; Cass., 30467/2022; Cass., 5838/2016) che il vizio di extrapetizione ricorre quando il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi dell’azione ( petitum e causa petendi ) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ( petitum immediato) ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ( petitum mediato), ma nel caso di specie il ricorso si fonda su un presupposto – quello della pretesa fonte legale e non convenzionale del credito di somministrazione – che non risulta menzionato nell’impugnata sentenza e che non è dato sapere se, dove e quando sia stato trattato nei precedenti gradi di merito, per cui il vizio dedotto non ricorre.
Il sesto motivo è inammissibile per le stesse ragioni svolte nello scrutinio del primo e secondo motivo.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, con distrazione a favore del difensore del RAGIONE_SOCIALE resistente, che dichiara di essere antistatario, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge, con distrazione a favore del difensore, che dichiara di essere antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a tito lo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile