Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4744 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4744 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30455/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME rappresentate e difese dall ‘ avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE , elettivamente domiciliate presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrenti-
contro
COMUNE DI CAMPOBASSO, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di CAMPOBASSO n. 203/2020 depositata il 18/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 30455/2020
COGNOME
Rep.
C.C. 23/1/2025
C.C. 14/4/2022
RISARCIMENTO DANNI.
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME chiesero al Tribunale di Campobasso di procedere ad un accertamento tecnico preventivo, nei confronti del Comune di Campobasso, sostenendo che i lavori di scavo eseguiti da quest’ultimo per la realizzazione di una rete fognante avevano causato danni all’appartamento di loro proprietà.
Svolta la c.t.u., le COGNOME convennero in giudizio, davanti allo stesso Tribunale, il Comune di Campobasso, ribadendo che, secondo la loro c.t. di parte, i danni erano conseguenti all’operato del convenuto, del quale chiesero la condanna al relativo risarcimento.
Si costituì in giudizio il Comune, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale, dopo aver chiamato a chiarimenti il c.t.u. che aveva svolto la propria attività in sede di a.t.p. ed aver espletato prova per testi, accolse in parte la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni liquidati nella somma di euro 25.882,84, riconoscendo un concorso di colpa delle attrici nella misura del 50 per cento.
Appellata la sentenza da entrambe le parti, la Corte d’appello di Campobasso rigettò l’appello del Comune e accolse quello delle attrici, condannando il Comune al risarcimento dei danni liquidati nella maggiore somma di euro 186.451,87, eliminando il concorso di colpa delle COGNOME.
Su ricorso del Comune questa Corte, con ordinanza 5 luglio 2017, n. 16638, cassò la sentenza e rinviò alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione.
Fu sottolineato in quella pronuncia, tra l’altro, l’errore della Corte molisana che aveva accolto in appello la domanda fondata sull’art. 2050 cod. civ., mentre in primo grado le attrici avevano agito ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., nonché l’ulteriore errore
relativo all’applicazione dell’art. 1227, primo comma, del lo stesso codice.
Osservò questa Corte, inoltre, che affidare lavori in appalto non è un’attività pericolosa, mentre lo è l’esecuzione dei lavori; di conseguenza, la regola da applicare all’attività del Comune poteva essere, semmai, quella di cui all’art. 2043 cit., con onere per i danneggiati di provare che il Comune avesse fornito un contributo causale all’avverarsi del danno, «per avere, ad esempio, scelto un appaltatore inaffidabile, ovvero per avere posto l’appaltatore nella posizione di nudus minister , imponendogli l’esecuzione di lavori di per sé pericolosi».
Il giudizio è stato riassunto dal Comune e si sono costituite anche NOME e NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 18 giugno 2020, in totale riforma della sentenza del Tribunale e in accoglimento dell’appello principale, ha rigettato integralmente la domanda risarcitoria delle attrici, condannandole al pagamento della metà delle spese di tutti i gradi di giudizio, compensate quanto alla rimanente metà.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che le critiche del Comune erano rivolte in principalità alla decisione del Tribunale che, in dissenso rispetto al contenuto della relazione del c.t.u., aveva accolto la domanda, ma si erano indirizzate anche alla valutazione delle testimonianze, ritenute non attendibili, e all’omessa considerazione del fatto che gli stessi c.t. di parte delle attrici avevano messo in luce come sull’immobile vi fossero delle lesioni preesistenti, dovute a carenze costruttive.
Ciò premesso, il giudice di rinvio ha ricordato che nelle cause risarcitorie da illecito la sussistenza del nesso di causalità deve essere valutata seguendo il criterio probabilistico del più probabile che non , e che, proprio in base a quel criterio, la sussistenza del
nesso tra i lavori svolti dal Comune e i danni patiti dalle attrici doveva essere esclusa.
Anche a voler ammettere, infatti, che «sul piano della causalità materiale» gli scavi potessero aver contribuito al dissesto, aggiungendosi alle carenze costruttive preesistenti, la responsabilità del Comune doveva essere esclusa alla luce del principio enunciato nella sentenza di cassazione, gravando sul danneggiato l’onere della relativa prova (art. 2043 cod. civ.). I lavori eseguiti su incarico del Comune, infatti, si erano svolti a cinque metri di distanza dall’edificio delle INDIRIZZO e non era stata neppure ipotizzata, da queste ultime, la culpa in eligendo del Comune in ordine alla scelta dell’impresa appaltatrice né la posizione di nudus minister di quest’ultima, come pure non era stata sostenuta l’esistenza di effettivi poteri di ingerenza del Comune committente nell’esecuzione dei lavori.
Le osservazioni dei tecnici di parte delle attrici, poi, oltre ad essere generiche e finalizzate a sostenere solamente la necessità di un rinnovo della c.t.u. -a loro sfavorevole -avevano anche messo in luce l’opportunità di mutare il progetto dei lavori, disponendo che il passaggio della fognatura avesse luogo sul lato opposto della strada comunale. Ma tale convinzione non era suffragata da alcun rilievo geologico, posto che i dissesti asseritamente derivanti dai lavori erano stati segnalati al Comune solo nell’agosto 2000, mentre i lavori si erano conclusi nel gennaio dello stesso anno.
Conseguiva dall’insieme di tali considerazioni che l’appello principale del Comune doveva essere accolto, con rigetto di quello incidentale e conseguente rigetto della domanda risarcitoria presentata dalle originarie attrici.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Campobasso propongono ricorso NOME e NOME COGNOME con unico atto affidato a quattro motivi.
Resiste il Comune di Campobasso con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., nullità della sentenza per vizio di motivazione e per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Sostengono le ricorrenti che la sentenza avrebbe affermato, contrariamente al vero, che esse non avevano mosso alcuna censura alla c.t.u. svolta in sede di a.t.p., e che sussisterebbe omessa pronuncia in ordine alla richiesta di rinnovazione della c.t.u., sempre sollecitata dalle odierne ricorrenti fin dal primo grado di giudizio. Riportando interi passaggi degli atti difensivi depositati nei precedenti gradi merito, le ricorrenti rilevano di aver sollevato puntuali critiche alle conclusioni del c.t.u. e aggiungono che la richiesta di rinnovo della consulenza sarebbe stata dichiarata inammissibile con una motivazione censurabile, data la «palese violazione tra il chiesto e il pronunciato e l’omessa valutazione di fatti decisivi discussi tra le parti».
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., nullità o apparenza della motivazione in riferimento al regime della prova legale in relazione all’art. 2043 del codice civile.
Le ricorrenti -dopo aver riportato il passaggio della motivazione nel quale la Corte di merito ha dichiarato di aderire alle indicazioni del c.t. di parte del Comune -sostengono che la sentenza sarebbe nulla, avendo «fatto acriticamente assurgere al rango di prova del processo una mera consulenza di parte», nonostante le danneggiate avessero più volte chiesto il rinnovo delle indagini peritali. Secondo le ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe escluso l’esistenza del nesso di causalità tra lo scavo e il danno per essersi attestata sul parere del c.t. di parte del Comune, senza spiegare in nessun passaggio per quale motivo abbia optato
per simile ricostruzione. La sentenza avrebbe escluso il nesso di causalità solo perché il terreno interessato ha natura argillosa, e da questo elemento ha dedotto l’impermeabilità del terreno e la conseguente impossibilità di collegare i cedimenti sul fabbricato ai lavori di scavo eseguiti dal Comune.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nullità della sentenza per vizio di motivazione e omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Osservano le ricorrenti che la sentenza sarebbe censurabile per travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie, anche nella parte in cui la Corte d’appello ha reputato che la costruzione della rete fognante fosse di entità non rilevante. Contrariamente alla tesi della Corte d’appello, le ricorrenti sostengono che le opere svolte dal Comune avevano determinato, grazie all’impermeabilità del terreno, un fenomeno di subsidenza, cioè il lento e progressivo abbassamento del terreno. Il Comune, quindi, avrebbe dovuto compiere le necessarie opere provvisionali e spostare il passaggio della fognatura sul lato opposto della strada, per evitare i cedimenti del fabbricato.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., nullità della sentenza per vizio di motivazione, omesso esame di un fatto decisivo e violazione dell’art. 2043 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., per aver disatteso prove legali.
Le ricorrenti ritengono che la sentenza impugnata non abbia considerato che a carico del Comune sussisteva responsabilità per culpa in vigilando , posto che era evidente l’omessa adozione di misure di sicurezza prevedibili e il fatto che le danneggiate avevano invano segnalato l’esistenza di tale pericolosità. Si afferma che la responsabilità della parte pubblica committente può sussistere non solo per culpa in vigilando ma anche per il mancato esercizio dei
poteri di ingerenza, gestione e controllo nell’attività dell’appaltatore. L’esecuzione dei lavori di scavo per la realizzazione della fognatura era frutto di una decisione del Comune che, pertanto, avrebbe dovuto seguirne lo sviluppo, mentre aveva tralasciato ogni controllo dell’attività, senza considerare che i lavori non erano stati eseguiti in modo diligente.
La Corte osserva che i quattro motivi di ricorso, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
Essi sono tutti inammissibili, per le considerazioni che si vanno di seguito ad esporre.
Occorre innanzitutto osservare che la sentenza di primo grado era pervenuta all’accoglimento della domanda delle odierne ricorrenti andando di contrario avviso rispetto alle conclusioni rese dal c.t.u.; tale dato emerge dalla sentenza qui impugnata (p. 6) la quale riporta anche le ragioni per le quali il Tribunale aveva ritenuto di pervenire a conclusioni differenti e favorevoli alle originarie attrici.
Partendo da questa premessa la Corte d’appello che era stata investita dalla pronuncia di questa Corte del compito di un nuovo esame della vicenda -ha ricostruito tutto il materiale a propria disposizione, valutando le relazioni del c.t.u., le osservazioni critiche dei c.t. di parte e le testimonianze. Non si può dunque sostenere, come vorrebbero le odierne ricorrenti, che la Corte di merito abbia trascurato di considerare le varie osservazioni tecniche di cui disponeva o che abbia ignorato le censure mosse dalla difesa delle COGNOME alle conclusioni del c.t.u. o le deposizioni dei testimoni. Va invece dato atto alla sentenza impugnata di aver tenuto insieme i vari elementi e di aver dato conto, con argomentazioni coerenti e prive di vizi logici, delle ragioni per le quali, andando di contrario avviso rispetto al Tribunale, è pervenuta al rigetto della domanda.
A fronte di simile valutazione, le argomentazioni formulate nei motivi di ricorso si rivelano in ampia misura inammissibili, perché chiaramente volte ad ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito. Le osservazioni critiche ivi contenute, infatti, si risolvono nella prospettazione di una ricostruzione della genesi del fatto dannoso diversa da quella indicata in sentenza, finalizzata a dimostrare, attraverso considerazioni relative anche alla natura del terreno e alla sua permeabilità, che i lavori eseguiti dal Comune di Campobasso sarebbero stati causa dei danni patiti dall’immobile delle ricorrenti. Il tutto, tra l’altro, non tenendo nella dovuta considerazione né la circostanza, evidenziata dalla Corte d’appello, per la quale era stato lo stesso c.t. di parte delle attrici ad evidenziare come l’immobile in questione avesse delle lesioni dovute a carenze costruttive, né il fatto che le COGNOME avevano segnalato l’esistenza dei danni circa sei mesi dopo l’ultimazione dei lavori.
L’obiettivo delle odierne ricorrenti era, in definitiva, quello di ottenere in sede di merito il rinnovo della c.t.u., richiesta che la Corte d’appello non ha ritenuto di soddisfare , giudicandola superflua; ed è evidente che su questa decisione il giudice di legittimità non ha titolo per interloquire.
6. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Ritiene tuttavia la Corte che, in considerazione degli esiti diversi dei due precedenti gradi di merito, nei quali la domanda risarcitoria era stata sempre accolta, sussistano ragioni che consentono di compensare integralmente le spese del presente giudizio di cassazione.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza