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Onere della prova prelievi fraudolenti: la Cassazione

Una correntista subiva prelievi fraudolenti e citava in giudizio la propria banca. I tribunali di merito respingevano la sua richiesta, ma la Corte di Cassazione ha annullato la decisione. Con l’ordinanza n. 23683/2024, la Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: in caso di prelievi non autorizzati, l’onere della prova spetta alla banca, che deve dimostrare la colpa grave del cliente per essere esonerata da responsabilità.

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Onere della Prova nei Prelievi Fraudolenti: La Banca Deve Dimostrare la Colpa Grave del Cliente

I prelievi non autorizzati dal proprio conto corrente rappresentano un incubo per molti risparmiatori. Quando ciò accade, sorge una domanda cruciale: chi è responsabile e, soprattutto, chi deve provare cosa in un eventuale giudizio? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23683 del 4 settembre 2024) ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo che l’onere della prova nei prelievi fraudolenti grava sull’istituto di credito, non sul cliente. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una correntista si rivolgeva al tribunale dopo aver subito prelievi fraudolenti per un ammontare di oltre 5.700 euro dal suo conto, effettuati tramite carta di pagamento. Sosteneva che la responsabilità fosse della banca, rea di non aver adottato le misure di sicurezza idonee a prevenire tali operazioni. Tuttavia, sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello respingevano la sua domanda, ritenendo che non avesse fornito prove sufficienti, in particolare sulla clonazione della carta e sul mantenimento del possesso della stessa. I giudici di merito avevano inoltre ipotizzato, senza alcuna prova concreta, che i prelievi potessero essere stati effettuati da familiari a conoscenza del PIN.

L’Onere della Prova nei Prelievi Fraudolenti secondo i Giudici di Merito

La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su un’inversione dell’onere probatorio. Aveva considerato le affermazioni della cliente come mere allegazioni di parte, prive di valore probatorio, e aveva concluso che, in assenza di prove fornite dalla correntista, la domanda dovesse essere respinta. Inoltre, aveva compiuto un salto logico ingiustificato, deducendo che, poiché alcuni prelievi erano avvenuti mentre la cliente era in Italia (prima di un viaggio all’estero), questi fossero stati ‘con elevato grado di probabilità’ opera di familiari. Questo approccio ha messo la correntista in una posizione difficile, quasi diabolica: dover provare un fatto negativo, ossia di non aver agito con negligenza.

La Decisione della Corte di Cassazione: Ribaltato l’Onere della Prova

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della correntista, cassando con rinvio la sentenza d’appello. I giudici di legittimità hanno censurato pesantemente il ragionamento della corte territoriale, definendolo ‘apodittico’, ovvero basato su affermazioni non dimostrate e prive di un solido percorso logico.

La Cassazione ha evidenziato due errori capitali:

1. Contraddittorietà sulla Prova: La Corte d’Appello aveva prima negato alla cliente la possibilità di provare con testimoni di aver sempre mantenuto il possesso della carta, per poi rigettare la sua domanda proprio perché tale circostanza non era stata provata. Si tratta di una palese contraddizione che vizia la sentenza.
2. Errata Applicazione dell’Onere della Prova: Il punto centrale della decisione riguarda la ripartizione dell’onere della prova nei prelievi fraudolenti. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento, secondo cui la responsabilità della banca per operazioni effettuate con strumenti elettronici ha natura contrattuale.

Il Principio della Responsabilità Contrattuale della Banca

In base a tale principio, il cliente ha solo il compito di provare la fonte del suo diritto (il contratto di conto corrente) e allegare l’inadempimento della banca (i prelievi non autorizzati). Spetta invece alla banca, in qualità di debitore della prestazione di sicurezza, dimostrare il fatto estintivo della pretesa del cliente. Per farlo, l’istituto di credito deve provare:

* Di aver adottato tutte le misure di sicurezza tecnicamente idonee a garantire la genuinità delle operazioni.
* Che l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento è riconducibile a dolo o colpa grave del correntista.

La possibilità di una sottrazione dei codici tramite tecniche fraudolente è considerata un rischio d’impresa che la banca deve mitigare con sistemi adeguati.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione sono nette: la Corte d’Appello ha errato nel fondare la propria decisione su una presunzione (l’uso da parte di familiari) priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge. Il ragionamento del giudice di merito si è rivelato ‘apparente’, incapace di spiegare il nesso logico tra il fatto noto (prelievi avvenuti in Italia) e la conseguenza ignota (colpevolezza di terzi vicini al cliente). Soprattutto, è stato violato il principio cardine secondo cui, nel rapporto banca-cliente, la diligenza richiesta all’istituto è di natura tecnica e professionale. Pertanto, è la banca a dover fornire la prova liberatoria, dimostrando che l’evento dannoso è stato causato da un comportamento gravemente negligente del cliente o da un evento imprevedibile al di fuori della propria sfera di controllo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza in modo significativo la tutela dei correntisti. Stabilisce chiaramente che il cliente che denuncia un prelievo fraudolento non deve imbarcarsi in una ‘probatio diabolica’ per dimostrare la propria assenza di colpa. Al contrario, è l’intermediario finanziario, forte della sua superiorità tecnica, a dover dimostrare che i suoi sistemi di sicurezza erano ineccepibili e che la falla si è aperta a causa di una condotta gravemente imprudente del cliente. Per i risparmiatori, si tratta di una garanzia fondamentale che riequilibra le posizioni in un ambito sempre più esposto ai rischi della tecnologia.

In caso di prelievi fraudolenti, chi deve provare la responsabilità?
Spetta alla banca dimostrare di aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie e che l’uso non autorizzato della carta è dovuto a dolo o colpa grave del cliente. Il correntista deve solo denunciare l’operazione e provare l’esistenza del rapporto contrattuale.

L’utilizzo del PIN è sufficiente per attribuire la responsabilità al cliente?
No. Secondo la Corte, l’uso del PIN non esonera automaticamente la banca dalla sua responsabilità. L’istituto di credito deve comunque provare che il cliente ha custodito il codice con grave negligenza, tale da aver agevolato la frode.

Cosa succede se la motivazione di una sentenza è ‘apparente’ o ‘apodittica’?
Una motivazione di questo tipo, che non spiega in modo logico e coerente le ragioni della decisione, rende la sentenza nulla. La Corte di Cassazione, come in questo caso, può annullare la sentenza e ordinare un nuovo esame della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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