Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20694 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3626/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso il DECRETO di TRIBUNALE FIRENZE al n. 1/2022 depositato il 03/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME in sede di verifica dello stato passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, ha depositato domanda tardiva di rivendica dei beni mobili presenti nel complesso immobiliare di INDIRIZZO, Impruneta (F), INDIRIZZO, deducendo di aver condotto in locazione la predetta villa, dapprima senza contratto scritto, e poi con contratto formalizzato il 12.2.2013, e che, in occasione dell’inventario fallimentare, aveva fatto presente che tutti gli arredi e beni mobili presenti nella villa erano di sua proprietà.
Il G.D. ha rigettato l’istanza di rivendica e il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione ex art. 98 L.F.
Questa Corte, con ordinanza n. 1460/2021, ha accolto il ricorso per cassazione proposto dal COGNOME ritenendo fondata la censura relativa all’inapplicabilità, nel caso di specie, del regime probatorio dell’art. 621 c.p.c., trattandosi di beni non nella disponibilità della società fallita, ma del rivendicante.
Il Tribunale di Firenze, quale giudice del rinvio, con decreto depositato il 3.1.2022, ha rigettato l’opposizione.
Il giudice di merito ha evidenziato che l’opponente non aveva fornito la prova dell’acquisto dei beni oggetto di rivendica. In particolare, dopo aver premesso che la prova per testi – ritenuta inammissibile dal Tribunale in occasione del primo giudizio perché non correttamente capitolata -era stata irritualmente e tardivamente formalizzata in distinti capitoli con il ricorso per cassazione, in ogni caso, le circostanze che tale prova era diretta a
provare non dimostravano l’acquisto a titolo derivativo od originario della proprietà dei beni di cui è causa.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c., per avere il Tribunale omesso di applicare la disciplina della prova per presunzioni in relazione agli elementi istruttori offerti dal COGNOME in ordine alla proprietà dei beni oggetto di rivendica.
Espone il ricorrente che il giudice di rinvio aveva valutato le prove testimoniali dallo stesso capitolate limitatamente al profilo della loro idoneità o meno a dimostrare l’acquisto a titolo derivativo od originario dei beni, omettendo di rilevare che questi erano stati sempre in suo possesso e di esaminare la documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno del ricorso (contratto di affitto del 12.2.2013; rogito d’acquisto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; fotografie, etc.) e i conseguenti elementi istruttori offerti di natura presuntiva che, considerati nel loro insieme e in relazione alla precisione, gravità e concordanza, assumevano valenza concludente in ordine all’accertamento del diritto di proprietà.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 comma 1° e 2 ç.p.c. e 360 comma 1° n.4 c.p.c. per non essersi il Tribunale di Firenze uniformato al principio di diritto enunciato da questa Corte nell’ordinanza n. 1460/2021.
Espone il ricorrente che l’accertamento di questa Corte della circostanza che i beni oggetto di causa erano nella sua disponibilità ha aperto necessariamente il capo d’indagine relativo alla dimostrazione della proprietà dei beni alla disciplina di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., indagine, che, tuttavia, il Tribunale ha omesso di compiere.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per inesistenza della motivazione.
Lamenta il ricorrente che il giudice di rinvio ha esclusivamente argomentato sulla idoneità delle prove testimoniali a dimostrare l’acquisto a titolo derivativo od originario dei beni, senza dedurre alcunché sugli altri elementi di prova dallo stesso offerti, idonei a dimostrare in via presuntiva la proprietà dei beni.
Tutti e tre i motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di inammissibilità e infondatezza.
In primo luogo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c. – per avere il Tribunale omesso di applicare la disciplina della prova per presunzioni in relazione agli elementi istruttori dallo stesso offerti in ordine alla proprietà dei beni oggetto di rivendica -non considerando che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 25608/2013; S.U. 24148/2013). Inoltre, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una
fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056/2016; Cass. 19011/2017; 29404/2017).
Non vi è dubbio che il ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione di legge, intenda inammissibilmente sindacare una valutazione di fatto del giudice di merito, attività non consentita in sede di legittimità se non per vizio di motivazione nei circoscritti limiti di cui all’art. 360 comma 5° c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato risponde al requisito del ‘minimo costituzionale’, secondo i criteri enunciati dalle Sezioni Unite, ed è esente da vizi logici.
Né il ricorrente può invocare la violazione delle norme in materia di prova per presunzioni. Sul punto, va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 8023/2009, conf. Cass. n. 101/2015; Cass. n. 10847/2007; Cass. n. 1404/2001), quello secondo cui spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge e apprezzare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. Pertanto, la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del
ragionamento decisorio, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo.
Nel caso di specie, non può ravvisarsi una assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio del giudice di merito.
Né il ricorrente può invocare il vizio della mancanza di motivazione sul rilievo che il giudice di merito non ha argomentato espressamente sui mezzi di prova offerti dal ricorrente (rogito del 2020, contratto di locazione del 2013 e documentazione fotografica).
Sul punto, va osservato che questa Corte ha già affermato (Cass. 12652/2020) che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito.
Infine, non coglie in alcun modo nel segno la dedotta violazione dell’art. 384 c.p.c.
Come ben evidenziato dal decreto impugnato, questa Corte, con l’ordinanza n. 1460/2021, ha escluso l’applicabilità del rigoroso regime probatorio di cui all’art. 621 c.p.c., così rendendo valutabile la prova per testimoni (dichiarata, comunque, inammissibile dal giudice del rinvio), ma non ha certo sollevato il rivendicante dall’onere di provare la proprietà dei beni, onere che il giudice di merito, con una valutazione di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto non assolto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 27.5.2025