Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21340 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 21340 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4155/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 3811/2021 depositata il 29/12/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La vicenda trae origine dalla domanda, proposta da COGNOME NOME (figlia ed unica erede di COGNOME NOME) nei confronti di NOMECOGNOME NOME e NOME, di restituzione delle somme che i convenuti avrebbero indebitamente percepito in seguito ad assegni o bonifici tratti dal conto corrente intestato alla defunta COGNOME NOME, su cui era delegato ad operare NOME, ovvero in seguito a prelievi in contanti dal detto conto effettuati da NOME.
Nel dettaglio, parte attrice chiedeva la restituzione di: a) Euro 90.000,00, incassati da NOME (figlio di NOME e NOME); b) Euro 158.300,00, incassati da NOME (marito di COGNOME NOME); c) Euro 10.000,00, incassati da COGNOME NOME (sorella di COGNOME NOME) e NOME; d) Euro 98.000,00 prelevati in contanti dalla stessa COGNOME NOME dal suo conto e da lei corrisposti a NOME e COGNOME NOME.
Costituitisi in giudizio, i convenuti instavano per il rigetto della domanda e chiedevano, in via subordinata, la condanna dell’attrice, quale unica erede di COGNOME NOME, al pagamento di Euro 130.189,19, in favore di COGNOME NOME, a titolo di rimborso delle
spese di vitto e alloggio e delle spese per il funerale di COGNOME NOME, interamente sostenute dalla sorella COGNOME NOME
Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 194/2020, condannava NOME COGNOME alla restituzione all’attrice di Euro 59.230,00, oltre interessi legali dalla singola dazione al soddisfo, e rigettava ogni altra domanda, rilevando la sussistenza di una causa di liberalità degli ulteriori pagamenti effettuati dalla stessa COGNOME NOME in favore di NOME e COGNOME NOME; per l’effetto, condannava NOME COGNOME alla rifusione delle spese di lite in favore dell’attrice, compensandole, invece, per le altre parti in causa.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 3811/2021, decidendo sul gravame interposto dalla Calzolari, condannava NOME COGNOME alla restituzione di Euro 61.800,00, in favore dell’appellante, con interessi legali al saggio di cui all’art. 1284, comma 1, c.c. dalla data della domanda giudiziale al saldo, nonché alle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio in favore dell’appellante; compensava, invece, le spese per le altre parti in causa.
In particolare, per quel che qui interessa, la Corte territoriale rilevava che: (-) in relazione alla somma di Euro 90.000,00, NOME NOME aveva allegato che il relativo bonifico era stato disposto a titolo di restituzione del maggior prezzo, fissato nel contratto definitivo, rispetto a quello effettivamente pattuito (nel preliminare), dallo stesso pagato a COGNOME NOME ed NOME COGNOME per l’acquisto di un immobile (a pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata); (-) per la parte relativa al prelievo in contanti di Euro 55.330,00, era pacifico che NOME era delegato ad operare sul conto intestato a COGNOME NOME; sicché, il fatto che costui avesse prelevato somme in contanti dal conto non costituiva di per sé prova di un pagamento fatto in suo favore da COGNOME NOME, dovendo ritenersi provata la esistenza di
un mandato tra COGNOME NOME (mandante) e NOME COGNOME (mandatario), avente ad oggetto l’esecuzione di operazioni bancarie sul conto corrente della prima. Pertanto, l’appellante, n.q. di erede di COGNOME NOME avrebbe dovuto promuovere, nei confronti del mandatario NOME COGNOME, l’azione di rendiconto, di cui all’art. 1713 c.c., e solo in tal caso quest’ultimo sarebbe stato, eventualmente, obbligato a giustificare tutti i prelievi in contanti da lui effettuati (a pag. 10 della sentenza impugnata).
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso COGNOME NOME, articolando sei motivi di censura.
3.1. Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
3.2. Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per manifesta contraddittorietà della motivazione, in relazione agli artt. 111 Cost. e 132, n. 4, c.p.c.
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto (a pagg. 13 e 14) che la RAGIONE_SOCIALE che agiva per la ripetizione di indebito assumendo la prevalenza del contratto definitivo rispetto al preliminare allegato dal convenuto aveva l’onere di provare l’esatto contrario, ovvero il carattere fittizio del contratto definitivo a favore del minor prezzo indicato nel preliminare.
Ritiene, così, che la motivazione resa dalla Corte ambrosiana sia caratterizzata da una intrinseca contraddittorietà, tale da
precludere un reale controllo dell’iter argomentativo su cui poggia la sentenza d’appello.
La Corte di merito avrebbe, infatti, dichiarato che la causa solutionis allegata dal convenuto era costituita da un asserito obbligo di restituzione della differenza di prezzo previsto nel definitivo, in quanto più alto rispetto a quello stabilito nel preliminare; il convenuto avrebbe così allegato la prevalenza/effettività del preliminare e il carattere fittizio del prezzo indicato nel definitivo.
In tal modo, la Corte di merito, dopo aver affermato che la natura fittizia del prezzo indicato nel definitivo rappresenterebbe la causa solutionis (meramente) allegata dal convenuto, ha ritenuto poi che l’attrice in ripetizione dovesse provare la inesistenza ovvero la inefficacia della fittizia indicazione del prezzo nel contratto di vendita definitivo.
4.2. Con il secondo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1173, 1321, 1325, 1230, 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto ‘irrilevante’ il contratto definitivo.
I Giudici di secondo grado avrebbero ritenuto provata la causa solutionis del pagamento ricevuto da NOME Giuseppe (pur) a fronte della mera allegazione da parte di quest’ultimo del contratto preliminare, ritenendo irrilevante l’intervenuta, successiva, conclusione del contratto definitivo, nel quale le parti indicavano il prezzo della vendita secondo un importo più alto rispetto a quello inizialmente previsto nel preliminare.
Parte ricorrente asserisce, in proposito, che il contratto definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni, e non la mera ripetizione del precedente contratto preliminare, il quale resta superato dal definitivo, salvo che i contraenti non abbiano espressamente stabilito che talune previsioni contenute nel preliminare sopravvivano al definitivo (in proposito viene evocato il
precedente di Cass. n. 20541/2017). Ciò in quanto la sottoscrizione del contratto definitivo costituisce adempimento dell’obbligo di concludere il contratto che sorge al momento della stipula del preliminare, determinandone il superamento.
Senonché, la pronuncia impugnata – ad avviso della ricorrente attribuirebbe invece rilievo al prezzo stabilito nel preliminare (definito ‘principio di prova a favore del convenuto’ a pag. 14 della sentenza impugnata), qualificando, del tutto apoditticamente, come ‘irrilevante’ la diversa previsione contenuta nel contratto definitivo.
Al contrario, era onere del convenuto, ex art. 2697 c.c., provare (e non solo allegare) la esistenza di un’obbligazione restitutoria, dimostrando l’esistenza di una valida pattuizione modificativa o simulatoria del prezzo previsto nel definitivo.
4.3. Con il terzo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza ‘per omessa motivazione circa la ritenuta prevalenza della previsione del prezzo contenuta nel contratto preliminare’.
Il motivo reitera, al fondo, la doglianza mossa col precedente mezzo, stavolta dedotta sulla scorta di un asserito error in procedendo , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., poiché il Giudice di merito non avrebbe esplicitato le ragioni poste alla base del convincimento per cui il prezzo indicato nel preliminare abbia reso irrilevante la previsione del prezzo contenuta nel definitivo.
4.4. Con il quarto motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2697, 2033, 2722, 2729, 1414 e 1417 c.c.
Oggetto di specifica censura è la porzione della sentenza nella quale il Giudice di secondo grado afferma che, «a fronte della allegazione da parte di NOME NOME di un ben preciso titolo giustificativo del bonifico per € 90.000, disposto in suo favore da COGNOME NOME, l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità del titolo giustificativo, allegato dall’ accipiens … gravava, in forza di quanto
sopra esposto, sull’appellante COGNOME che ha agito per la ripetizione dell’indebito, e tale inesistenza e/o invalidità o inefficacia non risulta affatto provata».
Osserva la ricorrente che, alla luce dei principi enunciati dai Giudici di legittimità, colui che agisce in ripetizione ha l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai specifici rapporti tra questi intercorsi e puntualmente dedotti in giudizio, evocando, a supporto della censura de qua, il precedente di Cass. n. 19902/2015.
Nel caso di specie, invece, la asserita la prevalenza del preliminare rispetto al definitivo deriverebbe – secondo la motivazione della sentenza impugnata – dal solo fatto che il convenuto abbia allegato un ‘preciso titolo giustificativo’ del bonifico, di guisa che la semplice allegazione (e non già la prova) di una iusta causa solutionis da parte del convenuto esaurirebbe il suo onere probatorio.
Rileva, per converso, che proprio sul convenuto in ripetizione grava l’onere della prova (in senso stretto) della esistenza di un titolo giustificativo del pagamento, che sia valido ed efficace.
Aggiunge poi che, per questa via, la Corte avrebbe violato anche l’art. 1417 c.c., in quanto il convenuto, che aveva allegato il carattere simulato del prezzo previsto nel definitivo, aveva altresì l’onere di provare la simulazione, con i limiti previsti dal Codice.
4.5. Con il quinto motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nullità della sentenza per grave travisamento della prova orale, nonché irragionevole interpretazione del dato probatorio.
La ricorrente ritiene che i Giudici d’appello abbiano macroscopicamente travisato il significato e il senso della testimonianza deferita dal teste COGNOME COGNOME la quale non avrebbe affatto confermato l’esistenza di un accordo tra le parti
della vendita, volto ad indicare nel contratto definitivo un prezzo fittizio rispetto a quello effettivamente voluto (i.e., il prezzo fissato nel preliminare).
La teste si sarebbe, infatti, limitata a dichiarare che «un po’ prima che nascesse la nostra bimba, il mio compagno ed io abbiamo saputo che COGNOME NOME aveva l’intenzione di vendere una porzione di casa, quindi abbiamo chiesto il costo. Lei disse la cifra di € 180.000,00 definitiva» (come risultante dal verbale di udienza del 15.6.2018, riprodotto a pag. 20 del ricorso).
4.6. Con il sesto mezzo parte ricorrente censura il capo della sentenza relativo alla domanda di restituzione di indebito per la somma prelevata in contanti da NOME dal conto corrente intestato a COGNOME NOME, denunciando la violazione degli artt. 2697 e 2033 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte ambrosiana avrebbe illegittimamente posto a carico della COGNOME (attrice in ripetizione) l’onere di provare, oltre alla inesistenza della causa solutionis , anche la ‘omessa riconsegna del danaro prelevato’ da parte del convenuto, così violando gli artt.
2697 e 2033 c.c.
In proposito, viene evocato il precedente di questa Corte ai sensi del quale, nella ripetizione di indebito, opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore, il quale è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. n. 30713/2018) e non anche la mancata restituzione delle somme pagate o incassate dall’ accipiens , quale fatto impeditivo.
Osserva la ricorrente che l’azione di indebito da lei esperita aveva ad oggetto la restituzione delle somme prelevate dal NOME, non in quanto riscosse illegittimamente, ma in quanto trattenute/non restituite alla defunta COGNOME NOME in assenza di alcuna causa giustificativa.
Del resto, il convenuto non avrebbe affatto dedotto una iusta causa solutionis , avendo, anche stavolta, soltanto asserito di aver restituito le somme prelevate.
Ritiene la ricorrente che l’argomento adottato dalla Corte territoriale, secondo cui l’attrice (in thesi mandante) avrebbe dovuto chiedere il rendiconto ex art. 1713 c.c., è del tutto irrilevante, a fronte della espressa affermazione del convenuto di avere consegnato ogni prelevamento alla titolare del conto. Infatti, il concreto riparto dell’onere di provare l’intervenuta restituzione delle somme ricevute dall’ accipiens è identico rispetto alla ‘consegna’ in attuazione dell’obbligo restitutorio previsto a carico del mandatario ex art. 1713 c.c. e alla restituzione delle somme oggetto di indebito oggettivo.
5.1. Il primo motivo è infondato.
Ed invero, la censura – pur correttamente veicolata, prospettando il vizio di contraddittoria motivazione sub specie di error in procedendo evincibile dal testo della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per «manifesta e irriducibile sua contraddittorietà» (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) non coglie nel segno.
È, infatti, appena il caso di osservare che, nel caso di specie, un siffatto vizio motivazionale non è ravvisabile nella sentenza gravata.
Trattasi, peraltro, di motivazione che, pur non risultando contraddittoria, è comunque il frutto di un ragionamento inferenziale non condivisibile, poiché non corretto in punto di diritto, come si verrà di seguito ad illustrare, con l’esame dei successivi motivi d’impugnazione.
5.2. In proposito, il secondo, il terzo e il quarto motivo, che possono essere congiuntamente esaminati perché strettamente connessi, meritano accoglimento.
Secondo i principi, oramai consolidati, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di onere probatorio nell’azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., deve ritenersi operante il normale principio dell’onere della prova gravante sull’attore, «il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi» (v. Sez. 2, Ordinanza n. 3087 del 23/12/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 6983 del 15/03/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 19019 del 05/07/2023), avendo la medesima giurisprudenza opportunamente precisato che «l’attore ha l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e accipiens » (v. Sez. 3, Ordinanza n. 9748 del 14/04/2025; Sez. 3, Ordinanza n. 33325 del 19/12/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 19792 del 17/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 11190 del 26/04/2024; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14428 del 26/05/2021). Ebbene, la Corte territoriale ha ampiamente disatteso le ricordate regulae iuris , patrimonio acquisito nel formante giurisprudenziale. Ed invero, l’intero impianto motivazionale che sorregge, in parte qua, la sentenza impugnata si fonda su mere allegazioni del convenuto, scorrettamente valorizzate dalla Corte di merito in che altrimenti ridonderebbero a suo carico, a scapito del criterio di guisa di compensazione delle deficienze asseveratorie riparto dell’onere probatorio appena sopra ribadito.
Nello specifico, in un primo passaggio argomentativo la Corte territoriale (a pagg. 13-14) ha dichiarato che, per la somma di Euro 90.000,00, NOME Giuseppe aveva ‘allegato’ che il relativo bonifico era stato disposto in suo favore a titolo di restituzione del maggior prezzo, producendo il contratto preliminare (in cui il prezzo risulta pattuito in Euro 180.000,00) e il contratto definitivo
(in cui il prezzo dell’immobile viene fissato in Euro 270.000,00), emergendo dall’estratto conto al 31.12.2008 e dalle relative contabili che il 30.10.2008 sul c/c n. 13170 di COGNOME NOME era stato accreditato un assegno circolare di Euro 191.268,00 (tenuto conto del precedente acconto di Euro 30.000,00) e che il 23.10.2008 COGNOME NOME aveva disposto, in favore di NOME NOME, il bonifico di Euro 90.000.
Da ciò conclude la Corte (apoditticamente, senza alcun ulteriore passaggio che dimostri la asserita correlazione) che NOME avrebbe allegato un «ben preciso titolo giustificativo del bonifico per € 90.000, disposto in suo favore da COGNOME NOME».
Viene, poi, soltanto riferito – in via approssimativa ed incidentale che tale causa solutionis (della quale già si ritiene raggiunta la prova, pur in assenza di alcun riferimento sul punto, discorrendo la Corte sempre di sole ‘allegazioni’) troverebbe conferma anche nella deposizione deferita dalla teste COGNOME in primo grado, senza null’altro aggiungere in ordine alla (già) ritenuta esistenza del titolo giustificativo del pagamento. E ciò, peraltro, in violazione dei limiti alla prova dei patti contrari al contenuto di un contratto, come si dirà infra.
Di poi, in un secondo passaggio motivazionale la Corte ambrosiana, ritenendo provata dal Benedetto la causa solutionis del pagamento di Euro 90.000 disposto a suo favore dalla COGNOME, dichiara che la tesi dell’appellante (per cui doveva ritenersi non raggiunta la prova dell’asserita simulazione del prezzo della vendita in questione, prevalendo peraltro la effettiva volontà delle parti manifestata nel definitivo rispetto a quanto pattuito nel contratto preliminare) è ‘irrilevante’, in quanto, «a fronte della allegazione da parte di NOME di un ben preciso titolo giustificativo del bonifico per € 90.000, disposto in suo favore da COGNOME NOME, l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità del titolo giustificativo, allegato dall’a ccipiens , (quindi l’inesistenza o l’inefficacia della
fittizia indicazione del prezzo nel contratto di compravendita definitiva) gravava, in forza di quanto sopra esposto, sull’appellante COGNOME, che ha agito per la ripetizione dell’indebito, e tale inesistenza e/o invalidità o inefficacia non risulta affatto provata, dovendosi, anzi, ritenere sussistente, in forza di quanto sopra esposto, almeno un principio di prova della sua esistenza e della sua validità» (a pag. 14 della sentenza impugnata).
In buona sostanza, la Corte ambrosiana ha ritenuto raggiunta la prova della esistenza di una causa solutionis , che gravava sul convenuto NOME Giuseppe (in quanto fatto impeditivo), in ragione della asseverazione dell’avvenuto pagamento.
Tale assunto, in disparte la sua evidente tautologia, è senz’altro errato in diritto, poiché altro è la prova dell’avvenuto pagamento per cui si agisce in ripetizione dalla prova della causa solutionis che lo giustificherebbe.
La ragione di ciò è evidente: in mancanza di uno specifico pagamento, non si porrebbe un problema di eventuale indebito e di relativa restituzione; peraltro, provare l’avvenuto pagamento in sé non implica – invariabilmente – provare una causa solutionis . Ed è proprio per queste ragioni che l’avvenuto pagamento, quale fatto costitutivo del diritto alla ripetizione di indebito, rientra nel novero dei fatti che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., devono costituire oggetto di prova fornita da colui che agisca in giudizio.
Risulta, pertanto, errata la pronunzia d’appello nella parte in cui la (asserita) causa solutionis è piuttosto ricavata in via aprioristica dalla Corte territoriale, la quale fa affidamento sul mero dato fattuale per cui la somma corrisposta dalla COGNOME al Benedetto tramite bonifico rappresenterebbe proprio la differenza tra il prezzo pattuito nel definitivo e quello stabilito nel contratto preliminare, e ciò in assenza di ogni ulteriore supporto probatorio.
Di contro, tale circostanza rappresenta un mero fatto, inidoneo ad integrare ex se il titolo giustificativo del pagamento ricevuto dal Benedetto. Un siffatto elemento fattuale non costituisce, quindi, una causa solutionis , né, a più forte ragione, è meritorio della qualifica di titolo giustificativo «ben preciso», come inopinatamente ritenuto dalla Corte d’appello (a pag. 14 della sentenza impugnata).
Sicché, ancorché la somma per cui si chiede la ripetizione corrisponda, in concreto, alla differenza tra il prezzo fissato nel contratto definitivo e quello previsto nel contratto preliminare, la motivazione non fornisce, per vero, alcun elemento che consenta di giustificare la effettiva volontà delle parti in ordine alla prevalenza del contenuto del preliminare su quello del contratto definitivo.
Al contrario, questa Corte ha nel tempo precisato, secondo un indirizzo oramai consolidato e pluridecennale, che il contratto preliminare resta prodromico alla successiva stipula del contratto definitivo, di modo che, se nel preliminare la volontà dei contraenti è rivolta a far dipendere tale trasferimento da una futura manifestazione del consenso che le parti si impegnano a prestare, nel contratto definitivo essa è invece manifestamente diretta proprio al trasferimento attuale della proprietà o di altro diritto (in tal senso, cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 21650 del 23/08/2019; Sez. 2, Sentenza n. 15214 del 11/07/2011; Sez. 2, Sentenza n. 24150 del 20/11/2007; Sez. 5, Sentenza n. 21381 del 04/10/2006; Sez. 1, Sentenza n. 9079 del 21/06/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2916 del 07/04/1990; Sez. 3, Sentenza n. 1637 del 31/05/1971).
Di talché, una volta stipulato il contratto definitivo, il precedente preliminare resta dal primo superato ed assorbito: è infatti il contratto definitivo a costituire unica fonte dei diritti e degli obblighi relativi all’operazione contrattuale voluta dalle parti (v., ex multis , Sez. 2, Ordinanza n. 21529 del 07/10/2020 Sez. 2, Ordinanza n. 6223 del 14/03/2018).
In proposito, è stato ulteriormente puntualizzato che la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – che deve risultare da atto scritto, e ciò soprattutto là dove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti, contemporaneamente, alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono alla stipula contratto definitivo (v. Sez. 2, Sentenza n. 233 del 10/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 7064 del 11/04/2016; Sez. 2, Ordinanza n. 30735 del 21/12/2017).
E infatti, in disparte la fattispecie della simulazione, tanto già si ricava dai limiti desumibili dalla disciplina della prova testimoniale, all’art. 2722 c.c., a mente del quale la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea, e ciò alla luce della presunzione legislativa per cui i patti aggiunti o contrari al contenuto di un contratto – che si assume essere stati soprattutto contemporanei alla sua conclusione – siano dalle parti documentati.
In tale solco, l’art. 1417 c.c., in tema di simulazione, implicitamente consente alle parti di provare la simulazione attraverso la sola c.d. controdichiarazione (che incorpora l’accordo simulatorio, quale patto contrario al contenuto del contratto simulato), salvo il caso di illiceità del contratto dissimulato (ove eccezionalmente si consente alle parti di avvalersi della prova testimoniale), prevalendo qui l’interesse dell’ordinamento ad eliminare, dal mondo dei rapporti economici, un contratto che le parti realmente intendevano concludere e che, tuttavia, risulta viziato dalla più grave forma di invalidità, quale la nullità contrattuale.
Più puntualmente, quanto alla simulazione del prezzo, questa Corte ha costantemente sostenuto che la pattuizione con cui le parti di un contratto soggetto al vincolo della forma scritta abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (v. Sez. 2, Sentenza n. 3234 del 18/02/2015; Sez. 2, Sentenza n. 21442 del 19/10/2010; Sez. U, Sentenza n. 7246 del 26/03/2007; nello stesso senso, Sez. 2, Ordinanza n. 10459 del 22/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 21130 del 29/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 37189 del 20/12/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21426 del 06/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 24914 del 15/09/2021; Sez. 2, Sentenza n. 2619 del 04/02/2021).
Nel caso di specie, invece, la prevalenza del contratto preliminare sul contratto definitivo non è affatto revocata in dubbio dalla Corte ambrosiana ed è anzi ritenuta un fatto certo, relativamente al quale si sconta però la carenza di (pur) minima motivazione.
Così, sulla base di siffatte, immotivate deduzioni, i Giudici d’appello hanno poi ritenuto che gravasse sull’attrice COGNOME «l’onere di provare l’inesistenza o l’invalidità del titolo giustificativo, allegato dall’ accipiens , (quindi l’inesistenza o l’inefficacia della fittizia indicazione del prezzo nel contratto di compravendita definitiva)» (a pag. 14 della sentenza impugnata).
Epperò, a ben vedere, il problema della prova della invalidità del titolo giustificativo risulta qui recessivo, mancando a monte una più univoca e precisa individuazione del titolo stesso, la cui esistenza viene unicamente e del tutto acriticamente presupposta dalla Corte ambrosiana, che espressamente dichiara di fondare tale decisione su un titolo giustificativo meramente «allegato dall’ accipiens » (ibid.).
In tal modo, la tesi sostenuta dalla Corte territoriale sottintende, implicitamente, che la mera allegazione di un fatto impeditivo da parte del convenuto (che è piuttosto suo onere provare, giusta l’art. 2697 c.c., e non soltanto allegare) riespanderebbe l’ onus probandi incombente sull’attore, gravandolo della prova di un fatto ulteriore rispetto all’avvenuto pagamento, in uno alla assenza della causa solutionis , e ciò a discapito dei summenzionati principi in tema di prova di patti contrari.
Non può poi sottacersi ad abundantiam -l’effetto paradossale della interpretazione offerta dalla Corte di merito, poiché, a voler dar seguito a tale tesi, dovrebbe riconoscersi che, se la prova gravasse effettivamente sulla RAGIONE_SOCIALE, questa dovrebbe dimostrare, al fine di vincere tale claudicante presunzione (lato sensu intesa), di non avere una controdichiarazione, il che è evidentemente irragionevole, oltre che irrazionale. Ciò in quanto, oltre a pretendersi la prova di un fatto negativo (a scapito del principio negativa non sunt probanda ), la COGNOME soggiacerebbe poi ai limiti della prova della simulazione previsti per le parti.
Al contrario, è jus receptum che, proposta la domanda di ripetizione dell’indebito, l’attore ha l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici intercorsi tra le parti e dedotti in giudizio, non potendosi invece esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra ‘ solvens ‘ e ‘ accipiens ‘ (in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 1734 del 25/01/2011; Sez. 3, Sentenza n. 15667 del 15/07/2011; Sez. 1 – , Ordinanza n. 20522 del 03/08/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14428 del 26/05/2021). E già in precedenza, nello stesso ordine di idee, Sez. L, Sentenza n. 6138 del 20/03/2006, aveva stabilito che, nel giudizio di indebito, è colui il quale ne nega l’esistenza a dovere provare la sussistenza
dei presupposti che rendono giustificato il pagamento di cui si chiede la restituzione.
Tali principi sono stati ulteriormente precisati in Cass. n. 19902/2015 nei seguenti termini: «se nella prospettazione attorea si assuma che il pagamento dell’indebito sia avvenuto in assenza totale di qualsiasi titolo giustificativo, l’attore non avrà alcun onere di allegare e provare che un titolo di pagamento formalmente esista, ma sia invalido. In questo caso il solo onere dell’attore è allegare l’inesistenza d’un giusto titolo dell’obbligazione. Sarà poi il convenuto, in ossequio al principio c.d. di vicinanza della prova, a dover dimostrare che il pagamento era sorretto da una giusta causa. L’unico limite che l’attore incontra nella prospettazione dei fatti posti a fondamento della domanda di indebito è il restare silente sull’esistenza o sull’inesistenza del titolo del pagamento. Se, infatti, l’attore nel giudizio di indebito dichiarasse addirittura di ignorare se il pagamento di cui chiede la restituzione sia sorretto da un titolo, la citazione andrebbe dichiarata nulla ex art. 164 c.p.c., a causa della mancata esposizione della causa petendi ». Dunque, anche per tale precedente l’onere per l’attore è di mera allegazione dell’inesistenza della causa del pagamento. Ciò che afferma Cass. n. 19902/2015 è solo che l’attore non può restare silente in ordine al profilo del titolo del pagamento (così, Sez. 3, Ordinanza n. 24841 del 18/08/2023).
5.3. Il quinto motivo resta assorbito dall’accoglimento dei precedenti. Del resto, di là dai profili di inammissibilità della prova testimoniale ex art. 247 c.p.c., si pone qui il problema della prova della simulazione, che non potrebbe essere fornita per testi, essendo il Benedetto parte dell’asserita simulazione, in ragione dei limiti indicati al par. 5.2.
5.4. Il sesto motivo, relativo al diverso capo della sentenza impugnata, con riguardo alla posizione di NOME COGNOME è anch’esso fondato.
La domanda proposta dalla COGNOME (come emerge dagli atti riprodotti nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, ex art. 366, n. 6, c.p.c.) aveva ad oggetto la restituzione di tutte le somme che il convenuto ha prelevato in contanti sulla scorta di una delega di firma apposta sul conto corrente intestato a COGNOME NOME (delega che la ricorrente non contesta, neppure nel ricorso). La Corte territoriale ha affermato che il convenuto NOME COGNOME avrebbe allegato di aver effettuato tali operazioni a cui era legittimato per istruzione di COGNOME NOME e di avere alla stessa consegnato il danaro da lui prelevato, dovendo ritenersi provata la sussistenza di un rapporto di mandato tra COGNOME NOME (mandante) e NOME (mandatario), avente ad oggetto l’esecuzione di operazioni bancarie sul conto corrente n. 13170.
Al riguardo, non si comprenderebbe, però, dalla sentenza impugnata se tale circostanza (i.e., la consegna alla Toletti del danaro prelevato dal Benedetto) abbia costituito oggetto di mera allegazione oppure di effettiva asseverazione da parte del convenuto, nella misura in cui la sentenza – a pagina 10 – discorre di mera ‘allegazione’, pur aggiungendosi (ma equivocamente) che il fatto della avvenuta consegna del danaro fosse circostanza che il convenuto «ha anche chiesto di provare per mezzo testi con il capitolo di prova n. 8». Cionondimeno, non emerge dalla sentenza se tale prova sia poi stata effettivamente acquisita.
Varrà però precisare, al riguardo, che la dichiarazione – pure effettuata in termini meramente allegatori – di aver restituito le somme dovute assume una sostanziale rilevanza alla stregua di ricognizione tacita del debito, con tutte le conseguenze del caso.
Sul punto, questa Corte ha ritenuto che, in tema di onere della prova, la parte convenuta in giudizio per il pagamento di una somma di denaro che eccepisca di avere adempiuto alla propria obbligazione ammette, per ciò stesso, sia pur implicitamente, l’esistenza del rapporto su cui si fonda la pretesa della controparte,
la quale, conseguentemente, è sollevata dall’onere della relativa prova, incombendo sul convenuto il compito di dimostrare il proprio assunto difensivo in base al principio per cui chi eccepisce l’estinzione del diritto fatto valere nei suoi confronti deve provare il fatto su cui l’eccezione si fonda (cfr. Sez. L, Sentenza n. 14610 del 27/06/2014; Sez. 3, Ordinanza n. 19333 del 03/08/2017).
Ciò rende non necessario, tra l’altro, l’esperimento da parte della Calzolari dell’azione ex art. 1713 c.c. (rimedio cui, ad avviso della Corte territoriale, la COGNOME avrebbe dovuto necessariamente dare corso, con prevalenza rispetto alla domanda qui azionata).
6. Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del secondo, del terzo, del quarto e del sesto motivo (assorbito il quinto, infondato il primo), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Milano, che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame dell’impugnazione, alla luce dei principi sopra illustrati.
Il Giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo, assorbito il quinto, infondato il primo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza