Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16331 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16331 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8106/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il suo recapito in INDIRIZZO presso la dott.ssa NOME COGNOME; -controricorrente- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Lecce n. 569/2019, depositata il 17 dicembre 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Su ricorso di NOME COGNOME, il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, ha ingiunto a NOME COGNOME di pagare la somma di euro 67.245,27, di cui euro 60.941,91 pari a venti rate semestrali di euro 3.047,09 ciascuna (comprensive di interessi) a titolo di restituzione dell’importo di euro 30.987,41, concessole in mutuo nel novembre 1994, con i relativi interessi e la somma rimanente a titolo di pagamento di assegni bancari e cambiali emessi dalla COGNOME.
Proposta opposizione al decreto ingiuntivo con atto di citazione notificato il 7 novembre 2008, il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 2830/2015 depositata il 16 settembre 2015, ha accolto l’opposizione per la somma relativa agli assegni e alle cambiali , ritenendo i relativi crediti prescritti, e ha rigettato la domanda per la parte relativa alla somma pretesa per il pagamento delle rate di mutuo, revocando il decreto ingiuntivo e condannando la RAGIONE_SOCIALE a pagare a tale titolo la somma di euro 54.847,72, oltre interessi convenzionali sulla corte capitale di euro 30.987,41, oggetto di mutuo dal 31 dicembre 2004. Con la stessa sentenza ha ritenuto il COGNOME soccombente e lo ha condannato a rimborsare alla COGNOME le spese di lite dell’opposizione al decreto ingiuntivo
-Avverso detta sentenza la COGNOME ha proposto appello.
Si è costituito il COGNOME contestandone la fondatezza e proponendo appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui l’ha condannato al rimborso delle spese di lite.
La Corte di appello di Lecce, con sentenza depositata il 17 dicembre 2019, ha accolto l’appello principale e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, ha rigettato le domande proposte dal COGNOME nei confronti della COGNOME, respingendo altresì ogni altra domanda proposta da NOME COGNOME e l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME. Le spese del doppio grado di giudizio sono state poste a carico del COGNOME.
–NOME COGNOME ha proposito ricorso per cassazione.
NOME COGNOME si è costituita in giudizio.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
La COGNOME ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., con violazione degli artt. 228 e 230 cod. proc. civ., in relazione alla violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 cod. proc. civ., e art. 2730, 2733 e 2734 cod. civ., con conseguente vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello , diversamente da come aveva deciso il primo giudice, invece di attribuire alle dichiarazioni rese dal COGNOME nell ‘ interrogatorio formale a lui deferito, valore di prova legale con efficacia vincolante ex art. 228, 230 cod. proc. civ. e 2730 e 2733 cod. civ., e quindi sottratte alla discrezionalità del giudice, ha valutato, invece, discrezionalmente tali dichiarazioni per rilevare la diversità di quelle dichiarate, sul punto, dalla COGNOME e usando tali divergenze per escludere l a sussistenza dell’ obbligazione della COGNOME di restituire la somma di denaro, con riforma totale della sentenza di primo grado.
In particolare, nel ricorso si evidenzia che all’udienza del 3 giugno 2010, dinanzi al giudice di primo grado, il COGNOME risponde alle sole circostanze di fatto ammesse dal giudice, con ordinanza del 27 ottobre 2009, ossia il n° 1) e il n° 2), contenute nelle memorie istruttorie, ex art. 183, sesto comma, secondo termine, della difesa della COGNOME, datate 18 maggio 2009: 1) vero è che COGNOME NOME ebbe a richiedere più volte a COGNOME NOME la restituzione dei titoli (cambiali ed assegni) in suo possesso tutti integralmente
pagati ed il COGNOME rispondeva “ancora la banca non me li ha restituiti ‘ e poi ‘ li ho distrutti perché già pagati’ ; 2) vero che al momento della redazione dell’atto di ipoteca volontaria del 21 novembre 1994 COGNOME NOME non versò alcuna somma in contanti o in assegni a NOME COGNOME ed il COGNOME non era creditore di quest’ultima . Il COGNOME testualmente risponde: ” A.D.R.: non è vera la circostanza di cui al punto 1 della memoria istruttoria di parte attorea, è vero invece che nel momento in cui venivano pagate le cambiali ed assegni io le restituivo; le cambiali a volte venivano pagate a me a volte in banca; A.COGNOME.R.: io non ho dato la somma alla COGNOME vicino al notaio ma le ho dato successivamente quando sono tornato a casa; ACOGNOME.: la somma che ho corrisposto alla COGNOME è stata di £ 50.000.000, ma la somma segnata era di 60.000.000 perché le prime due rate, di circa £ 5.000.000 cadauna, se ben ricordo, con cui dovevano essere pagate, ma io avrei rilasciato ugualmente la ricevuta di avvenuto pagamento; A.COGNOME.COGNOME.; la somma fu erogata con assegni della Banca Arditi Galati se ben ricordo; COGNOME.COGNOME.: preciso che le cambiali che ho io sono quelle ricevute all ‘origine ‘ .
Da ciò si dedurrebbe l’applicazione nella fattispecie degli artt. 2733 e 2734 c.c., poiché il COGNOME fa delle affermazioni a sé sfavorevoli, ovverosia di aver consegnato la somma di £ 50.000.000 e non di £ 60.000.000, non dinanzi al notaio, ma successivamente allorquando lo stesso è tornato a casa, e di aver consegnato tale somma con assegni della Banca Arditi-Galati e non in contanti. Inoltre, parte ricorrente evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, controparte non ha mai contestato tali dichiarazioni, né tale mancante dichiarazione di contestazione potrebbe rinvenirsi in modo implicito dalle conclusioni di controparte in primo grado, attesa la loro estrema genericità.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 2699, 2700, 2701, 2702 e 2703 cod. civ., nonché degli artt.
2697, 2727, 2728, 2729 e 2735 cod. civ., in relazione agli artt. 213, 214, 215 e 216 cod. proc. civ. conseguentemente, ulteriore vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. La Corte d’appello , sostanzialmente, avrebbe accolto l’impugnazione della COGNOME escludendo ogni obbligazione della stessa nei confronti del COGNOME, sul presupposto che quest’ultimo non avesse provato l’esistenza del contratto di mutuo e l ‘ entità delle somme date in prestito. Nella stessa sentenza, la Corte afferma: ‘ Non può infine essere accolta la domanda della COGNOME diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo dell’ipoteca in quanto proposta per la prima volta in appello e dunque preclusa dal divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. Resta assorbita ogni altra questione ‘. Indipendentemente dall’errore della Corte rappresentato nel primo motivo di ricorso, il giudice dell’appello ha emesso la suddetta sentenza – escludendo il mutuo e la dazione delle somme, le modalità e l’entità delle stesse, poiché vi erano contrasti su tali punti tra le dichiarazioni rese dal COGNOME, nel suo interrogatorio formale, e le dichiarazioni rese dalla COGNOME e dalla di lei sorella, COGNOME NOME – sulla base di sole presunzioni semplici, di certo non gravi, precise e concordanti, in palese e manifesta violazione dell’art. 2729 cod. civ., con conseguente vizio della motivazione poiché illogica, irrazionale, illegittima, oltre che perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Nel ritenere la non debenza della COGNOME nei confronti del COGNOME con l’assunzione di presunzioni semplici ma non gravi, precise e concordanti, sussumendo sotto la previsione fatti che ne siano privi, il giudice di appello è incappato nella falsa applicazione della norma ex art. 2729 cod. civ. , in relazione all’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. SS.UU. n. 8053/2014).
1.1. -Le doglianze, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Il mutuo va annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell’uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell’azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la res oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione (Cass., Sez. II, 22 novembre 2021, n. NUMERO_DOCUMENTO).
L’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell’art. 2697 cod. civ., gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l’obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto – il quale, riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa – si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova (Cass., Sez. II, 29 novembre 2018, n. 30944; Cass., Sez. III, 13 marzo 2013, n. 6295; Cass., Sez. III, 19 agosto 2003, n. 12119).
In base alla richiamata giurisprudenza, l’attore aveva l’onere di provare l’esistenza del mutuo. Nella specie, il ricorrente ritiene che tale prova emerga in sede di interrogatorio formale del COGNOME, le cui dichiarazioni a sé sfavorevoli (ovverosia di aver consegnato la somma di £ 50.000.000 e non di £ 60.000.000, non dinanzi al notaio, ma successivamente allorquando lo stesso è tornato a casa, e di aver consegnato tale somma con assegni della Banca Arditi-Galati e non in contanti) non sarebbero state contrastate in alcun modo dalla controparte.
In realtà, come evidenziando nel controricorso, la difesa della COGNOME ha sempre negato di aver ricevuto delle somme di denaro dal COGNOME, contestando i fatti indicati a fondamento della pretesa anche dopo l’interrogatorio formale, in conformità alla
giurisprudenza di questa Corte in merito alle dichiarazioni aggiunte dal confitente alla confessione, ai sensi dell’art. 2734 c.c. (Cass., Sez. I, 3 aprile 2024, n. 8768).
La Corte di appello, in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ( ex art. 116, primo e secondo comma, cod. proc. civ.), ha evidenziato come il COGNOME, al di là delle sue dichiarazioni, non ha documentato in alcun modo il versamento di una somma a titolo di mutuo, sottraendosi quindi all’onere della prova che incombe su chi intende ottenere la restituzione di quanto asseritamente mutuato.
Non colgono pertanto nel segno neanche le doglianze in merito alla prospettata violazione della disciplina sulle presunzioni, giacché qui è stato ritenuto il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attore.
In realtà, nel mettere insieme profili riguardanti la violazione di legge con il vizio di motivazione, parte ricorrente mira a ottenere una inammissibile nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass., Sez. III, 1 giugno 2021, n. 15276).
-Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
-Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione