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Onere della prova professionista: chi deve dimostrare?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26166/2024, ha rigettato il ricorso di un advisor finanziario la cui richiesta di compenso era stata esclusa dal passivo di un fallimento. La Corte ha ribadito che l’onere della prova professionista grava su quest’ultimo: in caso di contestazione da parte del curatore fallimentare sull’adempimento, spetta al professionista dimostrare di aver eseguito la prestazione con la dovuta diligenza e in modo completo, non essendo sufficiente la mera allegazione dell’incarico ricevuto.

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Onere della Prova del Professionista: La Cassazione Stabilisce Chi Deve Dimostrare l’Adempimento

Quando un professionista richiede il pagamento del proprio compenso ma il cliente contesta la qualità o l’effettivo svolgimento del lavoro, su chi ricade la responsabilità di dimostrare la propria posizione? La questione dell’onere della prova del professionista è un tema centrale nel diritto civile, specialmente in contesti complessi come le procedure fallimentari. Con l’ordinanza n. 26166 del 7 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante conferma, chiarendo che spetta al professionista creditore dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri obblighi contrattuali.

I Fatti del Caso: L’incarico e l’Opposizione al Passivo Fallimentare

La vicenda trae origine dalla richiesta di ammissione al passivo fallimentare di una società a responsabilità limitata da parte di un advisor finanziario. Il professionista vantava un credito residuo di 50.000 euro per l’assistenza prestata nella procedura di concordato preventivo della società, poi fallita. L’incarico professionale comprendeva diverse attività cruciali: la redazione di una relazione aggiornata sulla situazione economico-patrimoniale, la stesura di piani di risanamento, la gestione delle trattative con i creditori e l’assistenza all’attestatore.

Tuttavia, il curatore fallimentare si era opposto alla richiesta, sollevando un’eccezione di inadempimento. Secondo il curatore, il professionista aveva agito con negligenza, redigendo un piano di risanamento inadeguato che aveva portato prima alla rinuncia della domanda di concordato e poi alla dichiarazione di inammissibilità della successiva proposta. Di conseguenza, il credito del professionista era stato escluso dallo stato passivo.

La Questione Giuridica e l’Onere della Prova del Professionista

Il cuore della controversia si è spostato sull’onere della prova del professionista. Il Tribunale, nel rigettare l’opposizione del professionista, aveva affermato due principi chiave:
1. L’esclusione del credito dipendeva sia dalla mancata prova degli elementi costitutivi del diritto (cioè l’effettivo e completo svolgimento di tutte le attività pattuite) sia dalla prova di circostanze impeditive (la negligenza nella redazione del piano).
2. Una volta che il debitore (in questo caso, il curatore per conto del fallimento) allega l’inadempimento o l’inesatto adempimento, grava sul creditore (il professionista) l’onere di provare di aver correttamente eseguito la prestazione.

Il professionista ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che l’onere di provare l’inesattezza della sua prestazione dovesse gravare sulla curatela fallimentare.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del professionista, confermando la decisione del Tribunale e consolidando un principio fondamentale in materia contrattuale. Le motivazioni della Corte si basano su un orientamento giurisprudenziale consolidato, che risale alla celebre sentenza delle Sezioni Unite n. 13533 del 2001.

Secondo questo indirizzo, nel rapporto tra creditore e debitore, al creditore è sufficiente allegare l’inadempimento della controparte, mentre spetta al debitore l’onere di provare il fatto estintivo del diritto, ossia di aver adempiuto. Tuttavia, quando è il debitore a sollevare l’eccezione di inadempimento per contestare la prestazione ricevuta, l’onere della prova del professionista torna in capo a quest’ultimo. Egli deve dimostrare non solo di aver eseguito la prestazione, ma di averlo fatto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.

Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato che il curatore aveva contestato non solo l’esecuzione incompleta di alcune attività, ma anche la palese inidoneità del piano di risanamento, come già accertato dal tribunale e dalla corte d’appello nelle fasi precedenti. Tale inidoneità configurava un inadempimento contrattuale con effetto estintivo del diritto al credito. Di fronte a tali contestazioni, il professionista non era riuscito a fornire prove sufficienti a dimostrare né la completezza né la correttezza del proprio operato. La documentazione prodotta è stata ritenuta insufficiente e le testimonianze generiche.

Conclusioni: L’Impatto Pratico per i Professionisti

Questa ordinanza rappresenta un monito cruciale per tutti i professionisti. La decisione ribadisce che, in caso di contenzioso, non è sufficiente presentare il contratto d’incarico o una fattura per vedersi riconosciuto il diritto al compenso. È indispensabile essere in grado di documentare meticolosamente ogni fase del proprio lavoro.

L’onere della prova del professionista impone di conservare una traccia dettagliata delle attività svolte, delle analisi effettuate, delle comunicazioni intercorse con il cliente e con terzi. Questo approccio non solo tutela il professionista in caso di future contestazioni, ma garantisce anche trasparenza e qualità nel rapporto con il cliente. In un contesto fallimentare, dove il controllo del curatore è particolarmente stringente, questa esigenza di documentazione diventa ancora più critica per evitare che il proprio lavoro venga vanificato e il relativo compenso negato.

In caso di contestazione, chi ha l’onere della prova riguardo l’adempimento di una prestazione professionale?
In base all’orientamento consolidato della Cassazione, a fronte della contestazione del cliente (o del curatore fallimentare) circa l’inadempimento o l’inesatto adempimento, l’onere di provare di aver eseguito correttamente e diligentemente la prestazione grava sul professionista creditore.

È sufficiente per un professionista allegare il contratto d’incarico per dimostrare il proprio diritto al compenso in un fallimento?
No, non è sufficiente. Come chiarito dalla Corte, il professionista deve fornire la prova concreta dello svolgimento completo di tutte le attività pattuite e della diligenza professionale impiegata, soprattutto se l’esecuzione della prestazione è stata contestata.

Un inadempimento qualitativo della prestazione può portare alla perdita totale del compenso?
Sì. La Corte ha stabilito che l’accertata inidoneità ex ante delle prestazioni dell’advisor, che ha reso il piano di risanamento non fattibile, configura un inadempimento contrattuale così rilevante da avere un effetto estintivo sul diritto al credito, giustificando la sua totale esclusione dallo stato passivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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