Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27329 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 27329 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4862/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti-
contro
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE IN LCA, RAGIONE_SOCIALE IN LCA, elettivamente domiciliate in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che le rappresenta e difende;
-controricorrenti-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE IN LCA, RAGIONE_SOCIALE IN LCA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE IN LCA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 2095/2018, depositata il 28/11/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero -il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO -che ha chiesto alla Corte di accogliere il primo motivo di ricorso, assorbito il resto.
FATTI DELLA CAUSA
La causa ha origine negli anni ’80 del secolo scorso quando i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno promesso in vendita alcuni immobili alla società RAGIONE_SOCIALE e hanno poi venduto tali immobili con tre atti di compravendita a NOME COGNOME, alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, per il prezzo, rispettivamente, di lire 80.000.000, 135.079.761 e 200.000.000.
Nel 1989 NOME COGNOME (in proprio e quale erede del marito), nonché NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME), hanno instaurato l’attuale processo, deducendo che le somme previste nei contratti non erano mai state pagate e che invece avevano ricevuto diciotto certificati di investimento ‘a prelievo automatico’, poi risultati di nessun valore, per 500 milioni di lire, così che era stata posta in essere una manovra ‘truffaldina’ per sottrarsi al dovuto pagamento; che i beni erano poi stati ceduti, fittiziamente o comunque con la malafede dei sub-acquirenti, da COGNOME in parte a RAGIONE_SOCIALE e in parte ai coniugi NOME COGNOME e NOME, da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE Gli attori chiedevano quindi di dichiarare la nullità dei contratti di compravendita o di pronunciare il loro annullamento (per dolo o violenza) ovvero la risoluzione per inadempimento; di accertare la simulazione delle successive vendite ai sub-acquirenti o quanto meno la loro invalidità o inefficacia; di condannare gli acquirenti, sub-acquirenti o possessori alla restituzione e al rilascio dei beni e al risarcimento dei danni; in via subordinata, in caso di impossibilità del rilascio, di condannare in solido tutti i convenuti al risarcimento del danno corrispondente al valore degli immobili.
Con sentenza del 3 luglio 2002 il Tribunale di Lamezia Terme dichiarava l’annullamento per dolo delle compravendite e per l’effetto la loro inefficacia, con condanna degli acquirenti e dei sub -acquirenti al rilascio dei medesimi e condanna di tutti i convenuti in solido al pagamento a titolo di risarcimento dei danni di euro 51.645,69 per il mancato godimento degli immobili, oltre interessi e rivalutazione.
La sentenza è stata impugnata, con distinti atti d’appello, dalle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tutte in liquidazione coatta amministrativa, nonché da NOME e dagli altri eredi di NOME COGNOME, nel frattempo deceduto. Riuniti i gravami,
la Corte d’appello di Catanzaro in riforma della pronuncia di primo grado dichiarava il difetto di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e degli eredi di NOME COGNOME; nel merito rigettava tutte le domande di nullità, annullamento, risoluzione, nonché di simulazione assoluta degli atti di trasferimento ai terzi sub-acquirenti.
Avverso la sentenza NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione. Con la sentenza n. 9992/2014 questa Corte, rigettato il primo motivo e assorbiti gli altri, ha accolto il secondo motivo di ricorso: la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sul rilievo che i documenti depositati in primo grado non fossero stati ridepositati in appello, ma tale assunto è errato, avendo i ricorrenti provato il deposito in appello e mancando la prova di un ritiro; il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre le opportune ricerche e concedere termine per la ricostruzione del fascicolo.
La causa è stata riassunta davanti alla Corte d’appello di Catanzaro da NOME COGNOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME. La Corte d’appello di Catanzaro con la sentenza 28 novembre 2018, n. 2095 -ha rigettato le domande proposte dagli attori.
Contro la sentenza NOME NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resistono con distinti atti di controricorso da un lato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, dall’altro lato NOME, NOME e NOME COGNOME.
I ricorrenti in data 28 febbraio 2024 hanno depositato due visure dalle quali emerge la cancellazione dal registro delle imprese delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Al proposito va sottolineato che nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di
legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte -come l’estinzione di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (cfr. Cass. n. 1757/2016).
Memoria è stata depositata da RAGIONE_SOCIALE, quale ‘interveniente ex art. 111 Cost.’ essendo successore delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. È stata depositata memoria dai ricorrenti, che eccepiscono l’inammissibilità dell’intervento in giudizio della società RAGIONE_SOCIALE. L’eccezione di inammissibilità è fondata: RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti è stato proposto il ricorso per cassazione, non si è costituita in proprio, né ha resistito con controricorso; ha appunto, dopo essersi costituita quale successore a titolo particolare di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, depositato memoria quale interveniente. Tale intervento, e quindi la memoria, sono inammissibili: il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa che consenta al terzo di parteciparvi esplicando le proprie difese e considerando che le due società cui sarebbe succeduta l’interveniente si sono costituite, resistendo al ricorso con proprio controricorso (cfr. al riguardo Cass. n. 5987/2021).
Memoria è stata depositata pure dai controricorrenti NOME, NOME e NOME.
Non hanno proposto difese gli intimati indicati in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento’: dopo la pronuncia della Corte di cassazione, la riassunzione della causa dinanzi alla Corte d’appello di Catanzaro doveva essere necessariamente effettuata nei confronti di tutti coloro che erano stati parte del giudizio di cassazione; invece gli eredi di NOME
COGNOME, che avevano partecipato ai primi due gradi di giudizio e sono stati parte del giudizio di cassazione, non sono stati citati quando è stato riassunto il giudizio davanti al giudice di rinvio e neppure quando, interrottosi il giudizio a seguito della dichiarazione della morte di NOME COGNOME, vi è stata la riassunzione del medesimo giudizio di rinvio.
Il motivo non può essere accolto. Anzitutto, va puntualizzato che il vizio di mancata integrazione del contraddittorio viene fatto valere non dagli asseriti litisconsorti pretermessi, ma da NOME e NOME COGNOME, che insieme a NOME COGNOME e a NOME COGNOME hanno riassunto il processo davanti alla Corte d’appello di Catanzaro, ossia da coloro che non hanno convenuto nel giudizio di rinvio gli eredi COGNOME (si veda al riguardo Cass. n. 24071/2019, che ha affermato l’inammissibilità dell’impugnazione della sentenza di rigetto proposta, per violazione dell’integrità del contraddittorio, dal soccombente che abbia agito in giudizio per l’accertamento dell’usucapione senza convenirvi tutti i comproprietari e senza sollecitare al riguardo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, non essendo ‘meritevole di tutela l’interesse ad un nuovo giudizio che si concluda con differente esito, traducendosi esso in un abuso del processo, oltre ad essere contrario al principio di ragionevole durata dello stesso ai sensi dell’art. 111 Cost.’).
Occorre poi considerare che delle domande proposte dagli attori in primo grado (di pronunciare la nullità o l’annullamento ovvero la risoluzione per inadempimento dei contratti di compravendita; di accertare la simulazione delle successive vendite ai sub-acquirenti o quanto meno la loro invalidità o inefficacia; di condannare gli acquirenti, sub-acquirenti o possessori alla restituzione e al rilascio dei beni e al risarcimento dei danni; in via subordinata, in caso di impossibilità del rilascio, di condannare in solido tutti i convenuti al risarcimento del danno corrispondente al valore degli immobili) solo l’ultima è stata fatta valere nei confronti di NOME COGNOME,
convenuto in primo grado quale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti (v. pag. 12 della sentenza impugnata), che non era né acquirente, né sub-acquirente, né possessore dei beni venduti dagli attori. La domanda, proposta in via subordinata, non è stata decisa in primo grado perché assorbita a seguito dell’accoglimento della domanda di annullamento dei contratti di compravendita e non è stata riproposta nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (v. pag. 20 della sentenza impugnata). In ogni caso, la domanda non è poi stata riproposta davanti al giudice di rinvio (si vedano le pagg. 717 dell’atto di riassunzione), ove anzi i ricorrenti hanno sostenuto che questa Corte, nella sentenza n. 9992/2014 che ha dato luogo al giudizio di rinvio, ha definitivamente escluso la legittimazione passiva di NOME COGNOME (v. pag. 6 dell’atto di riassunzione), così che, coerentemente, i ricorrenti non hanno notificato l’atto di citazione in riassunzione ai suoi eredi.
Non essendo la domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME, definitivamente rinunciata, stata oggetto del giudizio di rinvio -come precisa la sentenza impugnata alla pag. 20 -i suoi eredi non dovevano essere parte del giudizio, dal quale non potevano subire e non hanno subito pregiudizio alcuno.
Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi e concernono entrambi il rigetto della domanda di annullamento dei contratti di compravendita per la violenza subita da NOME COGNOME, proposta in via subordinata rispetto a quella di annullamento per dolo.
Il secondo motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 244 e 359 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio’ (art. 360, n. 5 c.p.c.): il giudice di rinvio ha ritenuto, in relazione alla richiesta di assunzione di prova testimoniale, che questa dovesse ritenersi in parte inammissibile e in parte
irrilevante, quando invece i ricorrenti avevano ‘assolto pienamente l’onere di specificare puntualmente i fatti oggetto di prova’; analoghe considerazioni valgono in relazione alla richiesta istruttoria di acquisizione di un rapporto della Guardia di finanza, ritenuta irrilevante.
b) Il terzo motivo lamenta ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 1434 c.c., nonché degli artt. 115, 116 e 210 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio’ (art. 360, n. 5 c.p.c.): il giudice di rinvio, dopo avere dichiarato inammissibili e irrilevanti le richieste istruttorie dei ricorrenti, ha poi illogicamente e contraddittoriamente rigettato la domanda perché sfornita di prova.
I motivi non possono essere accolti. Quanto alla censura -presente in entrambi i motivi -relativa alla ‘omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio’, si tratta di parametro che non trova applicazione al caso di specie, essendo tale parametro stato sostituito dal legislatore nel 2012 con il novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Il giudizio di ammissibilità e rilevanza della prova, poi, è giudizio che spetta al giudice di merito compiere (cfr. Cass. n. 17004/2018) e che la Corte d’appello ha sufficientemente argomentato, evidenziando come sia nella comparsa di costituzione nel giudizio di appello (ove la prova testimoniale non era stata nemmeno articolata in capitoli separati, facendo rinvio alla trattazione dell’argomento nella comparsa), sia nella articolazione della medesima prova nell’atto di riassunzione manchi ogni specificazione delle modalità della violenza asseritamente compiuta, difettando qualunque indicazione delle essenziali modalità di tempo, luogo e svolgimento dei fatti (segnatamente, sottolinea la Corte -il capitolo ‘c’: ‘esser vero che la signora COGNOME NOME sottoscrisse gli atti di cui al precedente capitolo a causa della coercizione e della violenza anche psicologica
subita da parte del proprio marito fino alla di lui morte improvvisa sopraggiunta il 3 ottobre 1984′). Circa la richiesta di acquisizione del rapporto della Guardia di finanza del 30 giugno 1987 nel quale COGNOME -anni dopo la conclusione dei contratti di compravendita -‘aveva dichiarato di avere subito violenza dal coniuge COGNOME COGNOME al fine di sottoscrivere i tre contratti’ (così il ricorso, pag. 22), il rigetto della Corte d’appello è anche qui motivato con la genericità della richiesta e con l’ulteriore rilievo della scarsa rilevanza del rapporto, essendo la richiesta di acquisizione volta a comprovare dichiarazioni comunque rese dall’attrice. Il secondo motivo, pur censurando in rubrica la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, si sostanzia nel rilievo della contraddittorietà e illogicità del rigetto della domanda di annullamento per violenza: il vizio non sussiste, in quanto -a fronte di richieste istruttorie inammissibili o irrilevanti e ancora prima del difetto di allegazione specifica dei fatti posto a fondamento della domanda (v. pag. 21 della sentenza impugnata) -è coerente il rigetto della domanda.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 8.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e in euro 8.700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%)
e accessori di legge in favore di NOME, NOME e NOME.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla