Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27280 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27280  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15342/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE,  rappresentata  e  difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
 avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  BRESCIA  n. 1431/2019, depositata il 3/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME NOME.
PREMESSO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Mantova un decreto che ha ingiunto all’RAGIONE_SOCIALE il pagamento di euro 25.440 a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per una fornitura di cocomeri (a fronte di una fornitura per euro 37.400, come indicato nella fattura n. 1 del 12 giugno 2014, l’ingiunta aveva pagato euro 12.000). RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione, contestando l’importo richiesto, avendo versato acconti per euro 15.440 (somma poi modificata in euro 24.000), ed eccependo di avere maturato, a sua volta, un credito nei confronti di controparte pari a euro 28.807,86 per la fornitura di ‘materiale per la coltivazione della frutta’, proponendo domanda riconvenzionale per l’accertamento di tale credito e per la condanna di controparte al pagamento della suddetta somma o della diversa somma dovuta all’esito della compensazione tra i due crediti.
Con  la  sentenza  n.  67/2017  il  Tribunale  di  Mantova  ha  respinto l’opposizione e ha rigettato la domanda riconvenzionale, ritenendo che l’opponente non avesse dimostrato né di avere versato acconti di importo superiore rispetto a quanto indicato dall’opposta, né di avere noleggiato alla medesima proprio materiale.
La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE. Con la sentenza n. 1431/2019 la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il gravame. Circa il primo motivo che censurava la non corretta valutazione della documentazione comprovante l’avvenuto pagamento di acconti per l’importo di euro 24.000 in luogo del minore importo di euro 12.000 accertato dal Tribunale, sostenendo l’appellante di avere prodotto documentazione comprovante l’avvenuto versamento di euro 20.000 e un ulteriore accolto di euro 4.000 in contanti, il giudice d’appello ha affermato che la debitrice
avrebbe dovuto esattamente imputare gli adempimenti, imputazione non posta in essere alla luce della documentazione prodotta, avendo d’altro canto la debitrice nell’atto di opposizione indicato in euro 15.440 l’importo degli acconti, per poi aumentarlo nel corso di causa ed essendo privo di riscontro il pagamento in contanti di euro 4.000. Circa il secondo motivo che lamentava l’erronea valutazione della documentazione prodotta in giudizio in relazione alla fornitura di materiale per la coltivazione, asserendo l’appellante di avere venduto materiale per l’importo di euro 28.807,86, come risulta da una fattura ed è stato confermato da un testimone e non è stato contestato da controparte, il giudice d’appello ha affermato che la fornitura è stata oggetto di contestazione e non è risultata provata.
Avverso la sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., avendo la Corte d’appello di Brescia omesso di esaminare e considerare, ai fini del decidere, la non contestazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dell’importo complessivo delle somme versate’ dalla ricorrente e ‘da imputarsi in acconto alla fattura 1/2014; mancanza e/o insufficiente e/o carente e illogica motivazione in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c.’, eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. laddove vincola il giudice a porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, quanto il vizio di motivazione per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che, se tenuti presenti, avrebbero portato a un diverso convincimento.
Il motivo non può essere accolto. Quanto al vizio di omesso esame di un fatto decisivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., va ricordato che ai sensi dell’art. 348 -ter , penultimo e ultimo comma c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, basandosi sulle stesse ragioni inerenti la questione di fatto, non può essere proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma c.p.c. Questa Corte ha poi specificato che nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023), indicazione che manca nel motivo fatto valere dalla ricorrente. Quanto alla violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., va anzitutto osservato che oggetto del ricorso per cassazione è la sentenza di secondo grado, così che la ricorrente avrebbe dovuto denunciare non la violazione in sé del principio di non contestazione, ma la risposta -o la mancata risposta -del giudice d’appello alla censura di violazione del principio posta in essere dal giudice di primo grado (censura, peraltro, cui la ricorrente fa cenno alla pag. 5 del ricorso, ma che non trascrive). Occorre poi, in ogni caso, evidenziare che costituisce ‘elemento valutativo riservato al giudice del merito’, apprezzare, ‘nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte’ (così Cass. n. 3680/2019 e, da ultimo, Cass. n. 15058/2024).
2) Il secondo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione degli artt.  115  c.p.c.,  1193  e  2697  c.c.  in  relazione  all’art.  360,  n.  3 c.p.c.’:  il  giudice  ha  invertito  l’onere  probatorio,  ponendo in capo
alla  ricorrente  la  prova  della  esatta  imputazione  dei  pagamenti della  NUMERO_DOCUMENTO;  a  fronte  della  comprovata  esistenza  dei pagamenti eseguiti dalla ricorrente spettava alla opposta dimostrare e provare sia l’esistenza di altri crediti scaduti sia la loro imputazione.
Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha osservato che tra le parti sono ‘intercorsi rapporti commerciali per molti anni e fino al 2014’; ciò significa -ha proseguito la Corte -che al fine del computo degli acconti versati dalla ricorrente a controparte per il pagamento della fattura n. 1/2014, posta alla base del decreto ingiuntivo, ‘si sarebbe resa necessaria, da parte del debitore, l’esatta imputazione dei pagamenti, onde dare prova compiuta e incontrovertibile dell’esatto importo della parte di debito già estinta’. L’affermazione del giudice d’appello non può essere condivisa: questa Corte ha avuto, più volte, occasione di affermare che, quando una parte agisce per l’adempimento di un proprio credito e il convenuto dimostra di avere pagato delle somme idonee ad estinguere il debito, spetta all’attore, il quale sostenga che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell’esistenza dell’altro credito e delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione ( ex plurimis cfr. da ultimo Cass. n. 450/2020, Cass. n. 14620/2009 e Cass. n. 17102/2006).
3) L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del terzo motivo, che lamenta, in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., carente e illogica motivazione, violazione e falsa applicazione del principio di diritto espresso dalla Corte d’appello in motivazione in punto ‘imputazione pagamenti’, per avere ritenuto non raggiunta la prova dell’esatto importo della parte di debito già estinta perché solo nella causale di alcuni bonifici prodotti si fa riferimento al pagamento di acconti per l’anno 2014.
4) Il quarto motivo contesta, invocando i nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.,  ‘vizio  di  omessa,  insufficiente  e/o  illogica  motivazione,
laddove la Corte d’appello, decidendo sulla riconvenzionale, ha omesso di definire la natura giuridica del rapporto in questione, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.’: la motivazione data dalla Corte d’appello, che ha omesso del tutto di procedere alla qualificazione giuridica del rapporto e quindi della disciplina applicabile, è tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico per giungere alla decisione adottata; se si dovesse ritenere correttamente operata la qualificazione giuridica del rapporto quale prestito, la sentenza va censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., non avendo controparte provato la natura gratuita del rapporto.
Il motivo non può essere accolto. In conformità all’esegesi svolta dalle sezioni unite di questa Corte con le decisioni n. 8053 del 2014 e n. 8038 del 2018, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. A fronte della domanda della ricorrente di pagamento di una fornitura di materiale, il giudice d’appello ha ritenuto insufficiente a dimostrare la conclusione di un contratto di vendita l’emissione della fattura da parte della ricorrente e le dichiarazioni rese da un testimone, con motivazione che pertanto non è né mancante o apparente, né presenta affermazioni inconciliabili o incomprensibili. Non è neppure ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la
Corte  d’appello  correttamente  attribuito  l’onere  della  prova  della conclusione  del  contratto  di  fornitura  della  merce  alla  ricorrente, trattandosi  di  fatto  costitutivo  della  domanda  riconvenzionale  da essa fatta valere.
II.  La  sentenza  impugnata  va  pertanto  cassata  in  relazione  al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Brescia, che  deciderà  attenendosi  al  principio  di  diritto  sopra  ricordato.  Il giudice  di  rinvio  provvederà  in  relazione  alle  spese  del  presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo e rigettati i restanti motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Brescia.
Così  deciso  in  Roma,  nella  adunanza  camerale  della  sezione seconda civile, in data 13 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME