Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26266 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26266 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14300/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente-
avverso DECRETO di TRIBUNALE FOGGIA in RG n. 1173/2016, depositato il 28/03/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Dagli atti di causa emerge che con ricorso del 3.11.2015 l’AVV_NOTAIO chiese l’ammissione al passivo del RAGIONE_SOCIALE del credito di € 23.366,25 con il privilegio ex art. 2751-bis, n. 2) c.c.
Il Giudice delegato, recependo la proposta fatta dal curatore fallimentare nel progetto di stato passivo, rigettò la domanda per prescrizione presuntiva ex art. 2956, n. 2) c.c.
Il ricorrente propose opposizione ex art. 98 l.fall. e deferì al curatore giuramento decisorio ( de scienti a) per l’eventualità che questi insistesse nella suddetta eccezione.
Con la memoria ex art. 99 l.fall. il curatore sollevò varie eccezioni di merito, tra cui quelle di prescrizione del credito sia presuntiva, per decorso del termine triennale ex art. 2956, n. 2, c.c., sia estintiva, per decorso del termine decennale dalla conclusione dell’attività professionale, in mancanza di prova della data di deposito della sentenza del Tar di Bari, deliberata il 9.11.2015, con cui si era conclusa l’attività professionale svolta dall’opponente .
Quest’ultimo replicò, tra l’altro, che ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c. incombeva sulla curatela l’onere di dimostrare il compimento della prescrizione del credito, e che comunque la sentenza in questione, depositata in copia agli atti del procedimento, costituiva documento pubblico, liberamente accessibile dal portale della Giustizia amministrativa, dal quale poteva evincersi chiaramente la data di pubblicazione (9.11.2005), in ogni caso, era riportata in alto nella prima pagina del documento versato agli atti.
1.1. -Con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Foggia, all’esito del giuramento del curatore ‘ di non avere avuto notizia del pagamento del debito ‘, ha rigettato l’eccezione di prescrizione presuntiva, ma ha accolto quella di prescrizione estintiva, osservando che «la sentenza del Tar Puglia, depositata a conclusione del giudizio nell’ambito del quale l’opponente ha svolto l’attività professionale, è stata deliberata il 19.10.2005, mentre non vi è prova, in atti, della data eventualmente successiva dell’avvenuto deposito. In mancanza di ulteriori precedenti atti
interruttivi della prescrizione, il credito dev’essere ritenuto estinto alla data del deposito della domanda di insinuazione al passivo».
-Avverso detta pronuncia l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione in due mezzi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno prodotto memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo (rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2934 cc., nonché dell’art. 115 cpc ‘) si lamenta la violazione delle norme in tema di riparto dell’onere probatorio e del principio dispositivo, per aver il tribunale invertito l’onere della prova, «ribaltando sul professionista l’onere di dimostrare che il proprio credito non era prescritto», piuttosto che rilevare la mancata prova del compimento della prescrizione ordinaria da parte della curatela convenuta.
2.2. -Il secondo mezzo (rubricato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc ‘) denuncia la violazione del principio dispositivo e delle norme sulla valutazione delle prove, «per aver il tribunale erroneamente dedotto circa la mancata allegazione da parte del ricorrente della data di deposito della sentenza resa dal Tar Puglia Bari, a conclusione del giudizio per il quale aveva ricevuto mandato difensivo». In particolare, si lamenta un errore nell’esame della documentazione, poiché la predetta sentenza «sulla prima pagina reca l’indicazione del 9/11/2015 ».
-Entrambi i motivi sono inammissibili.
3.1. -Quanto al primo, mette conto di rilevare che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo -cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (che valgono anche in caso di domanda di accertamento negativo del credito: v. Cass. 9706/2024) -e non anche ove si contesti, come sostanzialmente avvenuto nel caso in esame, il concreto
apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendosi che le stesse non avrebbero dovuto portare al convincimento raggiunto dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 16598/2016; Cass. 26366/2017, 13395/2018, 26769/2018, 1634/2020, 17313/2020, 11362/2024).
Nel caso in esame, il Tribunale di Foggia non ha violato le regole della ripartizione dell’onere della prova, poiché ha posto a carico de ll’o pponente non già, come si assume, l’onere di dimostrare l’avvenuta prescrizione estintiva del credito rivendicato, bensì il diverso onere di contrastare l’eccezione di prescrizione estintiva sollevata dal curatore, che poi è stata ritenuta fondata, appunto, per mancanza di prova di atti interruttivi.
In effetti, in tema di prescrizione estintiva, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che l’onere di allegazione gravante sul convenuto che sollevi l ‘eccezione di prescrizione estintiva è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare (Cass. Sez. U, 15895/2019). Grava invece su chi ha esercitato il diritto soggetto a prescrizione l’onere di provare il fatto interruttivo della prescrizione, a fronte della dimostrazione che quel diritto è venuto in essere e poteva essere fatto valere in un momento in relazione al quale, in mancanza del fatto interruttivo, avrebbe dovuto essere considerato estinto quando è stato azionato (Cass. 5413/2021).
E dunque, mentre il RAGIONE_SOCIALE ha eccepito la prescrizione facendo leva sulla data del 19 ottobre 2005 risultante dalla sentenza del TAR Puglia prodotta dall’opponente, quest’ultimo , al fine di contrastare detta eccezione, non ha provato (producendo copia conforme della sentenza medesima) che la data di pubblicazione era in realtà successiva (segnatamente il 3 novembre 2005).
L’ulteriore contestazione , in relazione all’ art. 115 c.p.c., che quella prova esistesse verrà esaminata nel secondo motivo.
3.2. -Il vizio di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. denunciato con il secondo mezzo è parimenti inammissibile.
Il Tribunale di Foggia ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, ed in particolare la copia della sentenza
del TAR Puglia prodotta dall ‘opponente, recante la data di deliberazione del 19 ottobre 2005, rilevando la mancanza, in atti, della prova di una successiva data di deposito. Il ricorrente assume ora che quel documento sarebbe stato erroneamente esaminato, in quanto detta sentenza recava sulla prima pagina «l’indicazione del 9/11/2005», riguardo alla quale il controricorrente deduce che si trattava di una mera «annotazione a matita».
E’ allora sufficiente richiamare i principi consolidati che seguono.
La violazione dell’art. 115 c.p.c. ricorre solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023, 9427/2024).
La violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre invece solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad es. valore di prova legale), oppure, ove la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento. Quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione individuati da Cass. Sez. U, 8053/2014 (Cass. Sez. U, 34474/2019, 20867/2020; Cass. 20553/2021, 34459/2022, 2001/2023, 14703/2024) che però non sono stati denunciati, né ricorrono in questo caso.
Non vi è spazio per discutere del preteso ‘errore di percezione’ del contenuto della prova, avendo di recente le Sezioni unite chiarito che resta escluso dall’orbita della ricorribilità in cassazione , per violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., il vizio di travisamento che concerna non già il fatto probatorio in sé, bensì -come nel caso in esame -la riconducibilità ad esso dell’informazione probatoria che ne abbia tratto il giudice (Cass. Sez. U, 5792/2024).
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione proposta, se dovuto, a norma del comma 1-bis del l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11/09/2024.