Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19209 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19209 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16579/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE
– intimato
–
avverso il decreto del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto n. 151/2019 depositato il 23/4/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/5/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato da RAGIONE_SOCIALE – in virtù di un contratto misto di vendita di beni, attrezzature e know how e contestuale appalto con minimo garantito per l’ammontare di € 5.040.000 che l’istante, in qualità di acquirente/appaltatrice, aveva stipulato con la compagine fallita, quale venditrice/committente -per € 261.457,05 a titolo di
corrispettivo per opere asseritamente realizzate in esecuzione del contratto e non pagate, per € 150.000 a titolo di rimborso dell’ anticipazione fatta per il contratto di acquisto e per € 964.708,59 a titolo di risarcimento danni da lucro cessante.
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto rigettava l’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE con decreto in data 23 aprile 2019.
Osservava, in particolare, che, pur essendo possibile attribuire data certa al contratto intervenuto fra le parti, nessuna delle tre voci di credito risultava dimostrata, non essendo possibile trarre alcun elemento di prova dalle deposizioni rese dai testi escussi o dalla documentazione esibita né in ordine alla realizzazione di opere per conto della fallita ed alla consegna delle stesse, né alla corresponsione da parte di COGNOME della somma di € 150.000.
Rilevava, infine, che non risultava dimostrato che l’opponente avesse subito un danno in conseguenza del mancato adempimento da parte della venditrice dell’obbligo di conferire in appalto opere per un valore minimo di € 5.000.000, non essendovi prova che l’acquirente avesse subito un danno diretto, per aver sostenuto spese in funzione della successiva esecuzione del contratto, o un danno indiretto, in termini di mancato guadagno, dal momento che Higloss non aveva fornito alcuna dimostrazione del profitto che avrebbe potuto trarre dall’esecuzione dell’appalto.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto prospettando due motivi di doglianza.
L’intimato fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 246, 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 93, 95, 96,
98 e 99 l. fall. nonché la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. per mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia: il tribunale -in tesi di parte ricorrente -ha fondato il proprio giudizio su una valutazione parziale delle prove offerte dall’opponente ed ha erroneamente dichiarato l’incapacità di alcuni dei testi ammessi, le cui dichiarazioni andavano a integrare la produzione documentale.
Il tribunale, in particolare, ha dichiarato l’incapacità a testimoniare del direttore amministrativo e finanziario alle dipendenze della società fallita, del direttore tecnico della società opponente e del consigliere delegato della società fallita senza spiegare il motivo per cui i due testi sarebbero stati portatori di un interesse concreto ed attuale idoneo a renderli parti in causa.
Quelle deposizioni avrebbero consentito di suffragare la documentazione prodotta in ordine al versamento di € 150.000 a titolo di acconto sul prezzo di vendita.
Il tribunale, inoltre, avrebbe dovuto ammettere il credito derivante dall’esecuzione delle opere indicate negli ordinativi prodotti, tenendo conto delle risultanze delle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME e della comprovante di esecuzione dei lavori, presente solo per le operazioni da pagarsi a stato di avanzamento.
Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.
5.1. Il tribunale ha ritenuto che i testi COGNOME e COGNOME (rispettivamente consigliere di amministrazione della fallita, direttore tecnico di RAGIONE_SOCIALE e direttore amministrativo e finanziario della fallita), ‘ per la qualità e il ruolo rivestito ‘ fossero ‘ incapaci di testimoniare ‘ e che comunque ‘ le rispettive dichiarazioni, in virtù delle rispettive qualità ‘, fossero inattendibili.
Si tratta di un duplice e distinto giudizio che, seppur basato sulle medesime circostanze di fatto (qualità e ruolo rivestito), ritiene la deposizione dei tre testi da una parte inficiata dalla loro incapacità a
testimoniare, ex art. 246 cod. proc. civ., dall’altra compromessa dalla loro inattendibilità.
Quest’ultima, autonoma, valutazione non risulta di per sé criticata dal mezzo in esame, se non sotto il profilo, infondato perché confliggente con il dato testuale della motivazione (che ricollega l’inattendibilità alla qualità e al ruolo rivestito), secondo cui l’inattendibilità sarebbe ‘ riconnessa -in via esclusiva -alla incapacità ad assumere la qualità di testimone ‘ (pag. 10 del ricorso) ; di conseguenza risulta inammissibile, per sopravvenuto difetto di interesse, la censura relativa alla valutazione di incapacità a testimoniare espressa dal tribunale, giacché quest’ultima non potrebbe comunque condurre, stante l’intervenuta definitività dell’altra ratio decidendi , alla cassazione della decisione impugnata.
5.2. Le ulteriori doglianze presentate intendono contestare la valutazione compiuta dal tribunale in ordine alla portata dimostrativa dell’ulteriore congerie istruttoria disponibile (in particolare rispetto al fatto che COGNOME avesse effettivamente corrispost o un’anticipazione per l’importo di € 150.000 ed avesse realizzato opere per conto della fallita e consegnato le stesse), costituita dal contenuto della documentazione prodotta e dalle risultanze delle ulteriori deposizioni testimoniali assunte.
La decisione impugnata, voce per voce e con puntuale riferimento ai singoli documenti prodotti ed alle risultanze delle deposizioni testimoniali assunte ed utilizzabili, ha escluso che le pretese creditorie avanzate dall ‘ opponente potessero essere accolte in qualche misura.
A fronte di una motivazione così ampia e dettagliata non può darsi accesso a una rilettura degli accertamenti in fatto del giudice di merito sui quali si basa la decisione (cfr., in termini, da ultimo, Cass. 20179/2024, Cass. 15033/2024).
Non rientra, invero, tra i compiti di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, o
procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sovrapponendo la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, e ciò anche se il ricorrente prospettasse un più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. 12052/2007, Cass. 3267/2008), poiché, se si ammettesse in sede di legittimità un sindacato sulle quaestiones facti, si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; nello stesso senso Cass. 2001/2023, Cass. 28643/2020, Cass. 33858/2019, Cass. 32064/2018, Cass. 8758/2017).
Va insomma escluso che la censura di violazione o falsa applicazione delle norme di legge possa essere ‘filtrata’ dalla valutazione del materiale istruttorio, in assenza di una denunzia del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 255/2022).
5.3. La motivazione della decisione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda però percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
Il profilo di doglianza che si duole della mancanza di una motivazione su un punto decisivo della controversia non adduce che le spiegazioni offerte dal tribunale non fossero idonee a rappresentare l’ iter logicointellettivo seguito dal collegio per arrivare alla decisione, ma intende confutare la fondatezza e la plausibilità degli argomenti sviluppati dai giudici di merito.
Una simile doglianza non evidenzia, quindi, alcuna criticità dell’apparato argomentativo presente all’interno della decisione impugnata nei limiti attualmente ammissibili, ma è espressione di un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.
Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 1223, 1226 e 2056 cod. civ. nonché la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. per mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia: l’opponente, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, aveva correttamente allegato il danno ritraibile dall’inadempimento del contratto di appal to, in termini di perdita subita (per oneri derivanti dall’improduttivo vincolo di attrezzature e beni vari, spese generali ed investimenti effettuati per l’acquisto di attrezzature) e lucro cessante (consistente nella cifra netta che avrebbe ricavato dall ‘esecuzione completa del contratto, quantificabile in una percentuale non inferiore al 20% dell’ammontare dell’appalto).
Il tribunale, pur avendo accertato l’inadempimento della società fallita sia alla consegna dei beni, sia alla violazione del minimo garantito di commesse, ha dichiarato il difetto di prova sul mancato guadagno incorrendo -in tesi di parte ricorrente – nel vizio denunciato, anche per non aver verificato la praticabilità del ricorso al criterio equitativo.
Il motivo è inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 -bis cod. proc. civ.
7.1. Il tribunale ha constatato che non esisteva ‘ nessuna prova, neppure generica o approssimativa, dell’asserito danno subito per la mancata esecuzione del contratto ‘, né in termini di danno diretto (‘ dal momento che la opponente non provato di aver
sostenuto alcuna spesa in funzione della successiva esecuzione del contratto ‘), né sotto il profilo di un danno indiretto, ‘ in termini di mancato guadagno, dal momento che l’opponente non fornito alcuna prova, neppure approssimativa, del profitto che avrebbe potuto trarre dalla esecuzione dell’appalto (differenza fra l’importo delle singole opere e costi per realizzarle )’.
Il motivo in esame non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma è espressione di un mero dissenso rispetto all’apprezzamento di circostanze di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.
A questo proposito è sufficiente ricordare come risulti inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass., 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).
7.2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il potere discrezionale che l’art. 1226 cod. civ. conferisce al giudice del merito, è rigorosamente subordinato al duplice presupposto che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che sia impossibile, o molto difficile, la dimostrazione del loro preciso ammontare, non già per surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (Cass. 9244/2007; nello stesso senso Cass. 4948/2013, Cass. 24680/2006).
Se l’applicazione dell’art. 1226 cod. civ. presuppone l’esistenza ontologica del danno e non esonera l’interessato dall’obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del medesimo, allora
il tribunale non poteva verificare la praticabilità del ricorso al criterio equitativo, in assenza della dimostrazione dell’esistenza di un danno, diretto o indiretto.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 16 maggio 2025.