Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10266 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10266 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3257/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1612/2021 depositata il 22/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
la s.n.c. RAGIONE_SOCIALE Pula RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio la Cassa di Risparmio di Cesena per il risarcimento dei danni indicati come conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni derivanti da una scrittura privata del 1994 con la quale la banca si era impegnata a compiere, con oneri a suo carico, lavori di sistemazione dei locali concessi in locazione al suddetto Bar Corallo, e a stipulare un nuovo contratto locatizio appena ultimati quelli, mentre la RAGIONE_SOCIALE si era obbligata a trasferire la propria attività nei nuovi locali senza pretese a titolo di avviamento;
il Tribunale rigettava la domanda accogliendo l’eccezione di giudicato, sollevata dalla convenuta, relativamente a una sentenza dell’allora Pretore di Cesena, n. 72 del 1998, la quale aveva ritenuto che la scrittura fosse un contratto preliminare di locazione sottoposto alla condizione dell’esecuzione dei lavori, non avverata, con conseguente infondatezza della pretesa svolta ai sensi dell’art. 2932, cod. civ., rigettando l’annessa domanda risarcitoria altresì per mancanza di supporto probatorio;
la Corte di appello riformava la statuizione di prime cure osservando, per quanto qui ancora di utilità, che la ricordata decisione pretorile aveva dato risposta a una domanda differente rispetto a quella risarcitoria in scrutinio, con conseguente negatoria di un preclusivo e al contempo indimostrato giudicato non solo in quanto comunque già escluso, per irresolubili contraddizioni, da una sentenza pronunciata da questa Corte, la n. 19985 del 2004, in un ulteriore giudizio volto a ottenere la condanna all’adempimento dei lavori -ossia quella che il Pretore aveva indicato non utilmente richiesta al suo Ufficio in forza del medesimo negozio -quanto, altresì, poiché la pretesa in scrutinio era rivolta a ottenere danni successivi e distinti, atteso che quelli dedotti davanti al Pretore erano stati individuati nella «non accessibilità dei locali a causa
della mancata realizzazione di interventi di sistemazione, nella conseguente perdita di clientela e nel danno all’immagine», e quelli dedotti da ultimo, diversamente, erano «i danni patiti a causa dell’inadempimento della banca individuati nella svalutazione dell’azienda in funzione della sua cessione…, nei costi di rimessa in pristino dell’attività commerciale interrotta e nel relativo danno economico reddituale subìto durante il periodo di sospensione dell’attività»;
la Corte di appello, esclusa quindi la fondatezza, rispetto a questi ultimi danni, della pure eccepita prescrizione, accoglieva la domanda per quanto di ragione, parametrando la liquidazione alle indicazioni della consulenza tecnica di parte attorea, detratto, però, il valore di realizzo della duplice alienazione dell’azienda, intervenuta dapprima nell’aprile del 1999 e poi nel maggio del 2003, esclusi, inoltre, gli esborsi per l’acquisto di beni strumentali, che sarebbe dovuto comunque avvenire poiché «i nuovi locali erano dislocati per conformazione di superficie e di muri in modo diverso dai vecchi locali», ed escluso, infine, sia il preteso danno da mancato realizzo da parte dei soci, estranei al giudizio, sia il preteso ma indimostrato danno da maggiorazione del canone pagato altrove durante altre annualità;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la sRAGIONE_SOCIALE Pula RAGIONE_SOCIALE, articolando tre motivi;
il RAGIONE_SOCIALE già Cassa di Risparmio di Cesena, resiste con controricorso e propone, altresì, ricorso incidentale articolato in sette motivi, illustrati anche da memoria.
Rilevato che
con il primo motivo di ricorso principale si prospetta l’erronea valutazione del danno da perdita del valore aziendale, con vizio motivazionale e violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la seconda alienazione aziendale, indicata come fonte di valore pecuniario sottratto poiché incassato, era stata relativa, come da
allegazioni e documenti prodotti, ad altra azienda collocata altrove, che non aveva alcun collegamento rilevante con quella oggetto di lite;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato affermando, per petizione di principio, che i beni strumentali acquistati per la nuova attività avrebbero comunque dovuto essere comprati anche qualora la banca avesse permesso, ultimando i lavori, la stipula del nuovo contratto di locazione dei propri locali come da originaria scrittura, essendo invece vero il contrario, ossia che erano stati acquisti cui la deducente era stata costretta dall’inadempimento della Cassa;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1372, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato escludendo il danno da redditività aziendale, poiché quest’ultima non era di spettanza dei singoli soci bensì della società, soggetto giuridico distinto e unica controparte contrattuale della banca;
con il primo e secondo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 132, n. 4, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di pronunciarsi e motivare sull’eccezione di difetto di accertamento e prova di un imputabile inadempimento, presupposto dalla domanda risarcitoria dell’originaria attrice, su cui era stato al contempo escluso ogni giudicato esterno;
con il terzo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato accogliendo la domanda risarcitoria in difetto del presupposto inadempimento;
con il quarto, quinto e sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729, cod. civ., 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato accogliendo
immotivatamente la domanda risarcitoria sulla base delle risultanze della perizia valutativa di controparte, assunta in termini ipotetici e quindi presuntivi, che però si era basata su documenti, quali le scritture contabili societarie, i bilanci di esercizio, gli atti di compravendita di aziende con analoghe caratteristiche strutturali, preventivi di aziende del settore delle forniture di arrendamenti strumentali, misure di superfici, tutti riferiti ai fatti costitutivi principali, inerenti a un punto quindi decisivo della controversia, e non prodotti in giudizio, ovvero rimasti ignoti e inutilizzabili;
con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello, pur riducendo di oltre il 90% la quantificazione risarcitoria rispetto alla pretesa attorea originaria, aveva liquidato le spese di lite secondo soccombenza senza compensazione neppure parziale.
Considerato che
i primi tre motivi di ricorso incidentale, da esaminare prioritariamente per ragioni logiche e congiuntamente per connessione, sono infondati;
è del tutto evidente che la Corte distrettuale ha per un verso escluso il giudicato esterno pretorile di cui in parte narrativa, perché afferente a danni ritenuti diversi in quanto pregressi rispetto a quelli oggetto della domanda risarcitoria scrutinata, e per altro verso, posto il carattere pacifico degli obblighi derivanti dalla scrittura del 1994, ha implicitamente quanto univocamente applicato il corretto principio per cui una volta dimostrata, ad opera del creditore, la sussistenza del diritto, allegato l’inadempimento e poi provato il nesso causale tra questo e i danni di cui si reclama il ristoro, è il debitore, per andare esente da responsabilità, a dover dimostrare di aver invece adempiuto ovvero che il nesso eziologico in parola è insussistente (v., ad esempio, Cass., 19/01/2024, n. 2114);
nel caso, le censure non negano il diritto o il nesso eziologico, oggetto di altri motivi, ma, come visto, la mancata dimostrazione di un inadempimento imputabile, e dunque sono prive di fondamento;
del resto, come osservato dal Collegio di merito, la sussistenza degli obblighi era già stata affermata, nel contiguo giudizio pure menzionato, sia da questa Corte con la richiamata e discussa pronuncia cassatoria n. 19985 del 2004, sia dalla successiva sentenza, divenuta pacificamente irrevocabile, della Corte di appello di Bologna n. 1065 del 2007, che aveva statuito il diritto all’adempimento degli obblighi di facere stabiliti nel negozio del 1994;
in via gradatamente logica, debbono quindi essere esaminati, unitariamente anche in tal caso per connessione, il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso incidentale: essi sono fondati;
va premesso, per la necessaria chiarezza ricostruttiva (cfr. la nomofilachia esemplificabile con Cass., 10/09/2019, n. 22525, Cass., 07/11/2019, n. 28619, Cass., 18/02/2021, n. 4304, Cass., 22/09/2023, n. 27100), che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli invocati artt. 115 e 116, cod. proc. civ., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, censurabile attraverso il paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nel quadro dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., 12/10/2017, n. 23940), fermo, quando del caso, il limite dell’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., ora riversato nell’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.;
ciò posto, la violazione dell’art. 116, cod. proc. civ., è idonea per altro verso a integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, cod. proc.
civ., quando il giudice di merito disattenda il sopra ricordato principio (della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; mentre la violazione dell’art. 115, cod. proc. civ., può essere dedotta come analogo vizio denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, in ipotesi disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e dunque, logicamente, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha finito per attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33);
nella fattispecie, la Corte territoriale, come ipotesi presuntiva (‘pur ammettendo’, pag. 12, secondo capoverso, primi due righi, della sentenza in questa sede impugnata), ha assunto, quale valore aziendale di base, quello ricostruito dalla (in ricorso riportata) consulenza di parte allora istante -cui quindi non sono estensibili i principî acquisitivi istruttori riferibili alla consulenza d’ufficio enunciati da questa Corte, a Sezioni Unite, nell’arresto del 1° febbraio 2022 n. 3086 -senza indicare su quali basi istruttorie ulteriori, rilevabili officiosamente ovvero correlate alle offerte probatorie della parte interessata, quelle conclusioni tecniche ricostruttive si fondassero, non potendo logicamente attribuirsi valore dimostrativo, dei fatti costitutivi del diritto risarcitorio, alla sola conclusione valutativa in parola, se non eludendo immotivatamente, parte qua , la disciplina normativa sopra richiamata;
né si potrebbe ritenere che il Collegio di merito si sia ancorato alla parziale contestazione della banca (stesso punto della
medesima pag. 12), poiché da un canto non è stata menzionata in sentenza un’opzione concludente per non contestazione, dall’altro le ‘obiezioni’ dell’istituto di credito sono indicate, nella motivazione in esame, come momento logico successivo all’assunto sul valore aziendale di base, da cui appunto, e per quelle obiezioni, detrarre alcuni importi;
i motivi di ricorso principale non sono logicamente assorbiti poiché afferiscono a punti decisionali autonomi;
il primo motivo è fondato;
va sottolineato che sebbene la censura si diffonda sui profili di omesso esame, deduce esplicitamente altresì l’incomprensibilità ovvero radicale carenza motivazionale (a pag. 9 del ricorso si indica che la duplice alienazione aziendale sottesa alla detrazione di valore non avrebbe comunque «senso giuridico oltre che lessicale, in quanto non può essere validamente alienato due volte dallo stesso soggetto il medesimo bene»): in tal senso deve ritenersi congiuntamente dedotta la violazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ.;
ciò premesso, tale dirimente, e sul punto assorbente, profilo di critica dev’essere accolto;
difatti, qualunque sia il valore aziendale ricostruito, non è in alcun modo comprensibile a cosa si riferisca la doppia alienazione il cui incasso andrebbe detratto secondo la Corte di appello;
parte deducente evidenzia (sotto il profilo dell’omesso esame) che la cessione del maggio 2003 era riferita ad altra azienda, ossia con diversi locali ubicati altrove, ma, in ogni caso, è lo stesso giudice territoriale che non spiega cosa significherebbe questa ‘doppia cessione’ della supposta medesima azienda, ovvero se accompagnata medio tempore da altra (ri)acquisizione e, in ipotesi, in quali termini, rendendo in tal modo incomprensibile la detrazione di valore, solo assertivamente richiamata;
il secondo motivo è inammissibile;
la censura si risolve in un’evidente richiesta di rilettura istruttoria, non ammissibile in questa sede di sola legittimità, posto che la Corte di appello ha chiarito che l’acquisito di ulteriori beni strumentali sarebbe stato necessario anche nei nuovi locali se ottenuti come da originari impegni negoziali della banca, per la loro diversa conformazione (pag. 12, terzo capoverso, della sentenza);
il terzo motivo è fondato;
la domanda di «mancato realizzo da parte dei soci», come scrive la Corte di appello (stessa pag. 12, quarto capoverso), stante la pretesa da parte della società non poteva, per necessaria logica, che essere riferita alla redditività aziendale persa, ove e nella misura in cui accertata, e questa è una voce di danno riferibile al diverso soggetto giuridico attore, come del resto evincibile anche dall’inciso della medesima Corte territoriale sulla ricostruzione della portata delle domande svolte, indicando come compreso il «danno economico reddituale» subìto dalla società istante durante il periodo di sospensione dell’attività (pag. 9, quart’ultimo rigo, e pag. 10, primi due righi);
il settimo motivo di ricorso incidentale è logicamente assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo di ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo; rigetta i primi tre motivi di ricorso incidentale, accoglie il quarto, quinto e sesto motivo, dichiara assorbito il settimo; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 17/02/2025.