Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33958 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33958 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8533/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE.
-RICORRENTE- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE.
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CONTRORICORRENTE- avverso la sentenza di Corte d’appello di BOLOGNA n. 2277/2018, depositata il 11/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2277/2018, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Ferrara, in sede di opposizione della debitrice, aveva revocato il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del saldo del corrispettivo di lavori edili.
Il Giudice di appello ha ritenuto provato il pagamento d ell’intera somma richiesta (pari ad € 80.000,00 ), affermando che la dichiarazione scritta del padre del ricorrente di aver ricevuto €. 50.000,00 come “acconto per i lavori effettuati in INDIRIZZO Massa Fiscaglia” e l’assegno € 30.000 sottoscritto da un impiegato del direttore dei lavori quale acconto sulla fattura n. 9/2008, pagato il 4.5.2008, erano vere e proprie ricevute di versamento, unitamente alla fattura n. 13/08, recante l’annotazione ‘ meno acconto fatture nn. 9/2008 e 12/2009 ‘, relativamente alle somme versate in anticipo.
Deponeva in tal senso, secondo la pronuncia impugnata, anche il comportamento del ricorrente in un altro giudizio, in cui aveva opposto in compensazione ad un terzo il credito di cui alla fattura 13/09, senza far alcun riferimento alle fatture 9/08 e 12/09, in quanto presumibilmente già pagate. Non vi era prova di crediti ulteriori rispetto alle somme già corrisposte ( € 80.000,00 ), poiché, secondo la pronuncia, non era sufficiente il computo metrico sottoscritto dalle parti, acquisito al processo, che ricomprendeva anche lavori non eseguiti, era stato contestato, aveva subito successive modifiche e riportava un importo dei lavori diverso da quello concordato ed era infine inammissibile la richiesta di esibizione delle scritture contabili della società, poiché generica e meramente esplorativa.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso in 9 motivi, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., sostenendosi che, avendo la debitrice eccepito il pagamento delle tre fatture poste a fondamento del ricorso monitorio, dovevano considerarsi provate la sussistenza del debito e l’esecuzione delle prestazioni, dando titolo alla corresponsione della somma richiesta in giudizio.
Non sarebbe stata, invece, raggiunta la prova del pagamento poiché nessuno degli elementi documentali aveva valore di quietanza, non la fattura n. 13/09, posto che le fatture ivi richiamate, i cui importi erano indicati come versati in acconto, erano state detratte solo contabilmente ai fini del calcolo dell’Iva , né la dichiarazione del 23.11.2007 poiché sottoscritta da soggetto diverso dal creditore, né tantomeno l’assegno di € 30.000,00, che non poteva imputarsi agli acconti oggetto delle fatture emesse due anni dopo. In ogni caso, il computo metrico, mai contestato, dava pienamente conto di un credito superiore alle somme ( € 80.000,00) asseritamente corrisposte dalla committente.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2702 c.c. , sostenendosi che il computo metrico costituiva una scrittura privata riconosciuta ed aveva valore vincolante riguardo alle opere eseguite e ai corrispettivi spettanti all’ appaltatore, mentre il pagamento non poteva considerarsi dimostrato dal comportamento tenuto dal ricorrente in un diverso giudizio.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 2733 c.c. lamentando che, alla luce dei principi stabiliti da ll’art. 22 del D.L. 56/2017 in tema di appalto pubblico, il computo metrico era parte integrante del contratto e aveva pieno valore impegnativo.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 1988 c.c. , rilevandosi che la società aveva implicitamente riconosciuto il debito, avendo contestato solo talune voci riportate nel computo metrico.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. , per aver la sentenza disatteso il valore probatorio del computo metrico che attestava un credito superiore a quello pagato e che non era stato oggetto di contestazioni.
Il sesto motivo denuncia la violazione dei principi del giusto processo e il travisamento del contenuto della fattura n. 13/09, che provava la conformità tra l’impo rto fatturato e quello effettivamente concordato dalle parti.
Il settimo motivo allega la violazione dell’art. 1324 c.c., assumendosi che il contenuto della fattura 13/09 non consentiva di ritenere versate le somme di cui alle altre due fatture ivi menzionate, nel senso che la dicitura ‘ meno fatture di acconto ‘ posta sotto l’indicazione dell’ importo totale e prima della dicitura ‘ imponibile ‘ , aveva solo valenza contabile ai fini del l’applicazione dell’ iva.
L’ottavo motivo deduce la violazione dell’art. 6 DPR 633/1972 , sostenendosi che la disciplina sopravvenuta dell’Iva prevede l’emissione della fattura secondo il princ ipio di cassa, mentre all’epoca dei fatti valeva ancora il principio di competenza per cui la fattura era emessa anche in assenza di pagamento.
Gli otto motivi suindicati, che pongono sotto diversi aspetti le medesime questioni e che pertanto possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La società opponente aveva affermato di aver integralmente estinto il debito, non di dovere un importo superiore a quello versato.
Nelle difese dell’ingiunta non era rintracciabile alcuna ricognizione di debito, con gli effetti dell’art. 1988 c.c., né alcuna ammissione dei fatti costitutivi della domanda, non occorrendo una più esplicita contestazione del computo metrico, essendo peraltro pacifico, come ha affermato dal giudice distrettuale, che le opere ivi elencate non erano state eseguite e che non vi era corrispondenza tra gli importi
preventivati e i prezzi contrattuali , non avendo l’atto alcun effettivo valore impegnativo.
Secondo il criterio generale di riparto dell’onere della prova (Cass. su 13533/2001), spettava -quindi – al ricorrente dimostrare l’esistenza di un saldo, fermo, per giunta, che i pagamenti attestati dagli elementi documentali acquisiti corrispondevano, negli importi, a quanto preteso con il ricorso monitorio (€ 80.000,00).
La prova dell’integrale pagamento riposa, per contro, su una pluralità di elementi convergenti, che il ricorso propone di valutare atomisticamente ma che correttamente la Corte di merito ha apprezzato unitariamente, ponendo anzitutto in rilievo che la quietanza di €. 50.000,00 era stata rilasciata dal padre del ricorrente, indicato quale destinatario del pagamento ai sensi dell’art. 1188 c.c. profilo su cui non sono proposte specifiche censure in ricorso -sicché l’atto aveva pieno valore probatorio ed effetti liberatori per il debitore (Cass. 14130/2024), riportando la causale e la riferibilità del versamento ai lavori oggetto di causa.
Quanto al residuo importo di € 30.000,00 la Corte ha valorizzato l’assegno bancario recante il timbro del direttore dei lavori nonché la fattura 13/09, che dava conto del pagamento degli acconti di cui alle fatture 9/08 e 12/09, evidenziando come in altro giudizio il ricorrente avesse opposto in compensazione il residuo credito di cui alla fattura n. 13/2009, non di quelle precedenti proprio perché presumibilmente soddisfatte, traendo da tale condotta un’ ulteriore conferma del l’effettività dei versamenti in anticipo, il che esclude che le annotazioni contenute nella fattura 13/09 fossero finalizzate solo al calcolo dell’ iva.
È peraltro indubbio che, quando il pagamento venga eccepito mediante la produzione di assegni o cambiali, che per la loro natura presuppongono l’esistenza di un’obbligazione cartolare (e l’astrattezza della causa), l’onere probatorio della riferibilità del pagamento al debito dedotto in causa compete al debitore, che
deve dimostrare il collegamento dei titoli di credito con i crediti azionati, ove ciò sia contestato dal creditore (Cass. 26275/2017; Cass. 27247/2023), ma è proprio tale prova che la Corte di merito ha ritenuto raggiunta, con apprezzamento delle risultanze probatorie poiché logicamente motivato.
Quanto al computo metrico, la sentenza ha escluso che fosse elemento sufficiente a provare l’esistenza di un credito rimasto insoluto, essendo pacifico che non tutti i lavori erano stati eseguiti e che il computo metrico aveva subito successive modifiche.
Le deduzioni del ricorrente, che invoca l’efficace vincolante della sottoscrizione anche alla luce della sopravvenuta disciplina degli appalti pubblici, si esaurisce in una critica slegata dal reale contenuto della sentenza.
Il nono motivo deduce la violazione degli artt. 2711 c.c. e 210 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte di merito negato l’ ordine di esibizione delle scritture contabili, pur essendo l’unico unico mezzo a disposizione del creditore per dimostrare l’inadempimento.
Il motivo è inammissibile poiché non censura l’affermat a genericità ed il carattere esplorativo della richiesta, diretta all’esibizione delle scritture relative a più annualità, priva di precisi riferimenti alle singole annotazioni rilevanti in causa e di cui non era possibile stabilire l’indispensabilità, lamentando un’astratta lesione del diritto alla prova senza dar conto del rispetto delle pregiudiziali condizioni di ammissibilità del mezzo istruttorio.
Il ricorso è respinto, con aggravio di spese.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 4000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda